Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4190 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4190 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6597/2018 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Sindaco p.t. elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1921/2017 depositata il 29/11/2017, RG n. 437 del 2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1.
ll’art 59, comma 1, lett. p ), del d.lgs. 446 del 1997, e all’art 17 lett. g ), del CCNL 1° aprile 1999, per
Ricordava che, a norma dell’art 3, comma 1, del suddetto regolamento il relativo fondo era costituito da una quota pari all’8% delle somme regolarmente riscosse nell’anno precedente e altresì non contestate, a seguito dell’emissione di avvisi di liquidazione e accertamento ICI, al netto delle sanzioni, interessi e spese di notifica, de dotte eventuali spese derivanti dall’assunzione di personale straordinario e/o dall’attivazione di convenzioni con altri enti per l’esecuzione di attività di accertamento ed e vasione di imposta.
Al comma 2, venivano invece indicati i coefficienti di ripartizione ai componenti dell’Ufficio tributi con le seguenti percentuali: 12% al responsabile d’imposta (o di procedimento), 50% al personale dell’ufficio tributi addetto all’accertamento, 20% ai collaboratori tecnici, 18% ai collaboratori amministrativi.
Il lavoratore deduceva che alla luce dell’art. 3 del richiamato regolamento, essendo l’unico, ad esclusione del responsabile del procedimento, addetto in modo esclusivo e costante
all’accertamento ICI nell’ambito dell’Ufficio tributi, aveva diritto alla percentuale del 25% per il personale dell’ufficio addetto all’accertamento (l’ altro 25% spettando alla responsabile dell’ufficio ), alla percentuale del 20% perché aveva svolto mansioni di collaboratore tecnico, alla percentuale del 18% perché aveva svolto le mansioni di collaboratore amministrativo avendo inserito i dati inerenti l’accertamento ICI , come previsto dal regolamento.
Il Tribunale di Paola riconosceva il diritto del ricorrente all’incentivo come richiesto e condannava il Comune di Praia a RAGIONE_SOCIALE al pagamento dell’intero importo risultante dalla sommatoria delle percentuali degli incentivi previsti per la figura di collaboratore amministrativo pari al 18% , collaboratore tecnico pari al 20% e di adde tto all’accertamento nella misura del 25% per un totale di 27.151,99 al netto dell’importo di euro 1 .035,00 liquidato con la delibera 26 del 28.01.2009, oltre agli interessi legali dalla maturazione del credito al soddisfo e il favore delle spese.
La Corte d’Appello pronunciando sull’impugnazione proposta dal Comune RAGIONE_SOCIALE Praia a RAGIONE_SOCIALE, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, condannava il Comune RAGIONE_SOCIALE Praia a RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 7.877,336 oltre accessori come per legge, e confermava nel resto la sentenza del Tribunale.
La Corte d’Appello ha affermato che non era condivisibile il calcolo della quota spettante al ricorrente per come dallo stesso richiesto e cioè con riguardo alla quota destinata al personale ufficio tributi addetto all’accertamento, alla quota per il collaboratore tecnico e alla quota per il collaboratore amministrativo.
Ad avviso della Corte il ricorrente nella domanda si sarebbe limitato a descrivere le mansioni del collaboratore tecnico (quota 18%) e la prova testimoniale non sarebbe valsa a dimostrare lo svolgimento di compiti di altra natura eventualmente rilevanti ai fini
di cui si discute, essendosi le due testimoni limitate a confermare giudizi valutativi che sul punto erano contenuti nei capitoli di prova.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando sette motivi di ricorso.
Resiste il Comune di Praia a RAGIONE_SOCIALE con controricorso assistito da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre premettere che la Corte d’Appello ha affermato che le allegazioni del lavoratore in ordine alle ragioni che fonderebbero il diritto al compenso incentivante concernevano l’essersi occupato del potenziamento dell’Ufficio Tributi comunali nell’attività di recupero dell’Imposta comunale sugli immobili (ICI), analizzando i dati catastali sugli immobili e provvedendo all’aggiornamento delle rendite e degli estimi, nonché immettendo i relativi dati.
Nessuna di tali deduzioni era stata specificamente contestata nella memoria del Comune, come non risultava specificamente contestato che fosse stato l’unico, unitamente alla responsabile dell’ Ufficio, a svolgere tali attività.
1.1. La Corte d’Appello, ha quindi ricordato che il lavoratore aveva prospettato che essendo l’unico addetto ai compit i previsti, oltre alla responsabile dell’ Ufficio, aveva diritto alla quota destinata al personale ufficio tributi addetto all’accertamento, a quella destinata ai collaboratori tecnici e a quella destinata ai collaboratori amministrativi.
La Corte d’Appello ha disatteso tale prospettazione , affermando che l’avrebbe potuta accogliere solo se il ricorrente avesse dedotto e provato di avere svolto le mansioni proprie di tutte le figure professionali richiamate.
Le mansioni descritte in domanda erano, invece, quelle proprie di ‘collaboratore tecnico’ (‘compiti relativi all’accertamento catastale di natura tecnica -analizzando i dati catastali sugli immobili
provvedendo all’aggiornamento delle rendite e degli estimi al fine dell’applicazione dell’imposta’), e la prova testimoniale non era valsa a dimostrare lo svolgimento di compiti di altra natura eventualmente rilevanti ai fini di cui si discute, essendosi le due testimoni limitate a confermare giudizi valutativi che, sul punto, erano contenuti nei capitolati.
Con il primo motivo di ricorso è dedotto: art. 360, nn. 3 e 4, falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, in combinato disposto all’ 111, comma 4, Cost. e nullità della sentenza per vizio di carenza di motivazione.
Vi sarebbe contraddittorietà tra le premesse e le conclusioni cui perviene la Corte d’Appello, che riconosce le allegazioni di parte ricorrente e la prova dallo stesso svolta concludenti ed esaustive sia per la mancata contestazione del resistente sul punto, sia per la prova orale espletata, avallando il ragionamento e la decisione sul punto del Giudice di primo grado, salvo poi ritenere quelle stesse deduzioni non idonee a fondare in toto la domanda.
Le deduzioni in ricorso e i capitoli di prova articolari da esso lavoratore, erano esaustivi rispetto al Regolamento che costituisce l’unica fonte a cui far riferimento per valutare l’esaustività delle allegazioni del ricorrente e la valutazione della prova effettuata dalla Corte d’Appello era apodittica.
3. Il motivo è inammissibile.
Come questa Corte ha avuto modo di ribadire (Cass., n. 26764 del 2019, che richiama Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232), l’apparenza della motivazione che, potendosi parificare alla motivazione inesistente, ne consente la censura ai sensi dell’art. 132 n. 4, cod. proc. civ. si verifica nel caso in cui essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal
giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le pi. varie, ipotetiche congetture: in questi casi si può dunque parlare di assenza di una motivazione percepibile realmente come tale.
Nella specie, l’ iter logico seguito dalla Corte d’Appello, mancata contestazione sulle allegazioni del lavoratore ma non compiutezza delle stesse rispetto al diritto azionato, fondato sull’assunto per cui quanto dedotto non fosse idoneo alla prova delle fattispecie invocate, è infatti del tutto percepibile, a nulla rilevando, perché la legge processuale non li valorizza, i profili di sufficienza nell’esplicitazione dei singoli passaggi di interconnessione tra la conclusione (inidoneità alla dimostrazione dei fatti idonei ad integrare la fattispecie) e il fondamento di esse (tenore concreto delle allegazioni svolte); né le affermazioni motivazionali presentano profili di contraddittorietà che possano far ipotizzare per tale via un difetto di motivazione rilevante ex art. 132 n. 4, cod. proc. civ. e art. 111, comma 4, Cost.
Di talchè la censura manca di un presupposto valido.
Peraltro, si osserva che la Corte d’Appello ha sì affermato che le testimoni NOME COGNOME e NOME COGNOME, colleghe del ricorrente avevano confermato le circostanze sopra richiamate al punto 1.1. ( l’essersi occupato del potenziamento dell’Ufficio Tributi comunali nell’attività di recupero dell’Imposta comunale sugli immobili, ICI, analizzando i dati catastali sugli immobili e provvedendo all’aggiornamento delle rendite e degli estimi, nonché immettendo i relativi dati, e unico ad occuparsene oltre alla responsabile), ma in un ulteriore passo della sentenza ha invece escluso che la prova per testi fosse valsa a dimostrare lo svolgimento di compiti di altra natura rispetto a quelli di collaboratore tecnico -in ordine ai quali ha riconosciuto il diritto all’indennità – perché le due testi si erano limitate a confermare giudizi valutati, che sul punto erano contenuti nei capitolati.
In ordine a tale statuizione, che non presenta contraddizioni, si rileva che la censura del lavoratore si fonda sulla riproduzione proprio dei capitolati, assumendone la chiarezza, mentre la ratio decidendi verte sull’esito dell’espletamento della prova testimoniale, con conseguente inammissibilità.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotto: art 360, nn. 3 e 4, cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione dell’art. 416, comma 3, cod. proc. civ.
Assume il ricorrente che la mancata contestazione da parte dell’Amministrazione determinava per il giudice di appello la preclusione a riaffrontare e valutare la domanda sotto il profilo dell’ an e della causa petendi in forza della preclusione prevista dall’art. 416, comma 3, cod. proc. civ.
Ad avviso del ricorrente la ritenuta non contestazione della domanda, sotto il profilo dei fatti inerenti allo svolgimento delle mansioni, che davano diritto agli incentivi richiesti dal ricorrente per le tre figure professionali indicate dal regolamento, determina una preclusione su tutti i profili della stessa.
5. Il motivo è inammissibile.
La logica stessa che presiede al principio di non contestazione e al giudizio d’appello ad escludere che, spirato il termine di cui all’art. 416, cod. proc. civ., possano introdursi nuove contestazioni in punto di fatto.
Unica deroga al principio appena esposto è costituita dalla possibilità che il giudice positivamente accerti, d’ufficio, l’esistenza o l’inesistenza di fatti non contestati alla luce delle risultanze probatorie già ritualmente e tempestivamente acquisite in linea con quanto già statuito da (si v., Cass., n26395 del 2016 e n. 4854 del 2014), secondo cui nel processo del lavoro le parti concorrono a delineare la materia controversa, di modo che la mancata contestazione del fatto costitutivo del diritto rende inutile provare il
fatto stesso, in quanto lo rende incontroverso, mentre la mancata contestazione dei fatti dedotti in esclusiva funzione probatoria opera unicamente sulla formulazione del convincimento del giudice (Cass., n. 1878 del 2012).
Tale deroga deve ritenersi integrata anche nella vicenda in esame in cui la disamina delle risultanze istruttorie, già acquisite al processo, ha indotto la Corte territoriale ad escludere lo svolgimento delle mansioni dei profili professionali rispetto ai quali era previsto la corresponsione dell’incentivo, di talché la censura si sostanzia nella richiesta di un riesame degli esiti dele prove, inammissibile in sede di legittimità.
Com’è noto, il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito, dovendo, invece, solo controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto nei limiti del ragionevole e del plausibile (si v., Cass. n. 11176 del 2017).
6. Con il terzo motivo di ricorso è dedotto: art. 360, commi 3 e 4, cod. proc. civ. Erronea e falsa applicazione dell’art 3 del regolamento per l’erogazione dell’incentivo di cui all’art 59 c. 1 lett. p), della legge n. 46 del 1997, di cui alla delibera di approvazione GM 165/2000.
La sentenza della Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto del regolamento e ne avrebbe travisato la portata. Ed infatti, assume il ricorrente, è il regolamento a stabilire che l’incentivo per il collaboratore amministrativo è riconosciuto a colui che svolge attività di immissione dati e attività amministrativa che esso lavoratore
aveva provato. Con riguardo alla categoria del personale dell’Ufficio addetto all’accertamento, cui il regolamento attribuisce il 50%, il regolamento non individuava una figura professionale ma nell’ambito della disciplina delle attività incentivante per il controllo dell’evasione, prevede un incentivo che viene attribuito a tutti coloro che partecipano all’attività dell’accertamento, sia come collaboratori amministrativi sia come collaboratori tecnici. Erano quindi errate le contestazioni svolte in secondo grado dall’Amministrazione.
Il motivo è inammissibile, atteso che la censura dell’interpretazione del regolamento in questione esula dall’ambito della censura di cui all’art. 360, n. 3, e n. 4 cod. proc. civ.
Il motivo non considera l’orientamento di questa Corte secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione si sollevino censure che comportino l’esame di delibere comunali, decreti sindacali e regolamenti’ comunali, è necessario che siano dedotti i criteri di ermeneutica asseritamente violati, con l’indicazione delle modalità attraverso le quali il giudice di merito se ne sia discostato, non potendo la relativa censura limitarsi ad una mera prospettazione di un risultato interpretativo diverso da quello accolto nella sentenza, in quanto l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce un accertamento di fatto istituzionalmente riservato al giudice di merito (si v., Cass., n. 1951 del 2022, si v. anche Cass. 29111 del 2017 sull’interpretazione dei contr atti). Peraltro il ricorrente censura la sentenza di appello attraverso una diretta censura delle deduzioni dell’Amministrazione in appello, che sono atti difensivi di parte precedenti alla pronuncia della sentenza e alla ratio decidendi della stessa.
Con il quarto motivo di ricorso è prospettato: art. 360, n. 3 e n. 4. Violazione degli artt. 342 -434, cod. proc. civ., sull’effetto devolutivo dell’appello.
Assume il ricorrente che il giudice di appello avrebbe deciso una questione non sollevata in modo specifico dall’appellante con conseguente violazione degli artt. 342 e 434, cod. proc. civ.
La difesa in appello dell’Amministrazione era priva di una puntuale contestazione relativa al fatto che il ricorrente aveva dedotto e provato di svolgere mansioni riconducibili esclusivamente alla figura del collaboratore tecnico e non anche in quello del collaboratore amministrativo e di addetto all’accertamento.
L’Amministrazione si era limitata a contestare il raggiungimento della prova per effetto della valenza a titolo di contestazione da parte del resistente dei documentati allegati in atti.
La Corte d’Appello aveva disatteso l’eccezione di improcedibilità e inammissibilità dell’appello e delle contestazioni dell’appellante, e aveva introducendo motu proprio un argomento non introdotto dalla controparte, che non ha evidenziato lo specifico motivo di gravame, ha di fatto con decisione, contraddittoria, riformato la sentenza impugnata e quindi accolto l’appello.
Con il quinto motivo di ricorso è illustrato: art. 360, n. 4, per nullità della sentenza e del procedimento. Art 360, n 3 e n. 4 Falsa applicazione della norma di diritto art 112 cod. proc, civ. e nullità della sentenza per errores in procedendo a causa di vizio di ultrapetizione.
Assume il ricorrente che la sentenza di appello è viziata, secondo i principi della giurisprudenza di legittimità, da ultrapetizione atteso che l’appellante ha precipuamente e anche parzialmente – contestato lo svolgimento delle mansioni nonché la prova delle stesse ma giammai le deduzioni da parte del ricorrente delle mansioni stesse così come invece ha ritenuto il Giudice d’appello riformando la sentenza di prime cure, pur avendo in premessa confermato la mancata contestazione in primo grado da
parte del resistente. Ricorda quindi la contraddittorietà della sentenza già illustrata nella trattazione del primo motivo di ricorso.
10. Con il sesto motivo di ricorso è dedotto: art 360, n. 3 e n. 4. Falsa applicazione della norma di diritto di cui all’art 437 , comma 2.
Prospetta il lavoratore che laddove la sentenza impugnata non venisse considerata emessa ultra petita , le eccezioni e le contestazioni mosse dall’appellante non potrebbero resistere alla censura della violazione del divieto di ius novorum in appello, sancito nell’art 437, comma 2, cod. proc. civ. Ed infatti, nell’ambito del giudizio di primo grado, l’appellante non muoveva contestazioni sullo svolgimento delle mansioni da parte del ricorrente ritenendo non contestata l’intera prospettazione della parte su fatti principali della domanda e non su questioni secondarie.
11. I quarto, il quinto e il sesto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Con gli stessi il ricorrente prospetta che il giudice di appello non avrebbe deciso secondo il thema decidendum risultante dalle allegazioni e prove del ricorrente e da lla non contestazione dell’Amministrazione, incorrendo in ultrapetizione, quale sorta di ius novorum in appello.
Gli stessi non sono fondati.
Giova ricordare che l’applicazione del principio iura novit curia , di cui all’art. 113, primo comma, cod. proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della sua decisione princìpi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, nondimeno -dall ‘ altro lato – tale principio deve essere posto in immediata correlazione con il divieto di ultra o extrapetizione, di cui all’art. 112, cod.proc.civ., in applicazione del
quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non richiesto o diverso da quello domandato (Cass., n. 15368 del 2022, e giurisprudenza dalla stessa richiamata).
Nella specie, il ricorrente agiva in giudizio per il riconoscimento degli incentivi previsti dal regolamento comunale per l’attività di riscossione ICI dal 2001 al 2007, oltre accessori, precisando ‘di aver esercitato i compiti relativi all’accertamento catastale in natura tecnica, analizzando i dati catastali degli immobili e provvedendo all’aggiornamento delle rendite e degli estimi, al fine dell’applicazione dell’imposta, effettuando anche l’attività di immissione dati e attività amministrative inerenti all’accertamento ICI’ (pag. 4 del ricorso per cassazione). Il lavoratore affermava alla luce dell’art. 3 del regolamento di aver diritto alla quota di incentivo del 25% quale personale dell’ufficio addetto all’accertamento, del 20% per lo svolgimento delle mansioni di collaboratore tecnico e alla percentuale del 18% per le mansioni di collaboratore amministrativo, avendo inserito i dati inerenti all’accertamento ICI, come previsto dal regolamento.
Il Comune di Praia a RAGIONE_SOCIALE resisteva alla domanda sia pure non contestando alcune delle allegazioni (si v. sentenza di appello ‘l’essersi occupato del potenziamento dell’ufficio tributi comunale nell’attività di recupero dell’ICI. Analizzando i dati catastali sugli immobili e provvedendo all’aggiornamento delle rendite e degli estimi, nonché immettendo i relativi dati’), come già sopra esposto.
Nel richiamare quanto già esposto al par. 4, si osserva che la Corte d’Appello nel decidere la controversia non è incorsa nel vizio di ultrapetizione, in quanto, in ragione del thema decidendum –
domanda di riconoscimento del diritto a percepire gli incentivi di cui al regolamento, con riguardo a ciascuna categoria ivi prevista, e relativa condanna al pagamento del Comune datore di lavoro- ha effettuato la qualificazione giuridica dei fatti e ha proceduto all’esame e valutazione delle risultanze probatorie e ha affermato che le mansioni descritte dal lavoratore erano quelle proprie di collaboratore tecnico e che la prova testimoniale non era valsa a dimostrare lo svolgimento di compiti di altra natura eventualmente rilevanti ai fini in questione, atteso che le due testi si erano limitate a confermare giudizi valutativi che, sul punto, erano contenuti nei capitoli di prova.
La valutazione delle prove raccolte anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (cfr., Cass., n. 1234 del 2019, n. 20553 del 2021).
12. Con il settimo motivo di ricorso è prospettato: art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo».
Deduce il ricorrente che la motivazione della Corte d’Appello omette di considerare la concordanza tra la descrizione delle mansioni del Brancato di cui al ricorso introduttivo con le risultanze del Regolamento.
Dopo aver riportato le disposizioni del Regolamento, osserva che dalla disamina del ricorso si evince che esso ricorrente ha dedotto tutte le mansioni per come indicate nel Regolamento art 59 c. 1 lett. p ), della legge 46/1997, di cui alla delibera di approvazione GM 165/2000.
Dall’esame dei commi 2 e 3 dell’art. 3 del Regolamento si poteva rilevare che la quota del 50% per il personale addetto all’accertamento non fosse attribuita ad una figura professionale ex novo ma sia invece un incentivo ulteriore per quanti si fossero occ upati dell’accertamento ICI nell’ambito dell’Ufficio e che detta quota fosse divisa per il residuo con il responsabile del procedimento. Esso ricorrente aveva dimostrato di essere l’unico a svolgere tutti i compiti, puntualmente spiegati e circostanziati, come dai capitoli di prova, salvo quelli di esclusiva spettanza del Funzionario responsabile.
13. Il motivo è inammissibile.
È a pplicabile alla fattispecie l’art. 360 . n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dalla legge 7 agosto 2012 n.134 (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatt o decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.
Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 19881 del 2014 e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio del recente intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 n. 5, cod. proc. civ. ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.
Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, ‘in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio
risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.
Tale anomalia si esaurisce nella ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, nella ‘motivazione apparente’, nel ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e nella ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione’, sicché quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perché non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.
Va anche rilevato che l’ ‘omesso esame’ va riferito ad ‘un fatto decisivo per il giudizio’ ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo a ‘questioni’ o ‘argomentazioni’ che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (si v., ex multis , Cass., n. 2268 del 2022).
Rimangono, pertanto, estranee al vizio previsto dall’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., le censure, che come quelle articolate dalla ricorrente, che nella sostanza sono volte a criticare il ‘convincimento’ che il giudice si è formato, a norma dell’art. 116, commi 1 e 2, cod. proc. civ., in esito all’esame del materiale probatorio mediante la valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova.
La deduzione del vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., non consente, quindi, di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito.
14. Il ricorso deve essere rigettato.
15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in 5.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre