Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 142 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 142 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/01/2025
La Corte d’Appello di Napoli ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME e gli altri medici convenzionati di assistenza primaria, indicati in epigrafe, avverso la sentenza del Tribunale di Napoli che aveva respinto le loro domande, volte ad ottenere il riconoscimento del diritto a percepire nel periodo dal febbraio 2010 a settembre 2013 il compenso intero per la medicina di gruppo nella misura forfetaria di euro 7.00 per assistito, come previsto dall’art. 59 dell’ACN del 23.3.2005 in favore dei medici di assistenza primaria che svolgono la propria attività in forma di medicina di gruppo, compenso che in detta misura era stato loro corrisposto solo fino al gennaio 2010, essendo stato ridotto ad euro 5.00 da tale data in poi.
La Corte territoriale ha evidenziato che l’art. 59 dell’ACN del 23.3.2005 prevede la riduzione dell’indennizzo annuale da euro 7,00 a paziente a euro 5,00 a paziente in occasione del superamento del plafond del 12% di pazienti assistiti.
Ha osservato che tale riduzione opera automaticamente in occasione del superamento di tale limite , con decorrenza dall’entrata in vigore dell’accordo.
In ragione del meccanismo di integrazione del contratto individuale da parte delle norme della contrattazione collettiva, ha escluso che il precedente importo sia stato cristallizzato con l’attribuzione ai medici del diritto quesito a mantenere tale compenso.
Ha escluso che tale previsione abbia introdotto una decurtazione che esaurisce il suo effetto nei confronti dei soli medici che alla data di entrata in vigore avessero superato il plafond determinando un ‘doppio regime’ più favorevole per coloro che lo avessero superato solo successivamente.
Ha precisato che la previsione contenuta nell’art. 59 dell’ACN del 23.3.2005 produce effetti per tutta la durata del contratto collettivo, non esaurendosi in una decurtazione immediata e limitata al solo caso di avvenuto superamento del plafond di pazienti sia avvenuto in occasione della riduzione annua della ASL convenuta.
Ha aggiunto che il superamento del plafond aveva trovato conferma nell’istruttoria effettuata nel giudizio avente analogo contenuto (e definito con sentenza in atti), liberamente valutabile.
Ha ritenuto inammissibile il secondo motivo di gravame, con cui i medici appellanti avevano lamentato la mancata applicazione del meccanismo di compensazione previsto dall’art. 59, decimo comma, nell’ipotesi di sottoutilizzo di altri istituti; ha rilevato che tale doglianza aveva introdotto un ampliamento del thema decidendum , precluso nel giudizio di appello, atteso che l’istituto della compensazione non era stato prospettato nel giudizio di primo grado.
Avverso tale sentenza i medici hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrato da memoria.
La ASL NA2 nord ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi de ll’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1321, 1362, 1363, 1366, 1367, 1369, 1370 e 1371 cod. civ., in relazione all’interpretazione dell’art. 59 punto B commi 4, 8, 9 e 10 ACN medicina generale 23.3.2005 come vigente ratione temporis , per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la riduzione operi
automaticamente in occasione del superamento del plafond del 12% dei pazienti assistiti, anche qualora tale superamento sia avvenuto dopo l’entrata in vigore del contratto collettivo.
Deduce che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, l’art. 59 lett. B, comma 4, dispone letteralmente ed univocamente che, in attesa della stipula dei nuovi accordi regionali, ai medici che svolgono la propria attività in forma di medicina di gruppo, a partire dal 1.1.2005 è corrisposto un compenso forfetario annuo per ciascun assistito pari ad euro 7,00, mentre il comma 8 stabilisce che i compensi relativi alla medicina di gruppo sono corrisposti nella misura e nei tempi di cui al comma 4, quando nella Regione non sia stata superata la percentuale del 12%, da calcolarsi sugli assistiti complessivi della Regione medesima, mentre qualora alla data di entrata in vigore dell’ACN tale valore fosse superiore al 12%, ai medici interessati continuerebbe ad essere riconosciuto quanto previsto dagli accordi regionali vigenti.
Sostiene che in base al dato letterale, la volontà delle parti contraenti a livello nazionale era di riconoscere il diritto al compenso di 7,00 euro a partire dal 1.1.2005 se alla data del 23.3.2005 il valore del 12% non fosse già stato superato oppure in caso di sottoutilizzazione di altre voci, mentre i commi 4, 8 e 9 dell’art. 59 lett. B non prevedono una riduzione dell’indennizzo annuale in occasione del superamento della percentuale del 12% su base regionale dei soggetti assistiti nella tipologia ‘medicina di gruppo’.
Evidenzia che in base alla lettera e alla finalità della richiamata disposizione, il limite del 12% non poteva essere superato ad libitum per l’intera durata dell’Accordo del 23.3.2005 alla stipula di eventuali nuovi accordi collettivi che ne avessero modificato i termini contrattuali, e che lo sforamento intervenuto era da ascrivere esclusivamente all’inadempienza della ASL .
Precisa che in base alle previsioni contenute nel DPR n. 270/2000 e nell’ACN 2005, l’erogazione dell’indennità di collaboratore di studio non
era garantita a tutti coloro che ne facevano richiesta, ma solo nel limite ricompreso tra il 6% e il 12% degli assistiti.
Aggiunge che il parere reso dal SISAC aveva confermato la rilevanza del 23.3.2005 quale unico momento di verifica e la precisa volontà delle parti contrattuali di garantire ai medici interessati lo stesso ammontare di risorse, anche da parte delle Regioni che prima dell’entrata in vigore dell’ACN del 23.3.2005, nella vigenza del DPR 270/2000 avessero eventualmente attribuito risorse superiori ai tetti percentuali fissati dallo stesso ACN, il quale non consente analoga misura migliorativa in caso di intervenuto decremento della percentuale.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia, ai sensi de ll’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazionefalsa applicazione dell’art. 59 lett. B ACN medicina generale 23.3.2005, in relazione all’art. 48, comma 1 legge n. 833/1978 e all’art. 8 d.lgs. n. 502/1992, per avere la Corte territoriale illegittimamente derogato ai principi posti dalla norma primaria vigente, che garantisce l’uniformità del trattamento economico e normativo su tutto il territorio nazionale ad opera degli accordi nazionali collettivi, riconoscendo la legittimità di una quota che si colloca al di sotto del minimo inderogabile.
Evidenzia che tale deroga si pone in contrasto con la riserva di competenza prevista dall’art. 3 dell’ACN 31.3.2005, che affida esclusivamente all’accordo nazionale la struttura e l’entità minima del compenso.
Addebita alla Corte territoriale di avere elevato il contratto integrativo regionale a strumento di modifica in peius del trattamento economico previsto a livello nazionale.
Sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto annullare la clausola nulla, oppure fornire un’interpretazione che consentisse alla clausola di produrre un effetto.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ violazione della sentenza ex art. 360,
comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione dell’art. 2697 c.c. e art. 414, n. 4, cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto inammissibile la questione relativa all’applicabilità della compensazione di cui all’art. 10 dell’ACN.
Deduce che la questione della compensazione era stata introdotta in sede di note autorizzate nel giudizio di primo grado da parte degli originari ricorrenti, a seguito della dichiarazione datoriale delle motivazioni poste a sostegno del mancato pagamento.
Evidenzia che nel motivo di gravame, i medici convenzionati avevano lamentato la mancata applicazione delle presunzioni semplici da parte del giudice di primo grado, che dal superamento della percentuale solo per alcuni istituti e non per altri non aveva inferito la sussistenza dei presupposti per l’operatività della compensazione.
4. Il primo motivo è infondato.
L’ art. 59, comma 4, dell’ Accordo Collettivo Nazionale dei medici di medicina generale sottoscritto il 23.3.2005 riconosce ai medici che svolgono la propria attività in forma di medicina di gruppo ed in forma di medicina in rete , a partire dal 1.1.2005 ‘un compenso forfetario annuo per ciascun assistito in carico nella misura, rispettivamente di euro 7.00 e di euro 4,70 …’; i commi 6 e 7 disciplinano l’indennità per il collaboratore di studio e l’indennità per l’utilizzo di un infermiere professionale.
Il successivo comma 8 precisa che i compensi relativi alla medicina in rete, alla medicina di gruppo e le indennità relative al personale di studio e all’infermiere professionale sono corrisposti nella misura e nei tempi di cui ai commi 4, 6 e 7 quando nella Regione non siano state superate le rispettive percentuali percentuali, da calcolarsi sugli assistiti complessivi della Regione; la medesima disposizione fissa la percentuale del 12% per la medicina di gruppo e del 9% per la medicina in rete
Per il caso di percentuali superiori a quelle previste, alla data di entrata in vigore dell’accordo collettivo, il comma 9 stabilisce: « le risorse
complessivamente impegnate continuano ad essere utilizzate secondo quanto previsto dagli Accordi regionali in vigore e continui ad essere riconosciuto ai medici interessati quanto previsto da tali accordi regionali o dal D.P.R. 270/2000 ».
La previsione contenuta nel comma 8, che subordina dunque la corresponsione del compenso forfetario nella misura prevista dall’art. 4 al mancato superamento delle percentuali indicate nella medesima disposizione, ha carattere generale.
La disposizione contenuta nel comma 9, riferita all’ipotesi in cui la percentuale di una o più delle voci di spesa di cui ai commi 4, 6 e 7 sia superiore a quella prevista nel comma 4, è infatti distinta e ulteriore rispetto a quella contenuta nel comma 8.
Dalla sentenza impugnata e dallo stesso ricorso per cassazione risulta che la riduzione era stata disposta in ragione del travalicamento della percentuale del 12%; secondo la Corte territoriale, lo sforamento aveva trovato conferma nell’istruttoria svolta in altro giudizio avente contenuto analogo, la cui sentenza era stata prodotta nel fascicolo della convenuta.
Nel sostenere che ai sensi dell’art. 59 dell’ACN il compenso forfetario per assistito non era suscettibile di riduzione qualora alla data di entrata in vigore dell’ACN (23.3.2005) la percentuale di cui al comma 8 non fosse stata superata, la censura non considera che la percentuale del 12% da calcolarsi sugli assistiti complessivi della Regione è un dato meramente aritmetico, indipendente dalla volontà della ASL.
Nè può ritenersi che in ragione del tetto di spesa la ASL fosse tenuta a negare l’autorizzazione a costituire nuove medicine di gruppo.
La Corte territoriale, avendo escluso che ai fini della quantificazione del compenso forfetario il superamento della percentuale del 12% avesse rilievo solo al momento dell’entrata in vigore dell’ACN del 23.3.2005, ha correttamente interpretato l’art. 59 dell’ACN.
Peraltro i ricorrenti non contestano la quantificazione del minore importo e fanno riferimento all’ Accordo Integrativo regionale del 2003
che aveva previsto il minor compenso nella misura di euro 5.00 (v. pag. 12 del ricorso).
5. Anche il secondo motivo è infondato.
Questa Corte ha ricostruito il quadro normativo di specifico rilievo, che ricomprende sia la disciplina del rapporto convenzionale instaurato con il Servizio Sanitario Nazionale, sia gli interventi legislativi con i quali, nel settore della tutela della salute e della gestione del connesso servizio, il legislatore statale ha imposto vincoli alla spesa regionale al fine di contenere i disavanzi del settore sanitario e di assicurare l’equilibrio unitario della finanza pubblica (v. Cass. n. 22533/2021; v. anche Corte Cost. n. 91/2012).
Sin dall’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, risalente alla legge n. 833/1978, la disciplina del rapporto convenzionale con i medici di medicina generale ed i pediatri di libera scelta è stata configurata in termini di necessaria uniformità sull’intero territorio nazionale; l’art. 48 ha a tal fine previsto che le convenzioni debbano essere conformi agli accordi collettivi nazionali resi esecutivi con decreto del Presidente della Repubblica ed ha assicurato la necessaria conformazione agli stessi attraverso la previsione della nullità delle pattuizioni, individuali ed anche collettive, sottoscritte in contrasto con i richiamati accordi (commi 7 e 8).
Il d.lgs. n. 502/1992 di riordino della disciplina in materia sanitaria ha ribadito, all’art. 8, il ruolo centrale dell’accordo collettivo, assegnando allo stesso il compito di definire, fra l’altro, «la struttura del compenso spettante al medico prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto affidato, corrisposta su base annuale come corrispettivo delle funzioni previste in convenzione, e una quota variabile in funzione delle prestazioni e attività previste negli accordi di livello regionale» (lett. f della formulazione originaria).
La disposizione in commento è stata più volte modificata ed integrata dal legislatore; a partire dal d.lgs. n. 299/1999, la distinzione, contenuta
nella lett. f), fra quota fissa e quota variabile è stata sostituita da quella inserita nella lett. d) che, oltre a distinguere il compenso fisso da quello variabile, opera un’ulteriore suddivisione fra la quota variabile connessa al raggiungimento di obiettivi e quella, parimenti variabile, legata da nesso di corrispettività a prestazioni, previste dagli accordi nazionali e regionali, funzionali allo sviluppo di specifici programmi adottati dalle aziende sanitarie locali (la riformulata lett. d) recita: « ridefinire la struttura del compenso spettante al medico, prevedendo una quota fissa per ciascun soggetto iscritto alla sua lista, corrisposta su base annuale in rapporto alle funzioni definite in convenzione; una quota variabile in considerazione del raggiungimento degli obiettivi previsti dai programmi di attività e del rispetto dei conseguenti livelli di spesa programmati di cui alla lettera f); una quota variabile in considerazione dei compensi per le prestazioni e le attività previste negli accordi nazionali e regionali, in quanto funzionali allo sviluppo dei programmi di cui alla lettera f).. .»).
In tutte le versioni succedutesi nel tempo è rimasto pressoché immutato l’ incipit della disposizione che, quanto al contenuto delle convenzioni, rinvia agli accordi collettivi nazionali da stipulare ai sensi dell’art. 4 della legge n. 412/1991.
Detta norma, nella sua formulazione originaria, al comma 9 disciplinava la composizione della delegazione di parte pubblica per il rinnovo degli accordi riguardanti sia i dipendenti del comparto sanità sia il personale sanitario con rapporto convenzionale, e, quindi, equiparava già, quanto alle forme di contrattazione, quest’ultimo rapporto a quello di impiego pubblico.
Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 165/2001 la procedura è stata superata, per il personale del comparto sanità, da quella disciplinata dagli artt. 40 e seguenti dello stesso decreto, mentre per i rapporti convenzionali, sottratti all’abrogazione dell’art. 4, comma 9, della legge n. 412/1991 disposta dall’art. 72 del d.lgs. n. 165/2001, il legislatore è intervenuto a modificare il testo originario e, con l’art. 52, comma 27,
della legge n. 289/2002 ha istituito la struttura tecnica interregionale per la disciplina dei rapporti con il personale convenzionato, alla quale ha affidato il compito di rappresentare la parte pubblica in occasione dei rinnovi degli accordi collettivi.
Quanto alla procedura di contrattazione lo stesso art. 52, pur affidandone la definizione all’accordo da adottare in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano, ha richiamato gli artt. da 40 a 49 del d.lgs. n. 165/2001 (ad eccezione degli artt. 43 e 45) riconoscendo, quindi, alla contrattazione collettiva il medesimo ruolo centrale che la stessa riveste nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato. 25.
Questo ruolo centrale degli accordi collettivi è stato, poi, ribadito dall’art. 2 nonies del d.l. n. 81/2004, convertito dalla legge n. 138/2004, secondo cui « il contratto del personale sanitario a rapporto convenzionale è garantito sull’intero territorio nazionale da convenzioni conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati mediante il procedimento di contrattazione collettiva definito con l’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano previsto dall’ articolo 4, comma 9, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, e successive modificazioni. Tale accordo nazionale è reso esecutivo con intesa nella citata Conferenza permanente, di cui all’ articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 ».
Attraverso il rinvio alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 165/2001 il legislatore ha esteso al rapporto convenzionale il medesimo ‘ equilibrato dosaggio di fonti regolatrici ‘ (Corte Cost. nn. 313/1996 e 309/1997) che caratterizza l’impiego pubblico contrattualizzato, ed ha affidato la realizzazione dell’obiettivo della disciplina uniforme dei rapporti convenzionali alla ‘ forte integrazione tra la normativa statale e la contrattazione collettiva nazionale, con una rigorosa delimitazione degli ambiti della contrattazione decentrata e con un limitato rinvio alla
legislazione regionale per aspetti e materie ben definite ‘ (Corte Cost. n. 157/2019 e Corte Cost. n. 186/2016).
Da ciò il giudice delle leggi ha tratto la conseguenza che, quanto ai limiti della potestà legislativa regionale, valgono i medesimi principi affermati per l’impiego pubblico e, pertanto, non è consentito alla legge regionale intervenire sulla fase esecutiva del rapporto in convenzione, ridisegnando i diritti ed i doveri delle parti relativamente alla percezione di compensi, perché all’adempimento delle obbligazioni, che rientra nell’ambito dell’ordinamento civile riservato al legislatore statale, si applicano gli istituti uniformi del diritto privato (cfr. le pronunce sopra richiamate).
A conclusioni non dissimili, circa la natura del rapporto convenzionale e degli atti che attengono alla gestione dello stesso, è pervenuta anche questa Corte la quale, con giurisprudenza costante, ha sottolineato che i rapporti tra i medici convenzionati e le aziende sanitarie locali, pur se costituiti allo scopo di soddisfare le finalità istituzionali del servizio sanitario nazionale in funzione della tutela della salute pubblica, hanno la natura di rapporti libero professionali parasubordinati, che si differenziano da quelli di pubblico impiego per il difetto del vincolo della subordinazione.
L’ente pubblico opera, pertanto, nell’ambito esclusivo del diritto privato ed assume nei confronti del professionista gli obblighi che derivano dalla disciplina collettiva, alla quale la legge assegna un ruolo centrale, affidandole la funzione specifica di garantire, su base pattizia, ‘ l’uniformità del trattamento economico e normativo del personale sanitario a rapporto convenzionale … sull’intero territorio nazionale ‘ .
La sentenza impugnata, che ha ritenuto legittima la riduzione del compenso forfetario in applicazione delle previsioni contenute nell’ art. 59 Accordo Collettivo Nazionale, si è dunque attenuta a tali principi.
Il terzo motivo è fondato.
L’art. 59 , comma 10, dell’ACN 23.3.2005 prevede: « La maggiore spesa derivante dal superamento di una o più percentuali di cui al comma 8 è compensata dalla eventuale disponibilità di risorse derivante dalla sottoutilizzazione, in relazione alle percentuali di cui al comma 8, di altri istituti tra quelli di cui ai precedenti commi 4, 6 e 7. In tal caso i compensi e le indennità sono corrisposti nella misura e nei tempi previsti ai commi 4, 6 e 7 sia per gli istituti oggetto di compensazione che per quelli che non hanno superato le relative percentuali» .
Al di là del termine utilizzato, il meccanismo descritto nella suddetta disposizione non è riconducibile all’istituto della compensazione , che costituisce una modalità di estinzione dell’obbligazione quando sussistono debiti reciproci.
L ‘art. 1241 cod. civ. prevede infatti: « Quando due persone sono obbligate l’una verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti, secondo le norme degli articoli che seguono ».
Dalla sentenza impugnata risulta che i ricorrenti hanno fondato le domande proposte nel giudizio di primo grado sull’applicazione dell’art. 59 dell’ACN; la Corte territoriale era dunque tenuta ad esaminare la fattispecie anche con riferimento al meccanismo di cui al comma 10, sulla base dei relativi oneri probatori.
In conclusione, va accolto il terzo motivo e vanno rigettati gli altri motivi; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Non sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
La Corte accoglie il terzo motivo e rigetta gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro