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Compenso fase decisionale: spetta sempre all’avvocato

La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso per la fase decisionale spetta all’avvocato anche se sono state svolte solo alcune delle attività previste dalla legge, come il deposito di una memoria o l’esame del provvedimento finale. La Corte ha accolto il ricorso di un legale, al quale era stato negato tale compenso in un procedimento di liquidazione per gratuito patrocinio, annullando la precedente ordinanza e riconoscendo le somme dovute.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Fase Decisionale: La Cassazione ne Ribadisce il Diritto

Il riconoscimento del compenso fase decisionale rappresenta un aspetto cruciale nella quantificazione dell’onorario di un avvocato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: tale compenso è dovuto anche quando vengono svolte solo alcune delle attività previste dalla normativa. Questa decisione è particolarmente rilevante nei casi di patrocinio a spese dello Stato, dove la corretta liquidazione delle parcelle garantisce l’effettività del diritto di difesa.

Il Contesto del Ricorso: Una Liquidazione Incompleta

Un avvocato, che aveva assistito un cliente ammesso al gratuito patrocinio in un giudizio davanti alla Corte di Cassazione, si è visto liquidare dal Tribunale un compenso che escludeva la fase decisionale. Il Tribunale aveva errato, riferendo la liquidazione a un procedimento di primo grado anziché a quello di Cassazione, per il quale era stata concessa l’ammissione al patrocinio statale.

Nel correggere l’errore, il Tribunale ha liquidato le sole fasi di studio e introduttiva, omettendo di riconoscere qualsiasi importo per la fase finale del giudizio, nonostante l’avvocato avesse depositato una memoria difensiva. Analogamente, nel successivo giudizio di opposizione promosso dallo stesso avvocato contro il decreto di liquidazione, il Tribunale ha nuovamente omesso di liquidare il compenso per la fase decisionale. Di qui il ricorso in Cassazione.

Il Compenso Fase Decisionale nel Giudizio di Cassazione

Il primo motivo del ricorso lamentava la mancata liquidazione della fase decisionale del giudizio di Cassazione. L’avvocato sosteneva di aver diritto al relativo compenso per aver depositato una memoria scritta ai sensi del codice di procedura civile. Questa attività, secondo la difesa, rientra a pieno titolo tra quelle previste dalla normativa sui parametri forensi per giustificare il riconoscimento di tale voce di compenso.

Il Diritto al Compenso anche nel Giudizio di Opposizione

Con il secondo motivo, il legale contestava l’esclusione della fase decisionale anche nel giudizio di opposizione. Sottolineava che attività come “l’esame e la registrazione o pubblicazione del provvedimento conclusivo del giudizio” e “il ritiro del fascicolo” sono state incontestabilmente svolte e rientrano pienamente nella definizione di attività decisionali, legittimando quindi la corresponsione del relativo onorario.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi, ritenendoli fondati e fornendo chiarimenti essenziali sulla natura e sul riconoscimento del compenso fase decisionale.

Il Primo Motivo: Il Valore della Memoria Difensiva

La Corte ha ricordato che il D.M. 55/2014, che disciplina i parametri forensi, elenca una serie di attività che danno diritto al compenso per la fase decisionale. Tra queste figurano esplicitamente “le memorie, illustrative o conclusionali anche in replica, compreso il loro deposito ed esame”.

Poiché nel caso di specie l’avvocato aveva depositato una memoria difensiva, il Tribunale aveva commesso un errore nel non liquidare alcuna somma per questa fase. Il compimento anche di una sola delle attività elencate dalla norma è sufficiente per far sorgere il diritto al relativo compenso.

Il Secondo Motivo: Rilevanza delle Attività Post-Decisione

Anche il secondo motivo è stato giudicato fondato. La Corte ha ribadito che attività come l’esame del provvedimento conclusivo, le richieste di copie e il ritiro del fascicolo sono state svolte e rientrano nell’alveo della fase decisionale. L’omessa liquidazione di questa fase anche nel giudizio di opposizione è stata, pertanto, ritenuta illegittima.

Conclusioni: Un Principio di Diritto Fondamentale

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e, decidendo direttamente nel merito, ha liquidato le somme dovute all’avvocato. Per il giudizio di Cassazione, ha riconosciuto un importo aggiuntivo per la fase decisionale, tenendo conto dello scaglione di valore applicato dal giudice di merito e della riduzione prevista per il gratuito patrocinio. Per il giudizio di opposizione, ha liquidato un’ulteriore somma per la stessa fase.

Questa pronuncia rafforza un principio cardine: il compenso fase decisionale non è un mero accessorio, ma una componente essenziale dell’onorario che remunera attività difensive cruciali. La sua liquidazione è doverosa ogni qualvolta l’avvocato compia anche una sola delle attività previste dalla legge, garantendo così una giusta retribuzione per il lavoro svolto e tutelando la dignità della professione forense.

È dovuto il compenso per la fase decisionale se un avvocato deposita solo una memoria difensiva in Cassazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il deposito di una memoria difensiva è una delle attività previste dalla normativa che giustifica pienamente il riconoscimento del compenso per la fase decisionale, anche se non ne vengono svolte altre.

Quali attività giustificano il compenso per la fase decisionale in un giudizio di opposizione a liquidazione?
Anche attività successive alla decisione, come l’esame e la registrazione del provvedimento conclusivo, le richieste di copie al cancelliere o il ritiro del fascicolo, sono considerate parte della fase decisionale e devono essere remunerate.

L’avvocato che assiste in gratuito patrocinio può impugnare autonomamente il decreto di liquidazione dei compensi?
Sì. La Corte conferma che il difensore di una parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato agisce in base a una propria e autonoma legittimazione quando si oppone al decreto di liquidazione, poiché tutela un proprio diritto soggettivo di natura patrimoniale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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