Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33768 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33768 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
La Corte di Appello di Roma ha accolto il gravame proposto da Roma Capitale avverso la sentenza del Tribunale di Roma, che in accoglimento delle domande di NOME COGNOME, dipendente di Roma Capitale inquadrata come funzionario direttivo-amministrativo, aveva condannato Roma Capitale a corrispondere alla medesima i compensi ex art. 2, comma 3, Ordinanza PCM n. 3543/2006
La COGNOME aveva dedotto che con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 4.8.2006 (prorogato fino al 31.12.2012) era stato dichiarato lo stato di emergenza fino al 31.12.2008 per la situazione nel settore del traffico e della mobilità nel territorio di Roma, aveva dedotto che il Sindaco, nominato Commissario delegato per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza, aveva istituito l’ufficio speciale ‘emergenze traffico e mobilità’, al quale la medesima era stata assegnata svolgendo le relative mansioni dal 5.3.2010 al 31.12.2012 in forza delle determine dirigenziali n. 484 del 5.3.2010 e n. 79 del 29.7.2011 quale incaricata di posizione organizzativa/responsabile del coordinamento amministrativo per la programmazione e l’attuazione del programma Roma Capitale, prestando quotidianamente servizio per 8 ore e 40 minuti, ben oltre le 7 ore e 15 minuti previste contrattualmente.
La Corte territoriale ha rilevato che l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26.9.2006 ha attribuito al Commissario una mera facoltà, e non l’obbligo, di autorizzare prestazioni di lavoro straordinario ed ha evidenziato che nel caso di specie non vi era stata alcuna specifica autorizzazione per l’espletamento di lavoro straordinario , che avrebbe comunque dovuto essere ricompreso entro determinati limiti.
Il giudice di appello ha osservato che la mancanza di autorizzazione non si configura come un’eccezione in senso stretto, ma rappresenta uno degli elementi costitutivi del diritto alla maggiore retribuzione del pubblico dipendente, e che la COGNOME, su cui incombevano i relativi oneri assertivi e probatori, non aveva fornito alcuna allegazione e prova.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Roma Capitale ha resistito con controricorso.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine alla mancanza di prova dell’autorizzazion e all’espletamento del lavoro straordinario; erronea valutazione dei documenti versati in atti, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Sostiene che la COGNOME nei gradi di merito aveva dimostrato che l’Amministrazione aveva autorizzato e contabilizzato le prestazioni eccedenti le 36 ore settimanali; lamenta che la Corte territoriale non aveva tenuto conto delle risultanze documentali, i cui dati non erano stati contestati dall’Amministrazione (richiama sul punto i docc. nn. 11 e 12 della produzione di primo grado).
Lamenta che la sentenza impugnata manca di correttezza giuridica e coerenza logico-formale, evidenziando che il dato fornito in giudizio e oggetto di contraddittorio tra le parti era stato ignorato dalla Corte territoriale.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 113, 414 e 416 cod. proc. civ., nonché dell’art. 2697 cod. civ., per avere la Corte territoriale valutato a sostegno del rigetto della domanda della COGNOME circostanze non contestate, in relazione all’art. 360 , comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Deduce che la COGNOME aveva allegato e dimostrato la sussistenza dei presupposti per l’erogazione del compenso aggiuntivo; richiama i documenti nn. 11 e 12 allegati al ricorso.
Evidenzia che l’Amministrazione era rimasta contumace nel giudizio di primo grado, e non aveva dunque omesso di contestare l’a sussistenza dell’autorizzazione delle ore di servizio.
3. Il primo motivo è inammissibile.
A seguito della riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., sono inammissibili le censure relative alla contraddittorietà , all’ insufficienza e all’illogicità della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Inoltre la censura, nel prospettare la sussistenza della prova dell’autorizzazione dello straordinario prestato, non si confronta con il decisum e sollecita un giudizio di merito facendo leva su documenti che nemmeno risultano dalla sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha rilevato che l’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26.9.2006 ha attribuito al Commissario una mera facoltà, e non l’obbligo, di autorizzare prestazioni di lavoro straordinario; ha inoltre ravvisato il difetto di allegazione e di prova, da parte della COGNOME, in odine all’ autorizzazione per l’espletamento di lavoro straordinario, quale elemento costitutivo della domanda.
A fronte di tali statuizioni, la censura si limita a sollecitare la disamina di documenti (peraltro non menzionati dalla sentenza impugnata) da cui risulterebbe la prova delle ore di lavoro straordinario svolte dalla COGNOME.
Anche il secondo motivo è inammissibile, in quanto si limita a prospettare la mancata contestazione, da parte di Roma Capitale, in ordine all’autorizzazione delle ore di servizio prestate dalla COGNOME, senza dedurre che nel ricorso di primo grado la COGNOME aveva allegato la sussistenza dell’autorizzazione datoriale allo svolgimento di lavoro straordinario.
Deve peraltro rammentarsi che spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte (Cass. n. 3680/2019 e negli stessi termini Cass. n. 27490/2019).
La sentenza impugnata è inoltre conforme all’orientamento di questa Corte, secondo cui in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone necessariamente la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass. n. 2509/2017).
Si è in particolare chiarito che il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto, che presuppone la previa autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 cod. civ. (applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato), interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la presenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 cod. civ. (Cass. n. 23506/2022)
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per il ricorrente, di versare
l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 2000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2024.
Il Presidente
Dott. NOME COGNOME