Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 10373 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 10373 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8496/2023 R.G. proposto da : NOME COGNOME NOME, CASA COGNOME, DI COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME . rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOMEricorrenti- contro
COMUNE SAN GIORGIO A CREMANO, in persona del legale rappresentante pro tempore, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente- nonché
COGNOME NOME
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 169/2023 pubblicata il 23/01/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/04/2025
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n.169/2023 pubblicata il 23/01/2023, ha accolto il gravame proposto dal Comune di San Giorgio a Cremano nella controversia con COGNOME ed altri. In integrale riforma della sentenza appellata ha rigettato le domande originariamente proposte dagli appellati.
La controversia ha per oggetto il pagamento del compenso incentivante previsto dall’Allegato A al contratto d’appalto sottoscritto il 24/03/2010 tra il Comune e la RAGIONE_SOCIALE per il recupero della evasione tributaria.
Il Tribunale di Napoli accoglieva le domande proposte dai ricorrenti.
La corte territoriale ha ritenuto che il giudice di prime cure avesse erroneamente preso in considerazione una versione del contratto diversa da quella pubblicata nell’albo pretorio; che non vi fosse alcuna prova della redazione ed approvazione del progetto incentivante e della individuazione degli appellati tra il personale coinvolto nel progetto; che non risultasse alcun accordo collettivo, ex art.40 d.lgs. 165/2001, tale da riconoscere l’emolumento richiesto.
Per la cassazione della sentenza ricorrono COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME
con ricorso affidato a due motivi e illustrato da memoria. Il Comune resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art.360 comma primo n.5 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt.115, 116, 347 comma terzo cod. proc. civ., dell’art.111 Cost., degli artt.124 e 134 del d.lgs. n.267/2000 e dell’art.40 del d.lgs. n.165/2001, con riferimento all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
In rito deve rilevarsi l’omessa notifica del ricorso per cassazione a NOME COGNOME parte appellata che non ha impugnato la sentenza della corte territoriale. Avuto riguardo ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme processuali al principio della ragionevole durata del processo, in base al principio della sragione si può superare la questione della omissione la notifica ex art.332 cod. proc. civ., tanto più che il ricorso non è da accogliere.
Con il primo motivo i ricorrenti lamentano che la sentenza della corte territoriale è viziata nella formazione del convincimento che ha determinato la decisione, perché la mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado da parte del Collegio ha precluso l’esame di una circostanza decisiva ai fini della prova del fondamento della domanda giudiziale.
Il motivo è inammissibile. Secondo il costante orientamento di questa Corte, richiamato anche dai ricorrenti, «l’acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ai sensi dell’art. 347 c.p.c., non costituisce condizione essenziale per la validità del giudizio d’appello, con la conseguenza che la relativa omissione non determina un vizio del procedimento o della sentenza di secondo grado, bensì, al più, il vizio di difetto di motivazione, a condizione
che venga specificamente prospettato che da detto fascicolo il giudice d’appello avrebbe potuto o dovuto trarre elementi decisivi per la decisione della causa, non rilevabili “aliunde” ed esplicitati dalla parte interessata» (Cass. 04/04/2019 n.9498).
I ricorrenti hanno prospettato la mancata acquisizione del fascicolo d’ufficio di primo grado, ma non hanno specificamente prospettato quali sarebbero le circostanze di fatto -decisive per il giudizio -che la corte territoriale da esso avrebbe potuto desumere. A questo proposito i ricorrenti hanno fatto un generico riferimento agli «atti e documenti ivi contenuti», che non consente di formulare alcun giudizio di decisività degli stessi.
I ricorrenti sostengono poi che l’acquisizione del fascicolo d’ufficio avrebbe consentito di accertare la conformità del contratto d’appalto, e dell’allegato A, da loro prodotto nel corso del giudizio di primo grado e quello esibito in originale da parte del Comune all’esito dell’ordinanza ex art.210 cod. proc. civ.
A questo proposito deve rilevarsi che la corte territoriale ha rigettato il gravame non solo sulla base della ritenuta difformità tra il contratto prodotto dagli appellanti e quello esibito in originale dal Comune, ma anche perché ha rilevato la mancanza di alcun accordo collettivo ─ ex art.40 d.lgs. 165/2001 ─ che prevedesse il riconoscimento dell’emolumento richiesto, aggiungendo «né il Comune avrebbe potuto procedere al riconoscimento di una prestazione economica non prevista a livello contrattual-collettivo». 9. Non risulta che il compenso incentivante preteso dai ricorrenti fosse previsto dalla contrattazione collettiva di comparto ─ alla quale è demandata la definizione del trattamento economico fondamentale ed accessorio ex art.45 comma 1 d.lgs. n.165/2001 ─ e non risulta nemmeno che tale compenso fosse previsto dalla contrattazione collettiva integrativa ex art.41 comma 3 bis d.lgs. cit. Per l’effetto, così come ritenuto dalla corte territoriale, deve escludersi in radice che i ricorrenti potessero pretendere il
pagamento di un compenso incentivante non previsto dalla contrattazione collettiva nazionale ed integrativa, ma asseritamente previsto da un allegato al contratto biennale di affidamento del servizio di recupero dell’evasione tributaria.
I ricorrenti non hanno impugnato questa autonoma e concorrente ratio decidendi , ed anche sotto questo profilo il primo motivo è inammissibile.
Le medesime considerazioni valgono anche con riferimento al secondo motivo di ricorso, nel quale i ricorrenti lamentano l’erronea valutazione delle prove da parte della corte territoriale, con precipuo riferimento alle censure relative alle difformità tra il testo del contratto e dell’allegato A prodotto in giudizio dal Comune e quello esibito in giudizio all’esito dell’ordinanza ex art.210 cod. proc. civ.
Oltre alla inammissibilità di una censura relativa alla valutazione di prove non legali da parte della corte territoriale, la mancanza di decisività del motivo deriva dalla impossibilità giuridica di pretendere un compenso incentivante non previsto né dalla contrattazione collettiva di comparto, né dalla contrattazione integrativa, come si è detto.
Per le indicate ragioni deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso. I ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 5.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 5.000,00 per compensi oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro