LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Compenso incentivante RUP: l’onere della prova

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14550/2024, ha stabilito che per ottenere il compenso incentivante RUP, il dipendente pubblico deve fornire prova rigorosa del completamento effettivo dei progetti supervisionati. Il ricorso di un dirigente contro un’Amministrazione Provinciale è stato dichiarato inammissibile proprio per la mancata dimostrazione di questo presupposto fondamentale, rendendo irrilevanti le altre censure sollevate.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso incentivante RUP: la prova del lavoro svolto è essenziale

Il diritto a ricevere un compenso incentivante RUP (Responsabile Unico del Procedimento) nel settore pubblico non è automatico. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale: chi richiede tale compenso deve dimostrare in modo inequivocabile non solo di essere stato nominato, ma anche di aver effettivamente portato a termine le attività e i progetti previsti. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I fatti di causa

Un dirigente di un’Amministrazione Provinciale, che aveva ricoperto il ruolo di RUP per diverse procedure, ha citato in giudizio l’ente pubblico per ottenere il pagamento del compenso incentivante previsto dalla normativa sugli appalti pubblici (in particolare, Legge n. 109/1994 e D.Lgs. n. 163/2006).

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto la sua domanda. La Corte territoriale, in particolare, ha basato la sua decisione su due punti principali: primo, il dirigente non aveva fornito prove concrete su quali attività fossero state effettivamente portate a termine; secondo, mancava la prova che i criteri per la determinazione del compenso fossero stati definiti tramite contrattazione collettiva, come richiesto dalla legge.

Il dirigente, non soddisfatto della decisione, ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di aver invece provato l’esecuzione delle opere e l’esistenza di un regolamento interno per l’erogazione degli incentivi.

La decisione della Corte di Cassazione sul compenso incentivante RUP

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione della Corte d’Appello. Il punto centrale della pronuncia non risiede tanto nell’analisi della normativa sugli incentivi, quanto su un principio fondamentale del processo civile: l’onere della prova.

I giudici hanno chiarito che il ricorso si basava su una pluralità di motivi. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva fondato la sua decisione su due distinte rationes decidendi (ragioni giuridiche), ciascuna di per sé sufficiente a giustificare il rigetto della domanda. Una di queste era l’assenza di prove adeguate sul compimento effettivo dei progetti.

La Cassazione ha sottolineato come questa motivazione, da sola, fosse inattaccabile e sufficiente a sostenere la sentenza. Di conseguenza, anche se le altre censure del ricorrente fossero state fondate, non avrebbero potuto portare alla cassazione della decisione, poiché questa poggiava comunque su una base solida e non scalfita.

La valutazione delle prove: un compito del giudice di merito

La Corte ha ribadito un principio consolidato: la valutazione del materiale probatorio è un compito riservato esclusivamente al giudice di merito (Tribunale e Corte d’Appello). La Cassazione non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici dei gradi precedenti. Il suo ruolo è controllare che il ragionamento seguito sia logico e plausibile. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva motivato in modo coerente la sua conclusione sull’insufficienza delle prove, e tale valutazione non era sindacabile in sede di legittimità.

Le motivazioni

La motivazione centrale dell’inammissibilità risiede nel fatto che il ricorrente, criticando la valutazione della Corte d’Appello sulla mancanza di prove, stava in realtà chiedendo alla Cassazione un nuovo giudizio sui fatti. Questo è precluso. La Corte ha stabilito che la ratio decidendi relativa all’assenza di prova sul completamento dei progetti era una ragione di per sé idonea a sorreggere l’intera decisione. Poiché il ricorrente non è riuscito a scalfire questa motivazione, ogni altro motivo di ricorso è diventato inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse. In altre parole, anche discutere della validità del regolamento interno per la determinazione del compenso sarebbe stato inutile, dato che mancava il presupposto fondamentale per la sua applicazione: la prova del lavoro svolto.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: chi agisce in giudizio per ottenere il pagamento di un compenso incentivante RUP non può limitarsi ad allegazioni generiche o alla sola produzione dell’atto di nomina. È indispensabile fornire un quadro probatorio completo e dettagliato che dimostri, senza ombra di dubbio, l’effettivo compimento delle attività e il raggiungimento dei risultati per i quali l’incentivo è previsto. La mancanza di questa prova costituisce un vizio fatale che porta inevitabilmente al rigetto della domanda, rendendo superfluo l’esame di ogni altra questione giuridica.

Cosa deve provare un dipendente pubblico per ottenere il compenso incentivante come RUP?
Secondo l’ordinanza, il dipendente deve fornire prova adeguata e specifica del compimento effettivo dei progetti per i quali chiede il compenso. Non è sufficiente dimostrare solo il conferimento dell’incarico.

Perché la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la decisione della Corte d’Appello si basava su una ratio decidendi solida e non validamente contestata: l’assenza di prova sul completamento dei lavori. Questa singola motivazione era sufficiente a sorreggere la sentenza, rendendo irrilevanti le altre censure.

È sufficiente dimostrare l’esistenza di un regolamento che definisce i criteri del compenso per averne diritto?
No. L’esistenza di un regolamento è una condizione necessaria ma non sufficiente. La prova dell’adozione di un regolamento è logicamente subordinata alla dimostrazione del presupposto principale, ovvero l’aver effettivamente eseguito le attività che danno diritto all’incentivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati