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Compenso difensore d’ufficio: spese recupero credito

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3480/2024, ha stabilito un principio fondamentale sul compenso del difensore d’ufficio. Il caso riguardava un avvocato a cui era stato negato il rimborso delle spese sostenute per tentare, senza successo, di recuperare il proprio onorario dal cliente assistito. La Corte ha accolto il ricorso del legale, affermando che lo Stato è tenuto a liquidare non solo l’onorario per la difesa, ma anche le spese per la procedura esecutiva, anche se infruttuosa. Tali costi, infatti, sono considerati strumentali all’attività professionale svolta nell’interesse dello Stato.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Difensore d’Ufficio: Lo Stato Paga le Spese di Recupero Credito

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale per gli avvocati che svolgono il ruolo di difensori d’ufficio: la liquidazione del compenso del difensore d’ufficio e, in particolare, il rimborso delle spese sostenute per il recupero del credito nei confronti dell’assistito. La decisione n. 3480 del 2024 chiarisce che lo Stato deve farsi carico anche di questi costi, pure se la procedura di recupero si è rivelata infruttuosa.

I Fatti di Causa

Un avvocato, nominato difensore d’ufficio in un procedimento penale, dopo aver ottenuto un decreto di liquidazione per le sue competenze professionali, avviava le procedure per recuperare la somma dal suo ex assistito. Tali procedure non andavano a buon fine. Di conseguenza, il legale chiedeva allo Stato, come previsto dalla legge, il pagamento del suo onorario e il rimborso delle spese sostenute per il tentativo di recupero.

Il Tribunale, tuttavia, rigettava la richiesta di rimborso delle spese di recupero. Le motivazioni del rigetto si basavano su due punti principali:
1. Un presunto ritardo ingiustificabile da parte del legale nella richiesta di liquidazione dei compensi.
2. La presunta genericità e mancata documentazione delle attività esposte nella nota spese.

Secondo il giudice di primo grado, l’inutilità del tentativo di recupero del credito non poteva giustificare il rimborso delle relative spese da parte dell’erario. L’avvocato, ritenendo ingiusta tale decisione, proponeva ricorso in Cassazione.

La Decisione sul Compenso del Difensore d’Ufficio

La Corte di Cassazione ha esaminato i due motivi di ricorso presentati dal legale. Ha accolto il primo, relativo al rimborso delle spese di recupero, e ha dichiarato inammissibile il secondo, concernente la documentazione dell’attività svolta.

Il Diritto al Rimborso delle Spese di Recupero

Il punto centrale della decisione riguarda il primo motivo. La Corte ha ribadito un orientamento ormai consolidato: il difensore d’ufficio ha diritto al rimborso delle spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine.

Questo principio si fonda sulla ratio dell’art. 116 del d.P.R. 115/2002 (Testo Unico sulle Spese di Giustizia). L’attività di recupero del credito è considerata strumentale e funzionale all’attività di difesa, che è svolta non solo nell’interesse dell’imputato ma anche nell’interesse superiore dello Stato a garantire il diritto di difesa a chiunque.

L’Inammissibilità del Secondo Motivo

La Corte ha invece ritenuto inammissibile il secondo motivo del ricorso. Il legale si lamentava del fatto che il Tribunale non avesse esaminato la documentazione prodotta a sostegno della sua attività, ma non specificava quali voci di spesa non fossero state riconosciute in relazione a quei documenti. Il ricorso, su questo punto, è stato giudicato generico e non conforme al principio di autosufficienza, che impone al ricorrente di fornire alla Corte tutti gli elementi per decidere senza dover consultare altri atti.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione sottolineando che sarebbe iniquo accollare al professionista l’onere delle spese sostenute per un’attività che la legge stessa gli impone di tentare. Il difensore d’ufficio, prima di poter chiedere il pagamento allo Stato, deve dimostrare di aver provato a recuperare il proprio compenso dal soggetto assistito. Se questo tentativo, obbligatorio e necessario, si rivela infruttuoso, le spese sostenute devono essere considerate parte integrante del compenso del difensore d’ufficio e, quindi, liquidate dall’erario.

L’inutilità dell’esecuzione forzata, lungi dall’essere un motivo per negare il rimborso, è proprio il presupposto che legittima la richiesta di pagamento allo Stato. Se il recupero avesse successo, infatti, non ci sarebbe alcuna ragione di rivolgersi all’erario.

Conclusioni

L’ordinanza n. 3480/2024 rafforza un principio di equità e di tutela per gli avvocati che svolgono la funzione di difensori d’ufficio. Viene confermato che lo Stato, nel farsi carico del compenso, deve includere anche i costi accessori ma necessari, come quelli per il recupero del credito, quando questo si rivela impossibile. La decisione implica che i tribunali non possono negare il rimborso di tali spese basandosi sulla sola infruttuosità della procedura esecutiva, in quanto questa è proprio la condizione prevista dalla legge per poter accedere al pagamento da parte dello Stato. L’ordinanza, cassando la decisione del Tribunale, ha rinviato la causa a un diverso magistrato dello stesso ufficio, che dovrà attenersi a questo fondamentale principio di diritto.

Un difensore d’ufficio ha diritto al rimborso delle spese sostenute per un tentativo di recupero del credito nei confronti dell’assistito, anche se il tentativo fallisce?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che il difensore d’ufficio ha diritto al rimborso delle spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine, in quanto tali attività sono strumentali e funzionali all’incarico svolto anche nell’interesse dello Stato.

L’inutilità della procedura di recupero del credito può essere usata come motivazione per negare il rimborso delle relative spese?
No, al contrario. La Corte chiarisce che l’infruttuosità della procedura di recupero è proprio il presupposto che legittima la richiesta di pagamento allo Stato. Se l’assistito pagasse, non ci sarebbe motivo di chiedere il rimborso all’erario.

Il ritardo nella richiesta di liquidazione dei compensi può pregiudicare il diritto al rimborso delle spese di recupero?
Sebbene il Tribunale avesse menzionato il ritardo, la Cassazione ha accolto il ricorso sulle spese di recupero basandosi sul principio che tali costi sono dovuti in quanto connessi all’attività principale. La motivazione della Corte si concentra sulla funzionalità delle spese di recupero, non sulla tempistica della richiesta iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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