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Compenso incarico aggiuntivo nel pubblico impiego

Un dipendente pubblico ha rifiutato un incarico aggiuntivo perché non retribuito. Successivamente, l’incarico è stato affidato a un altro soggetto con un compenso. Il dipendente ha chiesto un risarcimento, ma la Corte di Cassazione ha respinto la sua richiesta. La Corte ha stabilito che, nel pubblico impiego, un compenso per incarico aggiuntivo è dovuto solo se esplicitamente previsto dalla contrattazione collettiva. Il fatto che l’ente abbia poi pagato un’altra persona non crea un diritto per il primo dipendente.

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Pubblicato il 31 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Incarico Aggiuntivo nel Pubblico Impiego: La Cassazione Chiarisce

Quando un dipendente pubblico riceve un incarico aggiuntivo, ha sempre diritto a una retribuzione extra? La questione è complessa e spesso fonte di contenzioso. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri che determinano la legittimità di un compenso per incarico aggiuntivo, sottolineando il ruolo centrale della contrattazione collettiva e il principio di legalità che governa il trattamento economico nel settore pubblico.

I Fatti del Caso: Un Incarico Contestato

La vicenda ha origine quando un dipendente di un’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, con la qualifica di collaboratore tecnico professionale, viene nominato per ricoprire un incarico di “esperto qualificato di terzo grado”.

L’ente pubblico, con una specifica delibera, aveva previsto per tale incarico unicamente un rimborso spese, escludendo qualsiasi emolumento aggiuntivo. Di fronte a questa proposta, il lavoratore decideva di non accettare e di non svolgere l’incarico. Successivamente, la stessa agenzia conferiva il medesimo incarico a un altro soggetto, prevedendo questa volta un compenso annuo di 9.000,00 euro.

Ritenendosi danneggiato da un comportamento contrario a buona fede e correttezza, il primo dipendente citava in giudizio l’ente, chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale per il discredito professionale subito.

Le Decisioni dei Giudici di Merito

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno rigettato le richieste del lavoratore. La Corte d’Appello, in particolare, ha basato la sua decisione su un principio cardine del pubblico impiego, sancito dall’art. 45 del D.Lgs. 165/2001: il trattamento economico dei dipendenti pubblici è definito esclusivamente dalla contrattazione collettiva.

Secondo i giudici, il lavoratore non era stato in grado di indicare una specifica norma del contratto collettivo che prevedesse una retribuzione aggiuntiva per l’incarico di esperto qualificato. Pertanto, la condotta dell’ente di non prevedere un compenso non poteva essere considerata illegittima o contraria a buona fede. La circostanza che, in un secondo momento, fosse stato previsto un compenso per un altro soggetto è stata ritenuta irrilevante ai fini del diritto del primo lavoratore, potendo al massimo configurare una questione di responsabilità erariale per i dirigenti dell’ente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sul Compenso Incarico Aggiuntivo

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso del lavoratore inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. La ratio decidendi della Suprema Corte si fonda su diversi punti chiave.

In primo luogo, il ricorso è stato giudicato un tentativo di ottenere una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La Corte d’Appello aveva correttamente individuato il principio di diritto applicabile: in assenza di una previsione nella contrattazione collettiva, non sussiste un diritto a un compenso per incarico aggiuntivo.

In secondo luogo, la Cassazione ha ribadito che la decisione della Corte d’Appello si basava sull’accertamento che l’incarico in questione fosse “comunque inerente al rapporto di lavoro in essere”. Pertanto, non si trattava di un incarico esterno o autonomo che richiedesse necessariamente un contratto separato e retribuito.

Infine, è stato respinto l’argomento secondo cui il successivo pagamento a un terzo dimostrasse l’illegittimità della prima offerta. La Cassazione ha chiarito che questo fatto non dimostrava che l’Agenzia fosse tenuta a prevedere un compenso sin dall’inizio, ma solo che ha scelto di farlo in un secondo momento. Questa scelta successiva non fa sorgere retroattivamente un diritto in capo a chi aveva rifiutato la precedente offerta non retribuita.

Le Conclusioni: Regole Chiare per gli Incarichi Aggiuntivi

L’ordinanza della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sul tema del compenso per incarico aggiuntivo nel settore pubblico. La pronuncia ribadisce con forza i seguenti principi:

1. Centralità della Contrattazione Collettiva: Qualsiasi voce retributiva, di base o accessoria, per un dipendente pubblico deve trovare il suo fondamento esclusivo nei contratti collettivi.
2. Onere della Prova: Spetta al lavoratore che rivendica un compenso extra indicare la specifica norma contrattuale che lo prevede.
3. Irrilevanza delle Scelte Successive: La decisione di un ente di retribuire un incarico in un secondo momento non crea un diritto al compenso per un dipendente che in precedenza aveva rifiutato lo stesso incarico offerto a titolo gratuito, in un contesto normativo e contrattuale che non ne imponeva la retribuzione.

Un dipendente pubblico ha sempre diritto a un compenso extra per un incarico aggiuntivo?
No. Secondo la Corte di Cassazione, nel pubblico impiego il diritto a un compenso aggiuntivo, sia di base che accessorio, sussiste solo se è espressamente previsto dalla contrattazione collettiva di riferimento.

Se un ente pubblico prima offre un incarico gratuitamente e poi lo conferisce a un’altra persona pagandolo, il primo dipendente può chiedere un risarcimento?
No. La sentenza chiarisce che il successivo pagamento a un’altra persona non crea un diritto al risarcimento per il dipendente che aveva inizialmente rifiutato l’incarico gratuito. La legittimità dell’offerta iniziale si valuta in base alle norme vigenti in quel momento, non in base a decisioni successive dell’ente.

Cosa significa che il ricorso è stato dichiarato “inammissibile”?
Significa che la Corte di Cassazione non ha esaminato il merito della questione perché i motivi del ricorso non erano validi. In questo caso, il ricorrente cercava di ottenere una nuova valutazione dei fatti (come la natura dell’incarico), cosa che non è permessa nel giudizio di Cassazione, il quale si limita a verificare la corretta applicazione delle leggi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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