Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1793 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1793 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 16272/2018 proposto da:
COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME,
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-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliata presso la Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione;
-controricorrente –
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, n. 1753/2017, pubblicata il 20 novembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Gli attuali ricorrenti hanno esposto, con ricorso depositato presso il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, che:
erano medici di Medicina generale convenzionati con la RAGIONE_SOCIALE; i rapporti con detta RAGIONE_SOCIALE erano regolati dall’RAGIONE_SOCIALE Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n 502 del 1992;
in seguito all’introduzione del RAGIONE_SOCIALE Informativo Socio -Sanitario (c.d. RAGIONE_SOCIALE) erano stati stipulati accordi sindacali, a partire dal 2003 e sempre rinnovati, che prevedevano un corrispettivo a favore del medico aderente volontariamente al progetto;
tal corrispettivo era stato mantenuto anche dopo l’entrata in vigore della legge Regione Lombardia n. 18 del 2007 , che aveva reso obbligatoria l’adesione al detto sistema;
la RAGIONE_SOCIALE non aveva corrisposto gli importi relativi ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2010.
Essi hanno chiesto la condanna di controparte a pagare in loro favore la quota SSIS prevista per il periodo indicato.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, nel contraddittorio delle parti, con sentenza depositata il 28 aprile 2016, ha rigettato il ricorso.
Gli attuali ricorrenti hanno proposto appello che la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 1753/2017, ha rigettato.
Gli attuali ricorrenti hanno presentato ricorso per cassazione sulla base di nove motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE si è difesa con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) Con i primi quattro motivi i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’RAGIONE_SOCIALE la disciplina dei rapporti con i medici RAGIONE_SOCIALE medicina generale ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. n. 502 del 1992 e modifiche successive, dell’art. 59 bis dell’ACN 29 luglio 2009, della legge Regione Lombardia n. 18 del 2007 e del d.m. 14 luglio 2010 , l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio rappresentato dalla portata degli Accordi regionali del 5 agosto 2003 e del maggio 2007, dell’11 febbraio 2009, dell’8 luglio 2009 e del 5 ottobre 2011 e della delibera della Giunta Regione Lombardia n. VIII/5743 del 31 ottobre 2007, nonché la loro violazione e falsa applicazione e, infine, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e 1372 c.c. in riferimento all’interpretazione dei citati Accordi regionali e della menzionata delibera.
Innanzitutto, è inammissibile la doglianza relativa all’omesso esame di un fatto decisivo, essendovi stata, nella fattispecie, una c.d. doppia conforme.
Pure inammissibile è la parte della contestazione che riguarda la delibera di Giunta Regione Lombardia del 3 ottobre 2007 e gli Accordi regionali citati, non potendo essere effettuata ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c.
È infondata, invece, la censura concernente la violazione e l’erronea interpretazione dei menzionati Accordi collettivi nazionali.
Infatti, la corte territoriale ha ricostruito il sistema complessivo, evidenziando che le somme domandate dai ricorrenti non erano più dovute in seguito all’entrata in vigore del D.M. 14 luglio 2010, che aveva previsto quale data di avvio a regime per la Regione Lombardia del sistema informativo regionale il 1° ottobre 2010 e introdotto sanzioni a carico dei medici che non avessero aderito al sistema de quo , rispettandone le regole.
L’incompatibilità della nuova disciplina con quella preesistente è stata chiarita evidenziando che, accogliendo la tesi dei ricorrenti, i medici interessati sarebbero stati contemporaneamente premiati con l’incentivo al superamento della soglia del 70% delle prescrizioni farmaceutiche e sanzionati, in base al citato D.M., se non fossero arrivati all’80%.
A fronte di queste considerazioni, i ricorrenti non sono stati in grado di indicare in quale dei documenti da loro menzionati fosse chiaramente garantita la
spettanza delle somme domandate per il periodo dal 1° ottobre al 31 dicembre 2010 e, in part icolare, se questa figurasse nell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 2009 , il quale, al contrario:
espressamente introduce, all’art. 59 ter , un regime sanzionatorio degli inadempimenti dei medici agli obblighi su di loro gravanti in seguito all’avvio a regime ‘da parte della Regione o Provincia Autonoma di appartenenza, del progetto Tessera Sanitaria-collegamento in rete dei medici-ricetta elettronica, formalizzato dalla normativa RAGIONE_SOCIALE e dagli accordi tra lo Stato e la singola regione’ ;
specifica gli elementi che concorrono a costituire il compenso dei medici de quibus , con esclusione di voci non più compatibili con la vigente normativa e con l’assetto sul quale la nuova contrattazione è basata.
Allo stesso modo, la legge Regione Lombardia n. 18 del 2007 non contiene previsioni che autorizzino a considerare pattuito il pagamento preteso dai ricorrenti.
Sulla base di quanto esposto si deve rilevare, pertanto, che, poiché la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha accertato che la disciplina contrattuale integrativa invocata dai ricorrenti si poneva in diretto contrasto con la vigente normativa e poiché i medesimi ricorrenti non hanno saputo menzionare in quale parte dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE del 2009 la loro prospettazione trovasse un univoco e specifico fondamento, deve trovare applicazione il principio per il quale, in tema di rapporto di lavoro dei medici di medicina generale e dei pediatri di libera scelta, l’art. 2 nonies del d.l. n. 81 del 2004, conv. dalla legge n. 138 del 2004, rimette agli accordi nazionali ivi previsti, anche attraverso il richiamo all’art. 4, comma 9, della legge n. 412 del 1991, e quindi al sistema comune del pubblico impiego contrattualizzato ivi contenuto, la disciplina della contrattazione di ambito regionale ed aziendale, sicché la contrattazione collettiva decentrata non può validamente disporre in senso contrastante rispetto a quanto stabilito in ambito RAGIONE_SOCIALE (Cass., Sez. L, n. 29137 del 6 ottobre 2022) .
L a Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha accertato , comunque, che i ricorrenti non avevano provato il raggiungimento delle percentuali richieste per il raggiungimento dell’incentivo per i mesi indicati.
Con il quinto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e l’omessa, contraddittoria e illogica motivazione relativamente al valora probatorio della corrispondenza epistolare e del comportamento processuale di controparte.
A loro avviso, si sarebbe dovuto ritenere che essi avevano prescritto tramite RAGIONE_SOCIALE al 100%.
D’altronde, non sarebbe stato verosimile che, dopo averlo raggiunto per anni, proprio nei tre mesi in questione essi non avessero conseguito l’obiettivo al quale era subordinato l’incentivo in esame. Ciò era dimostrato dalla mancata irrogazione di sanzioni e dalla non contestazione della P.A.
La doglianza è inammissibile.
Innanzitutto, con il loro motivo i ricorrenti chiedono, nella sostanza, una rilettura della documentazione agli atti (le missive della parte ricorrente) che è stata, invece, specificamente valutata dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE e non può essere più effettuata da questa RAGIONE_SOCIALE
Neppure possono essere scrutinate le doglianze ex artt. 115 e 116 c.p.c.
In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ul timo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass., Sez. 1, n. 6774, del 1° marzo 2022).
Nella specie, non ricorre nessuna delle circostanze sulle quali potrebbe fondarsi la contestazione per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.
Altresì inammissibile è la contestazione che investe la mancata applicazione del ragionamento presuntivo, essendo il giudice del merito libero di decidere se e come farvi ricorso. Prive di rilievo sono le considerazioni dei ricorrenti in ordine alla mancata irrogazione di sanzioni. La corte territoriale ha, comunque, esaurientemente spiegato le ragioni della sua decisione.
Si evidenzia che, con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c., spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità, dovendosi tuttavia rilevare che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo; neppure occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, essendo sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo criterio di normalità, visto che la deduzione logica è una valutazione che, in quanto tale, deve essere probabilmente convincente, non oggettivamente inconfutabile (Cass., Sez. L, n. 22366 del 5 agosto 2021).
Non è prospettabile neanche una violazione dell’art. 2697 c.c., avendo la corte territoriale escluso l’esistenza del diritto dei ricorrenti oltre che l a dimostrazione dei relativi presupposti.
Nessun elemento idoneo a provare una effettiva ed univoca non contestazione della P.A. è, poi, stato allegato, non essendo decisivi, stante la genericità del contenuto, i documenti citati nel motivo dai ricorrenti.
Alla luce di quanto esposto prive di ogni rilievo sono le doglianze che riguardano la motivazione della sentenza impugnata.
Con i motivi dal sesto al nono i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., dell’art. 9, comma 11, della legge n. 488 del 1999, dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 92 c.p.c., degli artt. 2, 4 e 5 del d.m. n. 55 del 2014, dell’art. 132 c.p.c . e l’omesso esame di un fatto decisivo.
Essi lamentano che la corte territoriale non avrebbe correttamente determinato il valore della causa.
Infatti, ancorché ad agire fossero stati più di 200 medici, ognuno dei quali aveva 1500 pazienti, alla fine il detto valore avrebbe dovuto essere considerato pari ad € 1.125,00 , non potendosi cumulare le posizioni dei vari ricorrenti.
Irrilevante sarebbe stata la circostanza che, nel ricorso di primo grado, avevano indicato come indeterminabile il valore della causa.
Infine, non vi sarebbe stata alcuna attività istruttoria in primo grado.
La doglianza è inammissibile.
Indubbiamente, la dichiarazione del difensore è ininfluente ai fini dell ‘individuazione del valore della domanda, poiché essa è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, sicché, non appartenendo tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, deve escludersi la possibilità di considerarla come parte della domanda, nel senso cui vi allude il primo comma dell ‘ art. 10 c.p.c., quando dice che ‘ il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti ‘ (Cass., Sez. 5, 12770 dell’ 11 maggio 2023).
Risulta pure corretta l’affermazione per la quale, in ipotesi di litisconsorzio facoltativo (art. 103 c.p.c.), caratterizzato da domande di più soggetti contro uno stesso convenuto in base a titoli autonomi anche se della stessa natura, non è applicabile il secondo comma dell’art. 10 c.p.c. (che è richiama to soltanto dall’art. 104 dello stesso codice, relativo al cumulo oggettivo), sicché il valore delle singole controversie deve essere autonomamente determinato (Cass., Sez. 1, n. 18166 del 26 giugno 2023).
Peraltro, i ricorrenti non tengono conto che, in ogni caso, quello instaurato davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE era un processo con pluralità di parti e che tale circostanza non poteva non incidere sulla liquidazione delle spese in favore della parte resistente. Infatti, l’art. 4, comma 2, del d.m. n. 55 del 2014 prevede che
‘Quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 20 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 5 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di venti. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contr o più soggetti’.
I ricorrenti, però, non hanno indicato l’importo che sarebbe, a loro avviso, spettato alla P.A. resistente se la liquidazione delle spese fosse avvenuta in base al criterio indicato e tenendo conto del fatto che la stessa P.A. si era dovuta difendere contro 201 ricorsi contemporaneamente.
Inoltre, si osserva che i conteggi fatti dai ricorrenti presuppongono l’acquisizione al processo di una serie di elementi che non risultano siano mai stati portati all’attenzione delle corti di merito.
Dalla sentenza di appello non risultano, infatti, né l’importo che ogni singolo medico avrebbe dovuto percepire né il numero dei pazienti da loro specificamente assistiti nel periodo rilevante.
Si tratta di circostanze che attengono al merito del giudizio e non possono più essere prospettate per la prima volta in Cassazione.
Del tutto inammissibile è, poi, la questione concernente il mancato svolgimento dell’attività istruttoria in primo grado, non avendo i ricorrenti prospettato neppure in sintesi il contenuto dei verbali di udienza del relativo giudizio.
Infine, deve evidenziarsi che i ricorrenti non hanno neppure dedotto che, nella specie, non sarebbero stati rispettati i limiti massimi previsti dalla vigente normativa per i compensi degli avvocati.
4) Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza ex art. 91 c.p.c. e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti,
dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 10.000,00 , oltre € 200,00 per esborsi, accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico dei ricorrenti, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 19