Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8097 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8097 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 27/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14460 – 2019 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura allegata al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME E COGNOME NOME, elettivamente domiciliate in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale sono rappresentate e difese, giusta procura in calce al controricorso, con indicazione dell’indirizzo pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 6858/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 29/10/2018; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
30/5/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
In accoglimento dell’opposizione proposta da NOME e NOME COGNOME, il Tribunale di Velletri, con sentenza n. 1035/2012, revocò il decreto ingiuntivo n. 617/06 pronunciato nei loro confronti, ad istanza dell’arch. NOME COGNOME per l’importo di Euro 44.587,80 , a titolo di compensi professionali per l’attività di progettazione e direzione dei lavori di ampliamento di un immobile sito in Pomezia, di loro proprietà; condannò, quindi, le opponenti al pagamento della minor somma di Euro 18.249,80, oltre interessi e spese, rigettando la loro domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni per colpa professionale dell’architetto.
Sulla base della documentazione acquisita e delle testimonianze raccolte, il Tribunale ritenne fossero state eseguite tutte le attività riportate in parcella; rilevò, tuttavia, che l’avviso di parcella inviato alle committenti RAGIONE_SOCIALE riportava un importo di «progettazione totale» inferiore a quello indicato nella parcella vistata e considerò, perciò, a base di calcolo quella minor somma; ritenne, quindi, eccessiva la percentuale del 40% per i compensi accessori e la ridusse al 20%, in considerazione della contiguità al cantiere dell’abitazione e della collocazione dello studio nella stessa città.
Con sentenza n. 6858/2018, la Corte d’appello di Roma rigettò l’appello di COGNOME e l’appello incidentale con cui NOME e NOME COGNOME avevano impugnato il rigetto della domanda risarcitoria; non pronunciò sulla domanda di restituzione delle somme pagate in eccedenza a titolo di compenso, pure avanzata dalle appellate.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello confermò che correttamente il Tribunale avesse enucleato il valore di base della progettazione generale limitandola alle opere civili, per poi procedere alla liquidazione dei compensi per la progettazione degli impianti; rimarcò, comunque, che la forte riduzione del compenso spettante era conseguita all’applicazione della minor percentuale del 20, invece della pretesa 40 per i compensi accessori e il rimborso spese; escluse, quindi, rigettando il motivo di impugnazione sul punto, il compenso forfettizzato per le numerose varianti, rilevando che non ne era stata dimostrata l’imprevedibilità e per l’ausilio di collaboratori esterni allo studio, per difetto di prova.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a nove motivi; NOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale per un solo motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha denunciato la violazione dell’art. 132 comma II n. 4 cod. proc. civ., sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe erroneamente ritenuto che nella parcella vistata dal Consiglio dell’ ordine fosse stata indebitamente inserita, nella voce «progettazione generale», anche l’attività di progettazione dei singoli impianti, generando così una duplicazione di compensi e un conseguente aumento indebito del totale; secondo il ricorrente, la parcella inviata in preavviso e la parcella vistata dall’ordine contenevano le stesse identiche voci e conducevano ad un totale dovuto identico, se non per una modestissima differenza di Euro 183,74: per il calcolo previsto dalla legge 143/1949, infatti, sarebbe indifferente applicare la percentuale sulle voci analiticamente distinte o sull’unica voce accorpata.
1.2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente, prospettando una violazione e falsa applicazione dell’articolo 116 cod. proc. civ. e degli art. 4, 6, 13 e 14 della legge 143 del 1949, ha nuovamente sostenuto che non vi sarebbe alcun importo differente tra la parcella vistata dall’ordine e la parcella inviata alle clienti in preavviso, perché in ogni caso il calcolo a percentuale condurrebbe a identico risultato.
1.3. Quindi, con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 5 del comma primo dell’art.360 cod. proc. civ., l’architetto ha ugualmente lamentato l’insussistenza della riscontrata divergenza tra le due parcelle, sostenendo che l’errore sarebbe seguito all’omesso esame delle singole voci di ciascuna nota.
I primi tre motivi devono essere esaminati congiuntamente in quanto involgono sempre la medesima questione, seppure analizzata in formale richiamo a differenti articoli e sussunta nelle diverse ipotesi di vizio previste al comma primo dell’art. 360 cod. proc. civ..
Quel che in sostanza il ricorrente lamenta -come già aveva sostenuto con il primo motivo di appello , è che la Corte d’appello abbia erroneamente ravvisato, nella parcella vistata dal Consiglio dell’ordine, una duplicazione di compensi, per avere l’architetto compreso, nella voce «progettazione generale» , non soltanto l’importo delle opere civili, come invece aveva fatto nel preavviso spedito alle committenti, ma anche il valore dell’attività di progettazione degli impianti.
2.1. Innanzitutto, risulta inammissibile la censura ex n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. per violazione dell’art. 132 comma II n. 4, perché la motivazione resa sul punto dalla Corte non viola i limiti della motivazione sufficiente e coerente come individuati dalla giurisprudenza di questa Corte: in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83
del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (da ultimo, ex multis, Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022). La ricorrenza di queste ipotesi è esclusa nella fattispecie, sol che si consideri che, nella stessa prospettazione dell’argomentazione del motivo , il ricorrente ha rappresentato che la Corte d’appello ha espresso una valutazione delle voci riportate nelle due parcelle e delle modalità di calcolo applicate diversa da quella da lui ritenuta corretta; peraltro, con il secondo e il terzo motivo, è stato denunciato un error in iudicando con la formulazione di una esplicita critica alla motivazione della sentenza impugnata che, perciò, si presuppone resa.
2.2. È ugualmente inammissibile la denuncia di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.: come chiarito da questa Corte, con la censura di violazione di questa norma, infatti, può allegarsi che il Giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo «prudente apprezzamento», pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore o il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); oppure, al contrario, può denunciarsi che il Giudice abbia dichiarato di valutare secondo il suo prudente apprezzamento una prova invece soggetta ad una specifica regola di valutazione; ove si deduca, invece, l’esercizio non corretto del
«prudente apprezzamento» della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, I comma, n. 5, cod. proc. civ., soltanto nei rigorosi limiti in cui ancora è consentito il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Sez. U, n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021); in tal senso la formulazione del motivo non è congruente.
2.3. Il vizio di motivazione è stato dedotto con il terzo motivo, con cui è stato lamentato l’omesso esame delle singole voci delle parcelle che sarebbe stato decisivo per addivenire a una diversa pronuncia.
Anche questo motivo è inammissibile, perché la Corte d’appello, a cui era stata rappresentata la necessità del riesame delle singole voci delle parcelle, ha provveduto proprio a valutare ancora una volta quelle voci (pag. 2, ultimo capoverso e pag. 3 della sentenza impugnata), giungendo alla identica decisione di merito già resa dal Tribunale, con la stessa motivazione.
Infine, è infondata la censura di violazione degli art. 4, 6, 13 e 14 della legge 143 del 1949.
Esclusa, invero, la rilevanza specifica degli art. 4 e 6 (che concernono gli oneri accessori), perché la questione involge l’operatività dell’art. 14, deve riportarsi in diritto che, secondo interpretazione consolidata (Cass. Sez. 2, n. 18249 del 05/08/2010), in tema di determinazione degli onorari a percentuale, l’art. 14 della tariffa professionale degli ingegneri e architetti, approvata con la legge 2 marzo 1949, n. 143, nel prevedere che le opere vengano «suddivise nelle classi e categorie» indicate nell’elenco in calce e che «se un lavoro professionale interessa più di una categoria», gli onorari spettanti al professionista vengano «commisurati separatamente agli importi dei lavori di ciascuna categoria e non globalmente» – impone all’interprete di ricercare, anzitutto, la classe in cui siano sussumibili i lavori da
retribuire e, poi, nell’ambito della stessa classe, ove suddivisa in categorie, di frazionare il compenso in relazione a quelle di appartenenza. Tuttavia, ove la classe di appartenenza delle opere non contempli alcuna suddivisione in categorie, il frazionamento del compenso non è consentito, ostandovi l’unitarietà dell’incarico conferito al professionista e l’esigenza di evitare duplicazioni di compensi per una medesima prestazione professionale.
La Corte territoriale allora -come il Tribunale prima -ha correttamente distinto, come previsto nell’elenco in calce all’art. 14, le opere civili dagli impianti, in quanto previsti in differenti categorie, derivando, altrimenti, dalla sussunzione nella prima voce del valore della seconda voce, un aumento ingiustificato della base del calcolo percentuale.
Con il quarto motivo, articolato in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha lamentato la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello motivato, con argomento ulteriore rispetto alla motivazione resa dal Tribunale, la riduzione da 40 a 20 della misura percentuale per il calcolo dei compensi accessori, valorizzando un fatto -l’assenza del carattere di imprevedibilità delle varianti – smentito dalle risultanze processuali e, in ogni caso, non oggetto di alcuna eccezione di parte.
4.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello, scrutinando la congruità della percentuale riconosciuta per i compensi «integrativi» come determinati dall’art. 4 , ha proprio rilevato che «pur volendo ritenere che le varianti al progetto siano del tipo indicato dalla normativa, manca qualsiasi accenno alla prevedibilità delle modifiche richieste»; quindi, considerato che «per il resto, tutte le attività indicate dal professionista per sostenere la maggiore percentuale richiesta non sono ricomprese nell’art. 4, né vi è prova del ricorso a collaboratori da cui deriverebbe il diritto ai compensi
previsti dall’ultimo comma sempre dell’art. 4», ha ritenuto più che giustificata la riduzione della percentuale operata dal Tribunale per il calcolo di quei compensi accessori.
Così decidendo, la Corte d’appello ha correttamente applicato la normativa in materia, secondo l’interpretazione elaborata da questa Corte.
In particolare, s econdo l’art. 13 della legge 143/1949, gli onorari a percentuale comprendono tutto quanto è dovuto al professionista per l’esaurimento dell’incarico conferitogli, restando a carico di esso tutte le spese di ufficio, di personale di ufficio – sia di concetto che d’ordine – di cancelleria, di copisteria, di disegno in quanto strettamente necessarie allo svolgimento dell’incarico; gli sono però dovuti a parte ed in aggiunta gli eventuali compensi a rimborso di cui ai precedenti artt. 4, 6 e 17.
Lo stesso art. 13, al secondo comma e, poi, l’art. 5 del d.m. 21 agosto 1958 accordano al professionista, la «facoltà di conglobare tutti i compensi accessori di cui agli artt. 4 e 6 della stessa tariffa in una cifra che non potrà superare il 60 per cento degli onorari a percentuale. In caso di disaccordo con il committente la percentuale di tale conglobamento sarà determinata dal Consiglio dell’ordine, sempre però entro il predetto limite massimo».
Sul punto dei compensi integrativi di cui agli art. 4 e 6, dunque, questa Corte ha puntualizzato che il professionista che abbia scelto di chiederne il rimborso conglobandoli in una cifra forfettaria, è esonerato dall’onere di provare il quantum delle singole voci di spesa pretese in conseguenza dell’indicazione a forfait , ma, in caso di disaccordo o di contestazione -come accaduto nella fattispecie -, è tenuto a provare l’effettività delle prestazioni, cioè a provare che un esborso vi sia effettivamente stato (Cass. Sez. 2, n. 17696 del 20/06/2023; Sez. 2, n. 3095 del 16/02/2005, con richiami).
Ciò precisato, deve allora considerarsi che la non prevedibilità delle varianti ai progetti di massima è elemento costitutivo degli onorari cosiddetti «integrativi» come determinati dall’art. 4 per tali voci: alla lett. d) di quest’articolo , infatti, è esplicitamente previsto l’ulteriore speciale compenso (a vacazioni, ma suscettibile di essere forfettizzato) per quelle varianti conseguenti a circostanze che il professionista non poteva prevedere.
La mancanza della caratteristica della imprevedibilità, necessaria per il diritto al compenso «integrativo» è stata, pertanto, correttamente rilevata di ufficio dal Giudice per escludere il valore delle varianti dal compenso integrativo ex lett. d) dell’art. 4 , perché nel processo civile i fatti che negano la sussistenza o la fondatezza degli elementi costitutivi della pretesa avversaria, sono rilevabili d’ufficio quando non riservati alla parte per espressa previsione di legge o perché corrispondenti alla titolarità di un’azione costitutiva, anche se non siano state oggetto di espressa e tempestiva attività assertiva (Cass. Sez. 3, n. 8525 del 06/05/2020).
5. Con il quinto motivo, la stessa questione è stata posta in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. : la Corte sarebbe incorsa in violazione e falsa applicazione dell’articolo 132, comma II, n. 4 cod. proc. civ. non ritenendo spettante il compenso a percentuale per le varianti, in riferimento ad un fatto non oggetto di alcuna eccezione di parte e, cioè, la loro imprevedibilità; conseguentemente, avrebbe violato l’art. 116 cod. proc. civ. perché avrebbe ignorato la mancata contestazione di tale elemento costitutivo.
5.1. Il motivo è inammissibile. Il principio di non contestazione, riferibile peraltro al l’art. 115 e non 116 cod. proc. civ., è stato, invero, erroneamente invocato: per giurisprudenza consolidata, infatti, l’ onere di contestazione dei fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi e, considerato che l’identificazione del tema
della decisione dipende in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni, ne consegue che l’onere di contribuire alla fissazione del thema decidendum opera identicamente rispetto all’una o all’altra delle parti in causa; pertanto, a fronte di una generica deduzione da parte dell’attore , la difesa della parte convenuta non può che essere altrettanto generica e, dunque, idonea a far permanere gli oneri probatori gravanti sulla controparte (Cass. Sez. 1, n. 10629 del 19/04/2024): nella specie, dunque, la Corte d’appello ha proprio esplicitamente rappresentato che è mancato «qualsiasi accenno alla prevedibilità delle modifiche richieste» sicché non poteva esserci, sul punto, alcuna contestazione specifica da parte delle opponenti.
Con il sesto motivo, articolato in riferimento al numero 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art 116 cod. proc. civ. per avere la Corte d’appello confermato la rilevanza della distanza tra la casa o lo studio e il cantiere per la determinazione della misura percentuale spettante e per avere ritenuto non sussistente la prova della intervenuta collaborazione di altri soggetti, pur avendo valorizzato la testimonianza resa dal teste COGNOME che l’aveva riferita.
6.1. Il motivo è inammissibile per le considerazioni già esposte al punto 2.2. sui precisi limiti di formulazione della denuncia di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ.: la censura si risolve, invece, in una richiesta di rivalutazione degli elementi probatori acquisiti preclusa al Giudice di legittimità.
La medesima questione della asserita illegittimità della riduzione della misura percentuale è stata riproposta anche con il settimo motivo, pure articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ. , con cui l’architetto ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 13 della legge 143/1949: la
Corte avrebbe immotivatamente dato rilievo alla distanza del cantiere dall’abitazione o dallo studio e non avrebbe considerato l’avvenuto accertamento, in istruttoria, dell’ausilio di collaboratori.
8 . Con l’ottavo motivo, proposto in via subordinata al settimo e articolato in riferimento al n. 4, il ricorrente ha, quindi, prospettato la violazione del l’art. 132 comma II, n. 4 cod. proc. civ., ancora una volta in riferimento al vizio di motivazione sulla mancanza di prova dell’ausilio di collaboratori , nonostante la deposizione del teste COGNOME sul punto sia stata posta a fondamento del rigetto della domanda riconvenzionale.
8.1. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
Sul punto la Corte d’appello ha condiviso la motivazione della riduzione della percentuale espressa dal Tribunale, sottolineando che lo studio del professionista si trovava nella stessa città del cantiere e che gli spostamenti dall’uno all’altro luogo erano stati certamente molto veloci in una città piccola come Pomezia «dove le distanze sono comunque relative» (così in sentenza).
Così decidendo, la Corte ha correttamente applicato il principio, già richiamato per altro profilo, secondo cui il conglobamento forfettario dei compensi accessori non può essere inteso come un automatico aumento degli onorari a percentuale in base alla sola prestazione dell’opera professionale, ma implica l’esistenza e la prova di quei fatti o prestazioni specifiche che ne costituiscano il presupposto e dell’effettivo esborso (Cass. Sez. 2, n. 11026 del 18/10/1991). A titolo esemplificativo, sono stati al contrario ravvisati i presupposti per la liquidazione forfettaria delle spese di viaggio, di alloggio, per il tempo passato fuori studio, senza la necessità di dover assumere prove specifiche, nell’ipotesi in cui le opere del progetto erano state realizzate
fuori del comune di residenza del professionista (cfr. Sez. 2, n. 15930 del 2015, non mass).
Quanto alle spese per i collaboratori di studio, deve puntualizzarsi che ex art. 4 spetta al professionista il compenso integrativo per gli aiuti dei collaboratori fuori ufficio, laddove le spese del personale di ufficio – sia di concetto che d’ordine -sono comprese nei compensi a percentuale ex comma 1 dell’art. 13 (Cassazione civile, sez. II, 18/10/1991, n. 11026): in tal senso, allora, il relativo profilo di tutti i due motivi sul punto difetta di autosufficienza, atteso che non si riporta cosa abbia detto il teste COGNOME in che relazione egli fosse con lo studio, cosa abbia esattamente svolto.
9 . Con il nono motivo, articolato in riferimento al n.4, l’architetto ha lamentato la violazione del 112 cod. proc. civ. per non essersi la Corte d’appello pronunciata sulla sua richiesta, in caso di accoglimento della domanda riconvenzionale delle committenti COGNOME di sua condanna alla restituzione delle somme versate in eccedenza, di nuova determinazione del suo compenso in base ai criteri indicati in appello e qui invocati con le censure proposte.
9.1. In disparte ogni considerazione sulla sua formulazione, il motivo risulta implicitamente rigettato in conseguenza del rigetto delle precedenti censure e della conferma della correttezza della quantificazione del compenso dovuto come operata nel giudizio di merito: in conseguenza, l’ammontare pagato in eccedenza dalle committenti dovrà essere calcolato per mera differenza rispetto a quanto in precedenza già corrisposto.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, NOME e NOME COGNOME hanno lamentato, in relazione al numero 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione del l’art. 112 cod. proc. civ., per avere la Corte d’appello omesso di pronunciare, come chiesto nell’appello incidentale, la condanna dell’architetto alla restituzione
delle somme versate in eccesso in caso di conferma della sentenza di primo grado.
10.1. Il motivo è fondato. Come riportato nel testo, con l’appello incidentale (pag. 8) le committenti appellate avevano chiesto la condanna dell’architetto alla restituzione delle somme da loro versate , in esecuzione del decreto poi revocato, in eccesso rispetto a quanto riconosciuto dal Tribunale ; la Corte d’appello, tuttavia, pur confermando la riduzione del compenso, non ha provveduto alla condanna in restituzione.
Questa Corte ha già statuito che la restituzione delle somme corrisposte in eccedenza ben può essere chiesta per la prima volta in appello o con la comparsa di risposta contenente impugnazione incidentale avverso detta sentenza, atteso che tale istanza, oltre ad essere conforme al principio di economia dei giudizi, non altera i termini della controversia e non costituisce, perciò, domanda nuova (cfr., in materia di ordinanza concessa dal giudice di prime cure a titolo di provvisionale ex art. 24 della l. n. 990 del 1969, poi revocata dalla sentenza di primo grado di rigetto della domanda risarcitoria, Cass. Sez. 3 n. 20145 del 18/08/2017; Sez. 3, n. 814 del 20/01/2015).
In accoglimento del ricorso incidentale, pertanto, la sentenza deve essere cassata sul punto, con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione perché provveda sulla domanda di restituzione della differenza tra l’ammontare del compenso dovuto come qui definitivamente accertato e quanto già corrisposto dalle opponenti allo stesso titolo.
11. Il ricorso principale è perciò respinto; in accoglimento del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata quanto all’omessa pronuncia sulla domanda di restituzione , con conseguente rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione perché provveda sul punto.
Statuendo in rinvio, la Corte d’appello deciderà anche sulle spese di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; in accoglimento del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese di legittimità.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda