Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4985 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 4985  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 17648/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione, rappresentata  e  difesa  dall’AVV_NOTAIO ,  con  diritto  di  ricevere  le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia ;
-ricorrente –
contro
NOME  COGNOME,  domiciliata  in  Roma,  INDIRIZZO,  presso  la  Cancelleria della  Suprema  Corte  di  Cassazione,  rappresentato  e  difeso dall’AVV_NOTAIO, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
-controricorrente- avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bari n. 237/2024 pubblicata il 13 febbraio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME, dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE dal 17 maggio 2010, con qualifica di operaio specializzato IV livello CCNL di settore (in particolare, aveva svolto mansioni di ‘forestale’, ha chiesto al Tribunale di Foggia di accertare l’inadempimento dell’RAGIONE_SOCIALE (da ora, solo RAGIONE_SOCIALE), sua datrice di lavoro, e la condanna della stessa a pagare, per il periodo dal 1° aprile 2016 e sino alla data di deposito del ricorso, avvenuto il 22 dicembre 2016, le somme dovute a titolo di straordinario, da quantificarsi in separato giudizio o, in subordine, a risarcire il danno subito.
Egli ha esposto che, con ordine di servizio del 10 aprile 2012, erano stati stabiliti dei turni di servizio giornalieri di otto ore, di cui un’ora e mezza a titolo di straordinario.
Il  Tribunale  di  Bari,  nel  contraddittorio  delle  parti,  con  sentenza  del  3 febbraio 2022, ha accolto il ricorso.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto appello.
La Corte d’appello di Bari, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 237/2024, ha rigettato l ‘ impugnazione.
L’RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
NOME COGNOME si è difeso con controricorso e ha depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 163, comma 2, n. 3 e 4, c.p.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato a non accogliere la sua eccezione di nullità del ricorso di primo grado per indeterminatezza dell’oggetto.
La  censura  è  inammissibile,  non  avendo  la  RAGIONE_SOCIALE  ricorrente  riprodotto, neppure in sintesi rilevante, il contenuto essenziale del menzionato ricorso di primo grado.
Peraltro, si evidenzia che il giudice di secondo grado ha ritenuto non solo infondata,  ma  pure  non  tempestiva  l’eccezione  di  nullità  menzionata  e, comunque,  raggiunto  lo  scopo  del  ricorso,  alla  luce  del  contenuto  delle difese  dell’RAGIONE_SOCIALE,  e  che,  in  ordine  a tali  ulteriori rationes  decidendi della sentenza impugnata, nessuna contestazione vi è stata.
2) Con il secondo motivo la P.A. ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 165 del 2001, della legge Regione RAGIONE_SOCIALE n. 3 del 2010, dell’art. 3, comma 83, della legge n 244 del 2007 e dell’art. 97 Cost., perché la corte territoriale non avrebbe correttamente tenuto conto della sua natura pubblica e, quindi, della necessità di applicare, nella specie, il d.lgs. n. 165 del 2001, con conseguente obbligo di preventiva autorizzazione formale dello straordinario. In particolare, denuncia l’erroneo ricorso agli artt. 9 e 50 del CCNL forestali e 12 CIRL, in contrasto con la norma imperativa dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, atteso che, comunque, non sarebbero stati neppure installati i sistemi di rilevazione automatica delle presenze, gli unici strumenti in grado di accertare la presenza in ufficio del dipendente. In ogni caso, sarebbe stato possibile ricorrere allo strumento del riposo compensativo
La doglianza è in parte inammissibile e in parte infondata.
Essa è inammissibile per quel che concerne l’aspetto della natura di P.A. ai sensi del d.lgs. n. 165 del 2001 della parte ricorrente e la riconduzione del rapporto di lavoro con la stessa al pubblico impiego contrattualizzato e quanto alla normativa applicata.
Infatti,  l’RAGIONE_SOCIALE  non  ha  assolutamente  compreso  la ratio  decidendi della sentenza impugnata, la quale ha con chiarezza affermato la natura pubblica di parte ricorrente e contrattualizzata del rapporto di lavoro in esame e ha fondato il diritto del dipendente sull’art. 2126 c.c.
Risulta inammissibile, altresì, il richiamo alla tematica del riposo compensativo.
La Corte d’appello di Bari aveva respinto la contestazione sul presupposto che  la  sentenza  di  primo  grado,  negativa  per  la  P.A.,  non  era  stata impugnata sul punto e, al riguardo, nulla di specifico ha dedotto nel suo ricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
La censura è, invece, infondata per quel che interessa la necessità della previa  autorizzazione  formale  e  la  natura  di  esclusivo  strumento  di accertamento della presenza del dipendente in ufficio dei menzionati sistemi di rilevazione.
In ordine all’autorizzazione, in effetti, la giurisprudenza della S.C. ha affermato, fino a pochi anni fa, che, in tema di pubblico impiego contrattualizzato, il diritto al compenso per il lavoro straordinario svolto presuppone, di necessità, la previa autorizzazione dell’amministrazione, poiché essa implica la valutazione della sussistenza delle ragioni di interesse pubblico che impongono il ricorso a tali prestazioni e comporta, altresì, la verifica della compatibilità della spesa con le previsioni di bilancio (Cass., Sez. L, n. 2509 del 31 gennaio 2017).
Più di recente, però, la RAGIONE_SOCIALE ha chiarito il suo precedente orientamento, precisando che, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disp osto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).
Ciò  perché,  in  tema  di  pubblico  impiego  contrattualizzato,  il  diritto  al compenso  per  il  lavoro  straordinario  svolto,  che  presuppone  la  previa
autorizzazione dell’amministrazione, spetta al lavoratore anche laddove la richiesta autorizzazione risulti illegittima e/o contraria a disposizioni del contratto collettivo, atteso che l’art. 2108 c.c., applicabile anche al pubblico impiego contrattualizzato, interpretato alla luce degli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165 del 2001 e dell’art. 97 Cost., prevede il diritto al compenso per lavoro straordinario se debitamente autorizzato e che, dunque, rispetto ai vincoli previsti dalla disciplina collettiva, la p resenza dell’autorizzazione è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c. (Cass., Sez. L, n. 23506 del 27 luglio 2022).
Espressione di questo orientamento più attuale è pure la giurisprudenza per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni ‘aggiuntive’ -ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv., con modif., dalla legge n. 1 del 2002, – è subordinato al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione RAGIONE_SOCIALE, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023).
Nella stessa ottica, va letta la sentenza di questa Sezione n. 27842 del 3 ottobre 2023, per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il dipendente di un’RAGIONE_SOCIALE che nell’ambito del rapporto di lavoro ha eseguito, in favore di soggetti terzi e con il consenso dell’amministrazione di ap partenenza, prestazioni oltre il normale orario ha diritto a essere retribuito per il lavoro straordinario svolto (ex art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c. e a lla luce degli artt. 35 e 36 Cost.) in base alle previsioni della contrattazione collettiva nazionale
applicabile  e  di  quella  integrativa  conforme,  senza  che  rilevi  la  mancata approvazione, da parte del datore di lavoro, dei progetti relativi a siffatte prestazioni e dei correlati atti interni di riparto, fra il personale interessato, delle somme riscosse in dipendenza di tali progetti.
Dalla  giurisprudenza  menzionata,  emerge  come,  nel  pubblico  impiego contrattualizzato, l’autorizzazione della P.A. sia necessaria perché il dipendente possa prestare lavoro straordinario.
Si tratta, quindi, di un elemento costitutivo della pretesa del lavoratore che agisca per il suo pagamento e che, pertanto, deve essere da lui allegato e dimostrato.
Questa autorizzazione, però, può essere anche implicita e, soprattutto, è sufficiente che la prestazione integrante lavoro straordinario sia resa non insciente  o  prohibente  domino o,  comunque,  in  modo  coerente  con  la volontà del datore o del soggetto preposto.
Nella specie, peraltro, la corte territoriale ha accertato la presenza di un ordine di servizio del Direttore generale dell’RAGIONE_SOCIALE, il quale aveva disposto che gli addetti alla custodia, fra cui il lavoratore, avrebbero dovuto fare turni di custodia di otto ore al giorno, ‘cioè – si dice espressamente – 6,5 ore più 1,5 di straordinario’.
Il requisito dell’autorizzazione è stato, quindi, rispettato.
Risulta infondata la censura anche in ordine al rilievo degli strumenti di rilevazione delle presenze.
L’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 prescrive, in effetti, che ‘Le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro straordinario se non previa attivazione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze’.
Peraltro, si evidenzia che la giurisprudenza è ormai orientata, come sopra detto, nel senso che, in tema  di pubblico impiego privatizzato, il riconoscimento del diritto a prestazioni ‘aggiuntive’ -ai sensi dell’art. 1 d.l. n. 402 del 2001, conv., con mod., dalla legge n. 1 del 2002, è subordinato
al ricorrere dei presupposti dell’autorizzazione RAGIONE_SOCIALE, della presenza in capo ai lavoratori di requisiti soggettivi e della determinazione tariffaria; tuttavia, pur in mancanza dei menzionati presupposti, l’attività lavorativa oltre il debito orario comporta il diritto al compenso per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, purché sussista il consenso datoriale che, comunque espresso, è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c., a nulla rilevando il superamento dei limiti e delle regole riguardanti la spesa pubblica, che determina, però, la responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione (Cass., Sez. L, n. 18063 del 23 giugno 2023).
Ciò è confermato dalla giurisprudenza per la quale, in tema di pubblico impiego privatizzato, il disposto dell’art. 2126 c.c. non si pone in contrasto con le previsioni della contrattazione collettiva che prevedono autorizzazioni o con le regole normative sui vincoli di spesa, ma è integrativo di esse nel senso che, quando una prestazione, come quella di lavoro straordinario, è stata svolta in modo coerente con la volontà del datore di lavoro o comunque di chi abbia il potere di conformare la stessa, essa va remunerata a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto delle regole sulla spesa pubblica, dovendosi dare la prevalenza alla necessità di attribuire il corrispettivo al dipendente, in linea con il disposto dell’art. 36 Cost. (Cass., Sez. L, n. 17912 del 28 giugno 2024).
Da quanto sopra, si evince che, purché vi sia un consenso del datore di lavoro, anche se prestato in maniera non formalmente corretta, il lavoro straordinario va pagato.
L’eventuale  violazione  di  normativa  concernente  la  regolarità  della richiesta o i limiti di spesa pubblica si può tradurre in una responsabilità contabile di chi lo straordinario abbia consentito, ma non in un danno per il lavoratore che la sua prestazione abbia reso.
Ne deriva che l’eventuale mancato rispetto del disposto dell’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 non assume rilievo.
In aggiunta a ciò, deve evidenziarsi che la corte territoriale ha verificato che  non  erano  stati  installati,  nel  periodo  qui  in  esame,  i  sistemi  di rilevazione automatica delle presenze di cui all’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007.
Al  riguardo,  deve  affermarsi,  quindi,  come  l’assenza  degli  strumenti  in esame renda inapplicabile, nella specie, il citato art. 3, comma 83.
Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la motivazione assente, apparente, manifestamente e irriducibilmente contraddittoria e fa riferimento alle norme contabili e, di nuovo, all’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 e all’art. 97 Cost.
La  censura  è  inammissibile  per  quel  che  concerne  la  motivazione, presente,  logica  e  ben  sviluppata,  e  infondata  in  ordine  alle  disposizioni richiamate, per le ragioni che hanno condotto al parziale rigetto del secondo motivo.
4) Il ricorso è rigettato, in applicazione dei seguenti principi di diritto:
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il lavoratore ha diritto al pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario nella misura prevista dalla contrattazione collettiva, ove sia eseguita con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di conformare la relativa prestazione e, comunque, non insciente o prohibente domino o in modo coerente con la volontà del soggetto preposto, a prescindere dalla validità della richiesta o dal rispetto dei limiti e delle regole sulla spesa pubblica, che può incidere, eventualmente, sulla responsabilità dei funzionari verso la pubblica amministrazione, atteso che tale consenso è il solo elemento che condiziona l’applicabilità dell’art. 2126 c.c., in relazione all’art. 2108 c.c.’;
‘In tema di pubblico impiego contrattualizzato, il dipendente ha diritto al pagamento della prestazione per lavoro straordinario, ove sia resa con il consenso, anche implicito, del datore di lavoro o di chi abbia il potere di
conformarla e, comunque, non insciente o prohibente domino o  in  modo coerente con la volontà del soggetto preposto, ben potendo l’esecuzione di detta prestazione essere dimostrata anche tramite testi, a prescindere da quanto previsto dall ‘art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007, in base al quale le pubbliche amministrazioni non possono erogare compensi per lavoro  straordinario  se  non  previa  attivazione  dei  sistemi  di  rilevazione automatica delle presenze ‘ ;
‘Il di vieto introdotto da ll’art. 3, comma 83, della legge n. 244 del 2007 non preclude il pagamento della prestazione resa per lavoro straordinario dal pubblico dipendente contrattualizzato, qualora non siano stati ancora installati i sistemi di rilevazione automatica delle presenze di cui al citato art. 3, comma 83’.
Le  spese  di  lite  seguono  la  soccombenza  e  sono  liquidate  come  in dispositivo.
Se ne dispone la distrazione in favore del difensore del controricorrente, AVV_NOTAIO, dichiaratosi antistatario.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della  P.A. ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso  a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
 condanna  parte  ricorrente  a  rifondere  le  spese  di  lite,  che  liquida  in complessivi  € 2.500 ,00  per  compenso  professionale  ed  €  200,00  per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%, da distrarsi  in  favore  del  difensore  AVV_NOTAIO,  dichiaratosi antistatario;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  da  parte  della  P.A.
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 7