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Compenso fase decisoria: spetta anche senza sentenza?

La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso per la fase decisoria spetta all’avvocato anche se il procedimento si conclude con un accordo omologato, anziché con una sentenza. È sufficiente che il legale abbia svolto anche una sola delle attività previste dalla normativa per tale fase, come l’esame del provvedimento conclusivo, per avere diritto alla liquidazione. La Corte ha così riformato la decisione di un tribunale che aveva negato il compenso a un avvocato in regime di patrocinio a spese dello Stato, ritenendo erroneamente insussistente la fase decisoria in un giudizio di separazione consensuale.

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Pubblicato il 27 dicembre 2025 in Diritto di Famiglia, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Fase Decisoria: Quando spetta anche senza una Sentenza Finale?

Il diritto al compenso fase decisoria per un avvocato è un tema cruciale, specialmente quando un giudizio non si conclude con una sentenza tradizionale ma con un accordo tra le parti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento fondamentale, stabilendo che tale compenso è dovuto anche se la causa si chiude con un decreto di omologa, a patto che il legale abbia svolto almeno una delle attività pertinenti. Questa decisione ha importanti riflessi pratici, in particolare per i professionisti che assistono clienti ammessi al patrocinio a spese dello Stato.

I Fatti del Caso

Un avvocato aveva assistito un cliente in un giudizio di separazione personale, con il cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato. Il procedimento si era concluso non con una sentenza contenziosa, ma con l’omologazione di un accordo di separazione raggiunto tra i coniugi. Al momento della liquidazione dei compensi, il Tribunale aveva riconosciuto le spettanze per la fase di studio e quella introduttiva, ma aveva escluso il compenso fase decisoria.

La motivazione del diniego si basava sull’assunto che, essendosi il giudizio concluso con un accordo, non vi fosse stata una “vera e propria” fase decisionale. L’avvocato, ritenendo leso il proprio diritto, impugnava tale decisione, ma il suo ricorso veniva respinto in prima istanza. Di conseguenza, il legale proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione della normativa sui parametri forensi.

Il Diritto al Compenso per la Fase Decisoria

Il cuore della controversia risiede nell’interpretazione dell’art. 4, comma 5, del D.M. n. 55/2014, che elenca le attività ricomprese nella fase decisionale. Tra queste figurano il deposito di note conclusive, l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio, il ritiro del fascicolo e altre attività successive al provvedimento stesso.

Il giudice di merito aveva adottato una visione restrittiva, legando il diritto al compenso alla presenza di un provvedimento decisorio in senso stretto, come una sentenza. Secondo questa logica, un decreto di omologa, che recepisce un accordo, non implicherebbe lo svolgimento di attività tipiche della fase decisionale. Il ricorrente, al contrario, sosteneva di aver compiuto diverse di queste attività, come l’esame del decreto di omologa, e che ciò fosse sufficiente a far sorgere il diritto al relativo compenso.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’avvocato, ribaltando la decisione precedente. Gli Ermellini hanno chiarito che la circostanza che il giudizio si concluda senza un provvedimento contenzioso non esclude di per sé la sussistenza dei presupposti per la liquidazione del compenso fase decisoria.

Richiamando propri precedenti consolidati (Cass. n. 5289/2023; Cass. n. 28881/2022), la Corte ha ribadito un principio cruciale: per il riconoscimento del compenso relativo a questa fase è sufficiente che l’avvocato abbia svolto anche una sola delle attività elencate dalla normativa. Nel caso di specie, l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio (il decreto di omologa) è un’attività certamente riconducibile alla fase decisionale e posta in essere dal difensore. Di conseguenza, negare il compenso è stato un errore di diritto.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione funzionale della tariffa forense. Il lavoro dell’avvocato non si esaurisce con il raggiungimento di un accordo, ma prosegue fino all’esame del provvedimento che chiude formalmente il giudizio e alla gestione degli adempimenti successivi. Riconoscere un compenso per questa fase significa dare il giusto valore a tutte le attività professionali svolte, indipendentemente dalla natura (contenziosa o consensuale) dell’atto che conclude il processo.

Il giudice di merito, secondo la Cassazione, si è discostato da questo principio, ritenendo erroneamente che l’omologa di un accordo escludesse a priori il compimento di atti rientranti nella fase decisionale. Questa visione non tiene conto del fatto che l’avvocato ha comunque il dovere di esaminare l’atto finale del giudice, verificarne la correttezza e informare il cliente, attività che rientrano a pieno titolo nel suo mandato difensivo e meritano una remunerazione.

Le Conclusioni

La Corte, cassando l’ordinanza impugnata e decidendo nel merito, ha liquidato direttamente le somme dovute all’avvocato per la fase decisoria, applicando i minimi tariffari previsti e la riduzione per il patrocinio a spese dello Stato. La decisione rappresenta un importante punto fermo per la tutela della professione forense. Stabilisce chiaramente che il diritto al compenso fase decisoria non dipende dalla forma del provvedimento finale, ma dall’effettivo svolgimento di almeno una delle attività che la legge riconduce a tale fase. Questo principio garantisce una più equa remunerazione del lavoro legale, anche nei numerosi casi che si risolvono attraverso soluzioni consensuali.

Il compenso per la fase decisoria è dovuto anche se il giudizio si conclude con un accordo omologato e non con una sentenza?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che la circostanza che il giudizio si concluda con un provvedimento non decisorio, come un decreto di omologa di un accordo, non esclude il diritto al compenso per la fase decisionale.

Quante attività della fase decisoria deve svolgere l’avvocato per avere diritto al compenso?
Secondo la Corte, è sufficiente lo svolgimento di anche una sola delle attività elencate dall’art. 4, comma 5, lett. d) del D.M. n. 55/2014 per far sorgere il diritto al riconoscimento del compenso per l’intera fase.

Quale attività specifica è stata ritenuta sufficiente in questo caso per riconoscere il compenso?
Nel caso esaminato, la Corte ha indicato che l’esame del provvedimento conclusivo del giudizio (in quel caso, il decreto di omologa) è un’attività certamente posta in essere dal difensore e sufficiente a giustificare il riconoscimento del compenso per la fase decisoria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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