Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 25060 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 25060 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24260/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME -indirizzo PEC: EMAIL–
-ricorrente-
contro
COMUNE di TARANTA PELIGNA, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME -domicilio telematico alla PEC: EMAIL-controricorrente- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO L’AQUILA n. 2041/2019 depositata il 11/12/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 04/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato in data 28.10.2010 con il Comune di Taranta Peligna un contratto avente ad oggetto la concessione da parte dell’Ente territoriale delle
attività di progettazione, realizzazione e gestione di un impianto fotovoltaico per la produzione di energia elettrica.
Era sorto un contenzioso tra le parti sulla debenza dell’IVA sugli importi dovuti dal Comune alla società concessionaria e da questa fatturati.
Il Tribunale di Chieti, adito da RAGIONE_SOCIALE, aveva respinto sia la domanda volta ad accertare la debenza dell’IVA sui compensi concordati, sia la domanda subordinata svolta ex art.2041 c.c.
La Corte d’Appello di L’Aquila, alla quale la società si era rivolta in sede di impugnazione, aveva confermato la sentenza di primo grado osservando:
-che le parti avevano chiaramente espresso, nella clausola 2 della convenzione, la volontà che le somme corrisposte dal Comune alla società concessionaria, indicate alla successiva clausola 3, fossero onnicomprensive; esse avrebbero dovuto compensare tutti i costi derivanti dalla realizzazione e gestione dell’impianto e tutte le tasse, imposte e ritenute previste per legge;
-che il termine ‘eventuale’ presente nella clausola non poteva essere valorizzato come vorrebbe la società appellante, nel senso di riferirlo solo a tasse e imposte che il legislatore avrebbe potuto inserire successivamente, perché era previsto nella stessa clausola che sarebbero state a carico del concessionario tasse e imposte ‘anche qualora non note all’atto della partecipazione al bando’, e quindi anche le tasse e imposte note, come l’IVA;
-che era corretto anche il riferimento operato dal Giudice di primo grado alla delibera n.26 del 14.8.2009, nella quale il Comune stabilì che il bando per l’affidamento in concessione della realizzazione e gestione dell’impianto fotovoltaico doveva precisare la natura onnicomprensiva dei compensi che sarebbero stati versati al concessionario; tale delibera era infatti espressamente richiamata nelle premesse del contratto;
-quanto alla reiterata domanda ex art.2041 c.c., il motivo doveva ritenersi inammissibile, non avendo l’appellante contestato la prima ratio decidendi della sentenza impugnata, relativa al difetto di sussidiarietà dell’azione di ingiusto arricchimento, perché basata su clausole contrattuali dalla cui applicazione sarebbe derivato lo squilibrio patrimoniale lamentato.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Taranta Peligna.
Solo la ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta la ‘ Violazione e falsa applicazione ‘, prospettata come rilevante ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., ‘ degli art.1362, 1363, 1364, 1366, 1368, 1369, 1371, salvo altri, del c.c., dell’art.12 disp. sulla legge in generale del DPR 633/1972, dei comuni principi regolatori della materia, come anche applicati ed interpretati dalla SC di Cassazione, dai Giudici di merito e dalla Dottrina ‘
Secondo la ricorrente, la Corte di merito non si sarebbe attenuta alle disposizioni in materia di interpretazione dei contratti in quanto non avrebbe tenuto in considerazione: a) il dato letterale, non vagliando l’esistenza della parola ‘ eventuali ‘, apposta prima di ‘ tasse e imposte ‘ nella clausola 3, che avrebbe reso evidente la non ricomprensione nella previsione in esame dell’IVA, già nota, salvo stravolgerne il significato; ciò troverebbe conferma nel fatto che i soggetti considerati dalla clausola sono due, e cioè ‘tutti i costi ‘ e ‘ eventuali tasse, imposte e ritenute di qualsiasi natura, anche non note ‘, in nessuno dei quali l’IVA sul compenso potrebbe essere inquadrata; b) l’intenzione delle parti che, appunto, avrebbero inteso riferirsi a costi o eventuali imposte, tasse e simili, non conosciute e/o introducende, senza considerare che l’IVA non costituisce un costo né un’imposta eventuale; c) la condotta anche posteriore delle parti, avendo la ricorrente considerato fin dalla prima fattura l’intero corrispettivo dovutole come base imponibile IVA; d) la realizzazione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti, perché l’IVA non rappresenterebbe un costo per il Comune mentre se la società concessionaria la dovesse scorporare dal compenso subirebbe una diminuzione patrimoniale; e) l’intero sistema giuridico italiano ed europeo, per cui l’IVA non costituirebbe un costo né un ricavo ma la traslazione di un’imposta che si riverserebbe sul consumatore finale di un bene o di un servizio. Il Giudice d’appello avrebbe errato anche nel richiamare la delibera comunale n.26/2009, non potendo rientrare l’IVA tra tutti gli oneri e le spese per l’allaccio dell’impianto e per la vendita dell’energia (la ricorrente fa seguire un breve excursus ‘ su taluni aspetti, anche e soprattutto di natura giuridico-economica, come risultante dal sistema normativo italiano, anche alla luce delle disposizioni europee, relativamente all’IVA ‘).
Il motivo è infondato.
Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte l’interpretazione del contratto è riservata al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità per violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, la quale deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia discostato dai suddetti canoni; altrimenti, la ricostruzione del contenuto della volontà delle parti si traduce nella mera proposta di un’interpretazione diversa da quella censurata, come tale inammissibile in sede di legittimità. -cfr., di recente, Cass. n.353/2025 e ripete indicazioni costantemente espresse: in tal senso cfr. Cass. n.17427/2003, che richiama pronunce ancora precedenti; cfr. anche, tra le tante, Cass. n.2560/2007, Cass. n.20057/2011 (che applica le regole ermeneutiche ex art.1362 e s. c.c. anche ai contratti con la PA), Cass. n. 2465/2015, Cass. n. 10891/2016, Cass. n.28319/2017, Cass. n. 16987/2018, Cass. n.9461/2021-.
Il sindacato di legittimità non può cioè investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, né le censure vertenti sull’interpretazione del negozio possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni: ne consegue che quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra.
Nel caso in esame, se si esamina il motivo di ricorso alla luce delle indicazioni che precedono si deve concludere che l’articolazione delle critiche svolte dalla società ricorrente è finalizzata a superare l’interpretazione delle clausole n.2 e n.3 del contratto intervenuto tra le parti il 28.10.2010, che la Corte di merito ha effettuato tenendo conto di tutti i rilievi che RAGIONE_SOCIALE aveva già evidenziato in sede di merito e ritenendo di dover valorizzare, contro l’assunto della società ricorrente appellante, il contenuto della delibera n.26/2009 (secondo la quale nel bando per la concessione dei lavori di realizzazione e gestione dell’impianto fotovoltaico doveva essere precisato che l’intervento andava effettuato a totale carico dell’impresa, sulla quale dovevano gravare tutti gli oneri e le spese per l’allaccio alla rete e la vendita di energia), perché espressamente richiamata nel contratto del 28.10.2010. La Corte d’Appello ha in particolare ritenuto di disattendere la tesi di RAGIONE_SOCIALE
secondo cui l’utilizzo nella clausola 2 dell’aggettivo ‘eventuali’, riferito a ‘tasse e imposte’, dovesse comportare la conclusione che ad essere a carico della società ricorrente sarebbero state solo tasse e imposte introdotte successivamente e non anche l’IVA che, invece, era già ben nota e quindi non ‘eventuale’: questo perché secondo la Corte di merito detta interpretazione risultava essere in contrasto con la lettera del contratto, dato che il riferimento a tasse e imposte ‘anche qualora non note all’atto della partecipazione al bando’ appariva giustificato solo sul presupposto di ricomprendere nella dizione anche le tasse note, quali appunto l’IVA. La Corte di merito ha ritenuto chiaro e determinante il tenore letterale degli accordi e, in particolare, delle clausole negoziali, interpretate in un contesto unitario -anche valorizzando la delibera n.26/2009, perché richiamata nei termini sopra esposti-, per la corretta identificazione degli accordi tra le parti in ordine alla debenza dell’IVA da parte del Comune come esborso ulteriore rispetto al corrispettivo determinato ai sensi dell’art.3 del contratto, arrivando ad escluderla per il ritenuto carattere onnicomprensivo di detto corrispettivo, secondo un percorso motivazionale chiaro ed esente da contraddizioni. Le critiche di RAGIONE_SOCIALE vorrebbero quindi sostituire all’interpretazione concorde dei Giudici di merito la propria divergente interpretazione sul contenuto degli accordi sul punto, offerta fin dal primo grado del giudizio e disattesa.
Non appaiono quindi rilevabili profili di violazione di legge con riferimento agli art.1362 e s. c.c.
Non sono teorizzabili nell’interpretazione degli accordi offerta dai Giudici di merito violazioni di legge nemmeno con riferimento alla normativa in materia di IVA e ai ‘comuni principi regolatori della materia, come anche applicati ed interpretati dalla S.C. di Cassazione, dai Giudici di merito e dalla Dottrina’. In nessun punto della sentenza impugnata è possibile rinvenire l’affermazione che le prestazioni rese da RAGIONE_SOCIALE, da retribuire a carico del Comune di Taranta Peligna, fossero al netto dell’IVA: la Corte di merito, come già il primo Giudice, hanno rilevato l’onnicomprensività del corrispettivo pattuito determinato in base alla clausola 3 del contratto, che è cosa ben diversa e -pur trattandosi di materia che esula dal presente giudizio civile, per quanto qui interessa- non permette di per sé di teorizzare nè un ingiustificato depauperamento a carico di RAGIONE_SOCIALE, che fin dall’origine doveva e poteva aver ben chiara detta onnicomprensività, né un
ingiustificato arricchimento a favore del Comune in relazione ad ipotetici crediti per IVA non percepita.
Il motivo di ricorso in esame deve pertanto essere respinto.
Col secondo motivo si deduce ‘ Violazione e falsa applicazione ‘, prospettata come rilevante ex art.360 co 1 n.3 c.p.c., ‘ dell’art.342 c.p.c. e dell’art.2041 c.c., anche in riferimento alla normativa dell’IVA ed alla loro interpretazione ed applicazione da parte della SC di Cassazione e dei Giudici di merito ‘.
La Corte non avrebbe considerato che per la proposizione dell’appello non sarebbero necessarie formule particolari, essendo sufficiente che l’intenzione di contestare il deciso di primo grado emerga univocamente: è vero che l’azione ex art.2041 c.c. ha carattere sussidiario ma è altrettanto vero che, nel caso di specie, avrebbe dovuto trovare accoglimento, quantomeno in via subordinata, stanti la natura dei soggetti, dell’IVA e del relativo importo, detraibile per il Comune, nonché il funzionamento della normativa IVA.
Il motivo è infondato.
E’ uniforme l’orientamento interpretativo di legittimità secondo cui ‘L’azione generale di arricchimento ha come presupposto che la locupletazione di un soggetto a danno dell’altro sia avvenuta senza giusta causa, per cui, quando questa sia invece la conseguenza di un contratto o comunque di un altro rapporto, non può dirsi che la causa manchi o sia ingiusta, almeno fino a quando il contratto o l’altro rapporto conservino la propria efficacia obbligatoria’ -in tal senso, Cass. a SSUU n.14215/2002, rispetto alla quale le pronunce successive sono conformi: cfr., tra le altre, Cass. n. 5689/2005, Cass. n.2312/2008, Cass. n.7331/2016, Cass. n.4909/2023 (in motivazione): in sostanza, perché sia rispettata ‘la regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 cod. civ. la domanda di ingiustificato arricchimento (avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale) è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (cfr. Cass. sez. un. 5.12.2023, n. 33954) -così, in particolare, Cass. n.11778/2024 in motivazione-.
Ora, nel caso di specie la regola della sussidiarietà che è presupposto necessario per l’utilizzabilità del disposto dell’art.2041 c.c. non poteva e non può operare, dal momento che il preteso arricchimento ingiustificato del Comune a preteso danno di RAGIONE_SOCIALE è in realtà correlabile agli accordi negoziali legittimamente e validamente intervenuti tra le parti: ne consegue che non è ipotizzabile alcun arricchimento privo di giusta causa a danno della ricorrente e a favore del Comune.
In conclusione, il ricorso deve essere integralmente respinto, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto
P. Q. M.
La Corte respinge il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare le spese del giudizio di legittimità al Comune di taranta Peligna, liquidandole in complessivi € 4.500,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CPA e rimborso forfetario come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, il