Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 3826 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 3826 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 12/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 27317/2018 R.G. proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL)
-ricorrente-
contro
NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio RAGIONE_SOCIALE‘avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME
NOME.
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 226/2018 depositata il 26/03/2018, RG 354/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Cosenza che aveva rigettato la domanda proposta dal lavoratore nei confronti RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE.
Il lavoratore, dipendente RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE con la qualifica di collaboratore tecnico professionale, cat. D, dal 2 febbraio 2009 al 28 dicembre 2012, aveva agito in giudizio per l’accertamento RAGIONE_SOCIALE‘illegittimo comportamento RAGIONE_SOCIALE‘RAGIONE_SOCIALE per contrarietà a correttezza e buona fede, e per la condanna RAGIONE_SOCIALEa stessa al risarcimento del danno patrimoniale non patrimoniale, quest’ultimo per il discredito professionale subito.
Esponeva che l’RAGIONE_SOCIALE aveva approvato la propria manifestazione d’interesse a ricoprire l’incarico di esperto qualificato di terzo grado ed egli era stato nominato con delibera n. 235 del 2011.
Poiché tale delibera non prevedeva la corresponsione di emolumenti ma solo un rimborso, il lavoratore non svolgeva l’incarico in questione (v. pag. 3 del ricorso per cassazione, nonché pag. 12 del ricorso in cui vi è espresso riferimento al rifiuto a prestare la attività in questione). Con delibera n. 348 del 2013 l’incarico era
stato conferito ad altro soggetto con la previsione di un compenso di 9.000,00 euro all’anno.
Assumeva, quindi, che se l’incarico conferitogli fosse stato retribuito lo avrebbe svolto sino alle dimissioni intervenute il 28 dicembre 2012, così procurandosi un guadagno aggiuntivo. Pertanto, chiedeva la condanna al risarcimento dei danni patrimoniale nella misura di euro 14.625,00 e non patrimoniale secondo giustizia.
La Corte d’Appello ha richiamato l’articolo 45, comma 1, del decreto legislativo n.165 del 2001, che ha introdotto una riserva di regolamentazione collettiva in materia di trattamento economico.
Non spettano quindi ai pubblici dipendenti voci retributive, di base o accessorie, che non siano previste dalla contrattazione collettiva.
Il lavoratore agiva in giudizio lamentando la mancata previsione RAGIONE_SOCIALE‘erogazione di una voce retributiva per l’esperimento di un incarico comunque inerente al rapporto di lavoro in essere, senza però indicare la norma RAGIONE_SOCIALEa contrattazione collettiva che tale monumento avrebbe previsto.
Pertanto, ha affermato la Corte d’Appello, mancando la fonte normativa RAGIONE_SOCIALEa pretesa azionata, la condotta datoriale che non aveva previsto l’attribuzione di un compenso per l’espletamento RAGIONE_SOCIALE‘incarico di esperto qualificato, non può ritenersi contraria a buona fede e a correttezza.
Né assumeva rilievo la circostanza che tale compenso sarebbe stato poi corrisposto successivamente ad altro lavoratore. Ed infatti, ciò non dimostrava che l’RAGIONE_SOCIALE era tenuta a prevederlo, ma determina al più in capo all’Ente una responsabilità di natura erariale.
Per la cassazione RAGIONE_SOCIALEa sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di ricorso.
Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., con espresso riferimento al combinato disposto degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., artt. 45, 52 e 53 del d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 59 e 77 d.lgs. n. 230 del 1995 e art. 125 del d.lgs. n. 163 del 2006, con espresso riferimento agli artt. 2222, 2225, 2229 e 2230, cod. civ.
Assume il ricorrente che la vicenda non è disciplinata dall’art. 45 del d. lgs. n. 165 del 2001, come affermato dalla Corte d’Appello, che riguarda il trattamento che spetta al pubblico dipendente per l’inquadramento e la qualifica ottenuta al momento RAGIONE_SOCIALE‘assunzione.
Trattandosi di incarico differente da quello per cui era stato assunto e inquadrato in ruolo, trova applicazione il d.lgs. n. 230 del 1993, che all’art. 77 prevede la figura RAGIONE_SOCIALE‘espero qualificato. Si tratta di un incarico extracontrattuale nuovo, non riferibile al contratto collettivo di riferimento e che, pertanto, andava retribuito.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., con espresso riferimento al combinato disposto degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., artt. 59 e 77 del d.lgs. n. 230 del 1995, art. 125 del d.lgs. n. 163 del 2006, con espresso riferimento agli artt. 2222, 2225, 2229 e 2230, cod. civ.
La norma che istituisce la figura RAGIONE_SOCIALE‘esperto qualificato ha inteso prevedere una figura professionale che in autonomia e indipendenza va ad effettuare le rilevazioni di fonti radiogene al solo ed unico fine di tutelare la salute dei lavoratori esposti a tali pericoli. Dunque, l’esperto qualificato si connota per indipendenza e autonomia RAGIONE_SOCIALEe funzioni datoriali. Pertanto, l’incarico doveva essere conferito con un apposito contratto, che doveva stabilire anche quale sia l’esborso economico da parte RAGIONE_SOCIALE‘amministrazione.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., con espresso riferimento al combinato disposto degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., artt. 59 e 77 d.lgs. n. 230 del 1995, art. 125 del d.lgs. n. 163 del 2006, con espresso riferimento agli artt. 2222, 2225, 2229 e 2230, cod. civ.
È censurata la statuizione che ha affermato la irrilevanza del successivo conferimento RAGIONE_SOCIALE‘incarico ad altro soggetto, con la previsione di un compenso.
Assume il ricorrente che la legittimazione alla richiesta risarcitoria scaturisce proprio dal comportamento illegittimo RAGIONE_SOCIALE‘Amministrazione che pretendeva che esso ricorrente svolgesse l’incarico a titolo gratuito, mentre ad altro soggetto veniva poi riconosciuto il pagamento di un compenso.
Proprio perché non era previsto alcun compenso, esso ricorrente sceglieva di non svolgere quel compito, che poi invece era stato retribuito.
I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione RAGIONE_SOCIALEa loro connessione.
Gli stessi sono inammissibili.
La Corte d’Appello ha precisato che con l’appello il lavoratore lamentava l’ingiustizia RAGIONE_SOCIALEa sentenza, laddove la stessa non aveva tenuto conto del fatto che la scelta di non accettare l’incarico non era stata libera, ma condizionata dalla decisione de ll’RAGIONE_SOCIALE di non prevedere alcun compenso per l’espletamento RAGIONE_SOCIALEo stesso, in difformità rispetto a disposizioni normative, e che l’illegittimità di tale condotta era dimostrata dal fatto che il compenso era stato erogato ad altro soggetto che aveva poi ricoperto l’incarico.
La ratio decidendi RAGIONE_SOCIALEa Corte d’Appello si incentra sulla mancanza, già accertata dal Tribunale, RAGIONE_SOCIALEa previsione del compenso nella formale delibera di incarico n. 235 del 2011
(statuizione richiamata dal Tribunale e in ordine alla quale la Corte d’Appello non riporta essere intervenuta impugnazione), e sulla riferibilità RAGIONE_SOCIALE‘incarico al rapporto di lavoro in atto (‘incarico comunque inerente al suo rapporto di lavoro in essere’ pag. 7 RAGIONE_SOCIALEa sentenza di appello ultimo capoverso). È pacifico tra le parti che l’attività in questione non veniva svolta dal lavoratore (si v., in particolare, pag. 3 e pag. 12 del ricorso, come già sopra richiamato).
7. Occorre ricordare che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. SU 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
Nella specie, il lavoratore nel dolersi RAGIONE_SOCIALE‘applicabilità RAGIONE_SOCIALE‘art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001, che nel ragionamento decisorio RAGIONE_SOCIALEa Corte d’Appello si fonda sull’accertamento RAGIONE_SOCIALEa riconducibilità RAGIONE_SOCIALE‘incarico al rapporto di lavoro, tende ad ottenere una rivisitazione del fatto e contesta, senza argomenti convincenti, la ricostruzione RAGIONE_SOCIALEa Corte d’Appello senza scalfirne la ratio decidendi .
Come questa Corte ha già affermato la censura di violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 116, cod. proc. civ., presuppone (cfr. Cass., S.U. n. 20867 del 2020; Cass. n. 21723 del 2023; Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), il mancato rispetto RAGIONE_SOCIALEe regole di formazione RAGIONE_SOCIALEa prova ed è rinvenibile nelle ipotesi in cui il giudice valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall’art. 116 cod. proc. civ., cioè una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale. Tale evenienza non è neanche
rappresentata nel ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha male esercitato il suo prudente apprezzamento RAGIONE_SOCIALEa prova.
Va inoltre considerato che nel quadro del principio, espresso nell’art. 116, cod. proc. civ., di libera valutazione RAGIONE_SOCIALEe prove (salvo che non abbiano natura di prova legale), il giudice civile ben può apprezzare discrezionalmente gli elementi probatori acquisiti e ritenerli sufficienti per la decisione, attribuendo ad essi valore preminente e così escludendo implicitamente altri mezzi istruttori richiesti dalle parti. Il relativo apprezzamento è insindacabile in sede di legittimità, purché, come nella specie, risulti logico e coerente il valore preminente attribuito agli elementi utilizzati.
Peraltro, per dedurre la violazione RAGIONE_SOCIALE‘art. 115, cod. proc. civ., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione RAGIONE_SOCIALEa norma, abbia posto a fondamento RAGIONE_SOCIALEa decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116, cod. proc. civ. (Cass., S.U., n. 20867 del 2020, cit.).
8. Si osserva, inoltre, che la Corte d’Appello ha affermato che l’argomento RAGIONE_SOCIALEa successiva previsione del compenso ad altro soggetto non dimostrava che l’RAGIONE_SOCIALE fosse tenuta a prevederlo nel caso di specie, atteso che non risultavano neppure prospettate dal ricorrente previsioni negoziali, o contrattuali collettive in merito, di talché per l’espletamento RAGIONE_SOCIALE‘incarico comunque inerente al rapporto di lavoro trovava applicazione l’art. 45 del d.lgs. n. 165 del 2001.
Pertanto, il terzo motivo di ricorso, che nuovamente prospetta il rilievo in sé RAGIONE_SOCIALEa mera previsione del compenso ad un terzo per lo svolgimento di tale incarico, non coglie la complessiva ratio decidendi RAGIONE_SOCIALEa sentenza di appello ed è inammissibile anche sotto tale profilo.
Il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALEe spese di giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi RAGIONE_SOCIALE‘art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto RAGIONE_SOCIALEa sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente RAGIONE_SOCIALE‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis, RAGIONE_SOCIALEo stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 gennaio