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Compenso difensore d’ufficio: onere della prova

La Cassazione nega il compenso al difensore d’ufficio per un imputato straniero, chiarendo che non basta l’assenza di residenza in Italia. L’avvocato ha l’onere della prova di dimostrare l’irreperibilità anche nello Stato di provenienza o l’impossibilità di recuperare il credito all’estero. In mancanza di tale prova, la richiesta di liquidazione a carico dello Stato viene respinta.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso difensore d’ufficio per straniero: la Cassazione chiarisce l’onere della prova

Quando un avvocato viene nominato difensore d’ufficio per un cittadino straniero irreperibile, ha diritto al pagamento delle sue competenze da parte dello Stato? La risposta non è scontata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sull’onere della prova a carico del legale, stabilendo che non è sufficiente la mera assenza di una residenza in Italia. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni per i professionisti che si occupano di ottenere il compenso difensore d’ufficio in queste complesse circostanze.

I Fatti del Caso

Un avvocato veniva nominato difensore d’ufficio per un cittadino straniero nell’ambito di un procedimento di convalida di un provvedimento di trattenimento. Il legale si attivava, scaricando gli atti dal fascicolo telematico e collegandosi all’udienza. Tuttavia, poco prima dell’inizio, veniva informato della nomina di un difensore di fiducia e quindi escluso dal procedimento.

Successivamente, l’avvocato presentava istanza per la liquidazione del proprio compenso a carico dello Stato, sostenendo che il suo assistito fosse irreperibile, in quanto non iscritto all’anagrafe della popolazione residente. La sua richiesta ammontava a Euro 1.175,00 oltre accessori.

La decisione del Tribunale e le ragioni del ricorso

Il Tribunale di Lecce rigettava sia l’istanza di liquidazione sia la successiva opposizione. La motivazione del rigetto si basava su un punto fondamentale: la condizione di straniero senza fissa dimora in Italia non equivale automaticamente a una condizione di irreperibilità di fatto. Secondo il Tribunale, poiché i dati anagrafici e lo Stato di provenienza dell’imputato erano noti, spettava al difensore d’ufficio provare che l’assistito fosse irreperibile anche nel suo Paese d’origine e che fosse nullatenente. L’avvocato non aveva fornito tale prova, limitandosi a constatare l’assenza di residenza in Italia.

La questione del compenso difensore d’ufficio e l’irreperibilità

Il cuore della controversia ruotava attorno all’interpretazione degli articoli 116 e 117 del d.P.R. 115/2002. Il legale ricorrente in Cassazione sosteneva che, per ottenere il compenso difensore d’ufficio, fosse sufficiente dimostrare l’irreperibilità di fatto dell’assistito sul territorio italiano. A suo avviso, la legge non impone al difensore di intraprendere complesse e costose ricerche all’estero, soprattutto considerando le difficoltà pratiche nel recuperare un credito in Paesi al di fuori dell’Unione Europea.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando l’orientamento già espresso in precedenza. I giudici hanno chiarito che la condizione di irreperibilità rilevante ai fini della liquidazione del compenso a carico dello Stato non coincide con la mera assenza di una fissa dimora in Italia.

Quando i dati anagrafici dello straniero sono conosciuti con certezza, spetta al difensore d’ufficio un onere probatorio più stringente. Egli deve dimostrare, senza necessità di attività di ricerca sproporzionate, una di queste due circostanze:

1. Che l’assistito sia irreperibile anche nel suo Stato di provenienza.
2. Che esista un impedimento giuridico o di fatto al recupero del credito all’estero.

Nel caso specifico, l’avvocato non aveva compiuto alcun passo in questa direzione: non aveva tentato di inviare una richiesta di pagamento alla residenza estera né aveva cercato di reperire un indirizzo. Questa totale inerzia è stata decisiva. La Corte ha sottolineato che l’equiparazione tra residenza all’estero e irreperibilità di fatto non è consentita dalla normativa. L’inerzia del professionista non può essere giustificata nemmeno dall’intento di evitare ulteriori spese, poiché la legge prevede il rimborso delle spese sostenute per le procedure di recupero crediti in questi casi.

Conclusioni

La decisione consolida un principio di fondamentale importanza pratica: il compenso difensore d’ufficio per un assistito straniero con dati anagrafici noti non è un automatismo. L’avvocato deve assumere un ruolo attivo nel tentare, con la diligenza di un normale creditore, di recuperare il proprio onorario. Solo dopo aver dimostrato l’esito negativo di questi tentativi o l’impossibilità oggettiva di procedere, potrà rivolgersi allo Stato per la liquidazione. Questa pronuncia serve da monito per i legali, che devono documentare attentamente ogni attività volta a rintracciare il proprio assistito all’estero prima di poter invocare il patrocinio a spese dello Stato.

Per ottenere il compenso a carico dello Stato, è sufficiente che l’assistito straniero sia senza fissa dimora in Italia?
No, secondo la Corte di Cassazione non è sufficiente. La mera circostanza che lo straniero sia senza fissa dimora in Italia non coincide con la condizione di irreperibilità di fatto richiesta dalla legge per porre il compenso a carico dello Stato.

Qual è l’onere della prova a carico del difensore d’ufficio che assiste uno straniero di cui sono note le generalità?
Il difensore d’ufficio ha l’onere di provare che l’assistito sia irreperibile anche nel suo Stato di provenienza oppure che sia oggettivamente impedito il recupero del credito all’estero. Questo richiede un’attività minima, come tentare di inviare una richiesta di pagamento alla residenza estera.

L’impossibilità pratica di recuperare il credito all’estero giustifica il pagamento da parte dello Stato?
Sì, l’ipotesi dell’impedimento del recupero del credito all’estero è equiparata a quella dell’irreperibilità. Tuttavia, anche questa condizione deve essere provata dal difensore, il quale non può limitarsi a una generica allegazione ma deve dimostrare di aver intrapreso azioni concrete, seppur infruttuose.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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