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Compenso difensore d’ufficio: spese recupero rimborsabili

Un avvocato, nominato difensore d’ufficio, dopo aver tentato invano di recuperare il proprio compenso dall’assistito, ha chiesto la liquidazione allo Stato. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3483/2024, ha stabilito un principio fondamentale: nel calcolo del compenso difensore d’ufficio, lo Stato deve rimborsare non solo gli onorari per l’attività difensiva, ma anche tutte le spese sostenute per il preventivo e obbligatorio tentativo di recupero del credito. La Corte ha chiarito che tale tentativo è un requisito di legge e i relativi costi devono rientrare nel rimborso erariale.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso difensore d’ufficio: lo Stato deve rimborsare anche le spese di recupero

Ottenere il giusto compenso come difensore d’ufficio rappresenta spesso un percorso a ostacoli. La legge prevede che, prima di poter chiedere la liquidazione allo Stato, l’avvocato debba tentare di recuperare il proprio credito dal cliente assistito. Ma cosa succede ai costi sostenuti per questo tentativo, specialmente se si rivela infruttuoso? Con la recente ordinanza n. 3483 del 7 febbraio 2024, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta chiara e a tutela della professione forense.

I Fatti del Caso

Un avvocato, dopo aver prestato la sua opera come difensore d’ufficio in un procedimento penale, si è trovato di fronte alla necessità di recuperare il proprio onorario. Ha quindi agito in via monitoria contro l’ex assistita, ottenendo un decreto ingiuntivo e avviando la successiva procedura esecutiva, che però non ha dato alcun esito positivo. A questo punto, come previsto dalla normativa, il legale ha presentato istanza al Tribunale per ottenere la liquidazione del suo compenso a carico dello Stato.

Il Tribunale, tuttavia, ha liquidato solo una parte dell’importo richiesto, escludendo il rimborso delle spese che l’avvocato aveva sostenuto proprio per le attività di recupero del credito (procedura monitoria ed esecuzione). La motivazione del giudice di merito si basava su una presunta inerzia del legale e sulla carenza di prova delle attività svolte.

La Decisione della Corte di Cassazione e il compenso del difensore d’ufficio

L’avvocato ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sollevando due motivi di ricorso. La Corte ha accolto il primo e rigettato il secondo, delineando un principio di fondamentale importanza pratica.

L’Obbligo di Rimborso delle Spese di Recupero

Il punto centrale della controversia riguardava la rimborsabilità delle spese sostenute per il tentativo di recupero del credito. La Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: il tentativo di recuperare gli onorari dall’assistito non è una facoltà, ma un passaggio obbligato per il difensore che voglia poi chiedere il pagamento allo Stato.

Di conseguenza, i costi relativi a questa attività (spese, diritti, onorari per il decreto ingiuntivo e l’esecuzione) non sono un onere accessorio che grava sul professionista, ma rientrano a pieno titolo nell’ambito di ciò che l’erario è tenuto a rimborsare. L’importante è che le iniziative intraprese siano serie e non pretestuose. La Corte ha inoltre specificato che un eventuale ritardo nell’avvio di tali procedure è irrilevante e non può essere interpretato come un “non adeguato sforzo” da parte del difensore.

Il Principio di Specificità del Ricorso

Il secondo motivo di ricorso, con cui l’avvocato lamentava il mancato riconoscimento di alcune attività difensive svolte nel processo penale, è stato invece dichiarato inammissibile. La Corte ha sottolineato che non è sufficiente lamentare la mancata acquisizione d’ufficio degli atti da parte del Tribunale. L’avvocato, nel suo ricorso, avrebbe dovuto specificare in modo dettagliato quali ulteriori attività avesse espletato e perché queste dovessero essere remunerate, creando una correlazione precisa tra gli atti omessi e le difese svolte.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su una lettura logica e sistematica delle norme contenute nel Testo Unico sulle Spese di Giustizia (D.P.R. 115/2002). Se la legge impone al difensore di esperire inutilmente le procedure per il recupero del credito come condizione per accedere alla liquidazione a carico dello Stato (art. 116), ne consegue che i costi per adempiere a tale condizione devono essere anch’essi coperti. Ragionare diversamente significherebbe porre a carico del professionista i costi di un’attività che non svolge nel proprio esclusivo interesse, ma per soddisfare un requisito normativo. La Corte ha confermato che, in presenza di un tentativo di recupero serio e non pretestuoso, le relative spese, comprensive di onorari, diventano parte integrante del compenso del difensore d’ufficio che lo Stato è tenuto a saldare.

Conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un’importante vittoria per gli avvocati che svolgono la funzione di difensori d’ufficio. Essa chiarisce in modo inequivocabile che lo Stato non può esimersi dal rimborsare le spese sostenute per il doveroso, seppur infruttuoso, tentativo di recupero del credito professionale. La pronuncia rafforza la tutela del lavoro del difensore, evitando che sia gravato da costi legati all’adempimento di un preciso onere di legge, e garantisce una più equa e completa remunerazione per una funzione sociale e giuridica essenziale.

Lo Stato deve rimborsare al difensore d’ufficio anche le spese sostenute per tentare di recuperare il credito dall’assistito?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il tentativo di recupero è un passaggio obbligato dalla legge per poter chiedere il pagamento allo Stato. Pertanto, i relativi costi, se l’iniziativa è seria e non pretestuosa, devono essere rimborsati dall’erario e rientrano nel compenso complessivo.

Il ritardo con cui il difensore avvia l’azione di recupero contro l’assistito incide sul suo diritto al rimborso da parte dello Stato?
No. La Corte ha chiarito che il solo ritardo nell’avviare le attività di recupero è irrilevante e non può essere considerato, di per sé, un indice di scarso impegno da parte del difensore nel coltivare le proprie ragioni di credito.

Perché il secondo motivo di ricorso del difensore è stato respinto?
È stato dichiarato inammissibile per carenza di specificità. L’avvocato ha contestato al Tribunale di non aver acquisito d’ufficio gli atti del processo, ma non ha specificato nel suo ricorso quali precise attività, non remunerate, avesse svolto e come queste si collegassero agli atti non acquisiti, venendo meno all’onere di illustrare in dettaglio le proprie ragioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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