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Compenso difensore d’ufficio: no a riduzioni

La Corte di Cassazione ha stabilito che il compenso del difensore d’ufficio non può essere ridotto per le spese sostenute nel tentativo di recuperare il credito dal proprio assistito, divenuto irreperibile. Con l’ordinanza n. 3606/2024, i giudici hanno chiarito che la decurtazione di un terzo, prevista dall’art. 106-bis del D.P.R. 115/2002, si applica solo alle prestazioni difensive e non alle procedure di recupero. Allo stesso modo, la riduzione della metà per le spese di lite nel giudizio di opposizione (art. 130) è stata ritenuta inapplicabile, poiché tale giudizio segue le normali regole della soccombenza.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Difensore d’Ufficio: la Cassazione Mette Fine alle Riduzioni Indebite

La questione del compenso difensore d’ufficio rappresenta un tema cruciale per la professione forense, specialmente quando l’assistito si rende irreperibile. In questi casi, la legge prevede che l’onorario sia liquidato dallo Stato, ma non senza ostacoli. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 3606/2024) ha fatto chiarezza su due aspetti controversi: le riduzioni applicate alle spese di recupero del credito e a quelle del giudizio di opposizione.

I Fatti del Caso

Un avvocato, nominato difensore d’ufficio in un procedimento penale, si trovava di fronte all’impossibilità di ottenere il pagamento dal proprio assistito, un cittadino extracomunitario resosi irreperibile. Come previsto dalla normativa, l’avvocato ha prima tentato di recuperare il proprio credito e, una volta dimostrato l’esito negativo di tale procedura, ha richiesto la liquidazione del compenso allo Stato.

Il Tribunale di Milano, pur riconoscendo il diritto del legale, aveva liquidato le somme con due significative riduzioni:
1. Una decurtazione di un terzo sulle spese sostenute per la procedura monitoria contro l’ex cliente, applicando l’art. 106-bis del D.P.R. 115/2002.
2. Una riduzione della metà sulle spese legali del giudizio di opposizione al decreto di liquidazione, ai sensi dell’art. 130 dello stesso decreto.
Ritenendo ingiuste tali riduzioni, l’avvocato ha presentato ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto i motivi principali del ricorso, cassando l’ordinanza del Tribunale e decidendo nel merito. I giudici hanno stabilito che nessuna delle due riduzioni era applicabile al caso di specie, fornendo importanti chiarimenti sull’interpretazione della normativa in materia di compensi.

Le Motivazioni: Analisi dei Principi di Diritto

La Corte ha fondato la sua decisione su una chiara distinzione tra le diverse attività svolte dall’avvocato.

Il Compenso per il Recupero Crediti non va Ridotto

Il primo punto affrontato riguarda la decurtazione di un terzo. La Cassazione ha affermato che la riduzione prevista dall’art. 106-bis del Testo Unico sulle Spese di Giustizia è destinata esclusivamente ai compensi per l’attività difensiva svolta in favore del soggetto ammesso al patrocinio o difeso d’ufficio.

L’attività di recupero del credito, invece, non è prestata a vantaggio del cliente, ma contro di lui. Si tratta di una spesa necessaria che l’avvocato deve sostenere per dimostrare il presupposto richiesto dalla legge (l’infruttuoso tentativo di recupero) al fine di poter accedere al pagamento da parte dello Stato. Di conseguenza, questa attività professionale, distinta e separata dalla difesa penale, non può essere soggetta alla medesima riduzione. È una spesa propedeutica, non un onorario per la difesa.

Spese di Lite nel Giudizio di Opposizione: Nessuna Riduzione per il Compenso del Difensore d’Ufficio

Anche il secondo motivo di ricorso è stato accolto. La Corte ha chiarito che il giudizio di opposizione avverso un decreto di liquidazione non è una continuazione dell’attività di patrocinio, ma un autonomo procedimento contenzioso. In questo giudizio, l’avvocato e il Ministero della Giustizia sono parti contrapposte che discutono sulla correttezza di un provvedimento.

Pertanto, la regolazione delle spese di lite deve seguire il principio generale della soccombenza (art. 91 c.p.c.), secondo cui chi perde paga. La riduzione della metà prevista dall’art. 130 del D.P.R. 115/2002 non è applicabile, poiché la controversia non verte più sulla prestazione a favore del soggetto patrocinato, ma unicamente sulla misura del compenso dovuto al professionista.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per gli Avvocati

Questa ordinanza rappresenta una vittoria significativa per gli avvocati che svolgono il ruolo di difensori d’ufficio. La Corte di Cassazione ha riaffermato un principio di equità: i costi che un legale deve obbligatoriamente sostenere per soddisfare i requisiti di legge non possono essere arbitrariamente ridotti. La pronuncia garantisce che il compenso del difensore d’ufficio sia tutelato in modo più completo, distinguendo nettamente tra l’onorario per la difesa e il rimborso delle spese necessarie per ottenere ciò che è dovuto dallo Stato. Si tratta di una chiara indicazione per i tribunali, volta a garantire una liquidazione più giusta e corretta dei compensi professionali.

Le spese che il difensore d’ufficio sostiene per recuperare il credito dal cliente irreperibile possono essere ridotte di un terzo?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la riduzione di un terzo prevista dall’art. 106-bis del D.P.R. 115/2002 si applica solo al compenso per l’attività difensiva, non alle spese sostenute per le procedure di recupero del credito, che sono un presupposto necessario per la liquidazione da parte dello Stato.

Nel giudizio di opposizione al decreto di liquidazione, le spese legali possono essere ridotte della metà?
No. Secondo la Corte, questo tipo di giudizio è un procedimento contenzioso autonomo in cui si applica integralmente il principio della soccombenza (‘chi perde paga’). La riduzione della metà prevista dall’art. 130 del D.P.R. 115/2002 non è pertinente.

Cosa può fare un avvocato se il giudice non liquida le spese vive documentate (es. contributo unificato, marche da bollo)?
La sentenza chiarisce che il contributo unificato è un’obbligazione ‘ex lege’ e la sua restituzione è implicita nella condanna alle spese. Per altre spese vive non liquidate, lo strumento corretto non è il ricorso per cassazione, ma il procedimento di correzione dell’errore materiale previsto dall’art. 287 del codice di procedura civile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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