Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 460 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 460 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17910/2020 R.G. proposto da:
NOME COGNOME domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 2370/2019 depositata il 08/10/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 30/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto: Contratto d’opera – Custodia – Rapporto – Accessorio – Presupposti – Compenso – Criteri
R.G.N. 17910/2020
Ud. 30/11/2023 CC
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 8 ottobre 2019, la Corte d’appello di Firenze, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza 1244/2012 con la quale il Tribunale di Prato, previa revoca del decreto ingiuntivo ottenuto dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME COGNOME aveva condannato quest’ultima alla corresponsione del minore importo di € 1.900,00, oltre IVA.
RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto ed ottenuto l’emissione del provvedimento monitorio per l’importo di € 7.120,00, allegando, quale titolo della pretesa creditoria, l’espletamento di attività di trasporto e successiva custodia per circa due anni – di un autoveicolo di proprietà di NOME COGNOME rimasto distrutto per un incendio.
Aveva proposto opposizione NOME COGNOME deducendo che il rapporto posto a fondamento della domanda monitoria era in realtà intercorso tra l’opposta e la propria figlia – utilizzatrice del veicolo – ed ulteriormente eccependo la prescrizione della pretesa.
Il Tribunale di Prato aveva ritenuto provata l’esistenza del rapporto negoziale tra l’opposta RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME ma, rilevato che non vi era prova di intesa in ordine alla determinazione del corrispettivo, aveva revocato il decreto opposto rideterminando la somma dovuta all’opposta secondo gli usi e l’equità e in tal modo condannando NOME COGNOME alla corresponsione della minor somma di € 1.900,00 oltre IVA.
Proposto appello da parte di NOME COGNOME la Corte d’appello di Firenze ha, in primo luogo, disatteso il motivo di gravame con il quale veniva riproposta l’eccezione di carenza di titolarità del lato passivo
dell’obbligazione, facendo proprie le conclusioni del giudice di prime cure e valorizzando la duplice circostanza, costituita da un ‘ offerta transattiva formulata dall’appellante ritenuta dalla Corte territoriale come riconoscimento di debito -e dal fatto che, a seguito dell’offerta reale di restituzione da parte della RAGIONE_SOCIALE la stessa appellante aveva accettato di prendere in custodia il veicolo.
In relazione agli altri motivi di appello, la Corte territoriale ha escluso la gratuità del contratto di deposito rilevando che l’appellata esercitava attività di autorimessa a cielo aperto, ritenendo quindi superata la presunzione di cui all’art. 1767 c.c. e richiamando il disposto di cui all’art. 1781 c.c. – ed ha fatto propria la quantificazione del corrispettivo operata dal giudice di prime cure, in quanto effettuata mediante integrazione del contratto secondo gli usi e l’equità.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Firenze ricorre ora NOME COGNOME
È rimasta intimata RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria meramente accompagnatoria di documenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato a quattro motivi.
2 .1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1767, 1781, 2697 e 2729 c.c.
Il ricorso censura la decisione impugnata nella parte in cui la stessa ha ritenuto superata la presunzione di gratuità del deposito di cui
all’art. 1767 c.c., deducendo che l’intimata esercita attività di autofficina e non di deposito e custodia di vetture, risultando l’attività di deposito meramente accessoria rispetto a quella di riparazione.
Deduce, quindi, il ricorso che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto superata la presunzione di cui all’art. 1767 c.c. ed altrettanto erroneamente ha richiamato il disposto di cui all’art. 1781 c.c., non avendo RAGIONE_SOCIALE mai allegato e provato di avere sostenuto spese per la conservazione del veicolo.
2.2. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha reiteratamente affermato il principio per cui il contratto concluso per la riparazione di un veicolo ha natura di prestazione d’opera in cui l’obbligazione di custodia ha carattere meramente accessorio e strumentale rispetto a quella principale di riparazione, operando quindi la presunzione di gratuità della custodia medesima, la quale viene meno solo nel contratto tipico di deposito (in cui la prestazione di custodia, costituisce, al contrario, l’oggetto dell’obbligazione principale), allorché il depositario sia tale di professione, con la conseguenza che, al di fuori di questa ipotesi, il compenso per la custodia prestata può aggiungersi a quello dovuto per la prestazione principale solo in presenza di un’espressa pattuizione in tal senso (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 15723 del 04/06/2021; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17918 del 27/08/2020).
Nel caso in esame -al di là della circostanza per cui il veicolo affidato all’intimata era destinato alla demolizione, da ciò derivando che la custodia del medesimo non era finalizzata, come prestazione accessoria, alla riparazione -si osserva che la Corte d’appello, in piena conformità con i principi enunciati da questa Corte, ha operato un accertamento in fatto -non sindacabile nella presente sede -evidenziando che l’odierna intimata svolge anche attività di
autorimessa a cielo aperto e concludendo che da tale profilo era desumibile il carattere professionale dell’attività di deposito e d il superamento della presunzione di gratuità della prestazione di custodia del veicolo.
Tale accertamento in fatto è -si ripete -insindacabile nella presente sede di legittimità, a nulla valendo, quindi, le eterogenee deduzioni -anche queste in mero fatto -svolte dalla ricorrente, a cominciare da quella relativa alla non corrispondenza tra le indicazioni contenute nel certificato camerale dell’intimata e l’attività effettiva di quest’ultima , risultando questi profili del tutto estranei al giudizio di legittimità.
È, allora, opportuno ribadire che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
3.1 . Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1374, 1325, 1375 c.c.; 33, D. Lgs. n. 206/2005 e 2 Cost.
Il ricorso censura la decisione della Corte fiorentina nella parte in cui ha ritenuto di determinare il corrispettivo secondo gli usi e l’equità, deducendo di avere prodotto in giudizio dei tariffari applicati in alcuni parcheggi e di avere invocato l’applicazione dell’art. 33, D. Lgs. n. 206/2005, concludendo che la determinazione del corrispettivo sarebbe dovuta avvenire in primo luogo secondo gli usi e secondo le
circostanze concrete e, ulteriormente, valutando secondo i criteri di buona fede e correttezza la condotta dell’intimata.
3.2. Il motivo è infondato.
Anche a non voler considerare risolutiva la circostanza che la veste di consumatore della ricorrente e la conseguente applicabilità del D. Lgs. n. 206/2005 non risultano essere state in alcun modo dedotte nei precedenti gradi di giudizio né parte ricorrente ha provveduto, in ossequio al canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., ad indicare gli atti nei quali tale deduzione sarebbe avvenuta, è sufficiente rilevare che l’equità integrativa ex art. 1374 c.c., cui la decisione impugnata ha fatto ricorso nell’operare la determinazione del corrispettivo, risulta di per sé comunque idonea rispondere alle esigenze di tutela cui è specificamente finalizzato l’art. 33, D. Lgs. n. 206/2005.
Occorre, infatti, rammentare che il parametro dell’equità integrativa ha la finalità di assicurare che il negozio svolga interamente la funzione che lo caratterizza e, in particolare, di regolare la fattispecie in via suppletiva, nel caso di una lacuna nel regolamento negoziale (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1995 del 22/07/1966).
L’equità, invero, va intesa, non come richiamo di norme extragiuridiche per un giudizio secondo equità in luogo di una pronuncia secondo diritto, bensì nel senso di procedere ad una valutazione del contratto secondo corretti criteri di logica giuridica, applicando, sì, la norma, ma adattandola al caso concreto, pur operando nel suo ambito e procedendo, quindi ad un giudizio che è comunque di diritto (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1189 del 11/06/1965).
Da questo punto di vista, quindi pur ribadendo che l’integrazione del contratto secondo equità non sostituisce alla legge un parametro diverso, ma opera una flessione del dato normativo astratto, in modo da assicurarne l’adattamento al caso concreto ben può affermarsi che
l’equità può risolversi anche nella parametrazione dell’applicazione concreta del regolamento contrattuale – e della regola economica in esso contenuta – alla condizione giuridica soggettiva dei soggetti coinvolti, ed in particolare del soggetto debitore.
L’equità integrativa ex art. 1374 c.c., quindi, si presta pienamente a valorizzare la veste di consumatore anche al di fuori dei casi in cui quest’ultima venga ad incidere direttamente sul rapporto contrattuale -in virtù dell’applicazione della disciplina positiva di matrice consumeristica – e non ostando a tale conclusione la generale affermazione della insindacabilità dell’equità del contratto, atteso che , da un lato, il ruolo dell’equità è integrativo e quindi postula una lacuna nel regolamento contratt uale e che, dall’altro lato, la tesi della insindacabilità dell’equilibrio contrattuale non può comunque prevalere su principi, come quello di tutela generale del consumatore, che trovano enunciazione a livello sovranazionale ed eurounitario ponendosi, quindi, espressamente come limiti all’autonomia contrattuale dei privati.
Da ciò consegue che – anche alla luce del principio per cui il giudizio equitativo presenta carattere ampiamente discrezionale, potendo ammettersi il sindacato di legittimità solo in quanto il giudizio stesso non sia sorretto da una adeguata giustificazione del processo logico all’uopo seguito (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 352 del 13/02/1970; Cass. Sez. L, Sentenza n. 3088 del 19/05/1984) -si deve affermare l’infondatezza del motivo di ricorso in quanto lo stesso -ferme le lacune già evidenziate -non solo non ha individuato alcuna carenza nel percorso valutativo seguito dal giudice di merito, ma neppure è riuscito ad individuare elementi che consentano di affermare che, in tale giudizio, la Corte territoriale non abbia tenuto conto della concreta veste soggettiva della ricorrente.
Quanto alle deduzioni della ricorrente in ordine al parametro degli usi, è d’uopo rammentare che gli usi cui fa riferimento l’ art. 1374 c.c. vanno individuati negli usi c.d. normativi (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2259 del 07/08/1964), da tenere distinti dagli usi c.d. negoziali, cui, invece, si riferisce l’art. 1340 c.c.
Ricordato, ancora, che, perché venga ad integrarsi un uso normativo, occorre la presenza del duplice presupposto della diuturnitas e della opinio iuris ac necessitatis (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4853 del 01/03/2007; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3096 del 30/03/1999; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9227 del 01/09/1995), nel caso in esame si deve rilevare che -anche in questo caso al di là di ogni ulteriore considerazione -invano parte ricorrente cerca di presentare come usi le mere, frammentarie, produzioni dei tariffari di singoli esercenti l’attività di parcheggio , fermo restando, anche in questo caso, il carattere meramente fattuale della censura.
4.1 . Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 1766 e 2697 c.c.
Riproponendo l’eccezione di difetto di titolarità del lato passivo dell’obbligazione, il ricorso censura la decisione della Corte fiorentina nella parte in cui ha ritenuto che l’obbligazione gravasse sulla stessa ricorrente, assumendo che tale conclusione non è supportata da evidenze probatorie.
Contesta, in particolare, la valenza delle circostanze valorizzate dalla decisione ed in particolare del verbale di affidamento in custodia del veicolo a seguito di offerta reale, argomentando che tale circostanza non vale a provare che era stata la ricorrente a concludere il contratto con la RAGIONE_SOCIALE
4.2. C on il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la nullità della sentenza per violazione degli artt. 99, 112, 113, 115 e 116 c.p.c.
Il motivo censura ancora una volta la decisione della Corte fiorentina, nella parte in cui ha ritenuto che l’obbligazione gravasse sulla stessa ricorrente, questa volta appuntando le proprie critiche alla valorizzazione, operata dalla decisione stessa, della corrispondenza intercorsa tra le parti.
Deduce, in primo luogo, che la corrispondenza era intercorsa inizialmente tra la figlia della ricorrente, da ritenersi vero soggetto obbligato.
Deduce, ulteriormente, che la proposta transattiva formulata dalla stessa ricorrente non aveva alcun valore di riconoscimento del debito, in quanto finalizzata unicamente ad evitare il contenzioso.
4.3. I due motivi devono essere esaminati congiuntamente, stante il loro impianto unitario, e sono inammissibili.
Si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n.
16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nel caso in esame, invece, le censure della ricorrente risultano del tutto inefficaci nell’individuare nella decisione impugnata affermazioni che possano integrare una ipotesi di violazione o falsa applicazione di legge, essendo invece evidente che l’impianto critico dei due motivi di ricorso è invece indirizzato alla valutazione in fatto operata dalla Corte fiorentina, ed in particolare alla complessiva ponderazione degli elementi probatori sulla cui scorta la decisione impugnata è giunta -con motivazione peraltro coerente ed adeguata -ad affermare che controparte della RAGIONE_SOCIALE era, appunto, l’odierna ricorrente e non la di lei figlia.
I due motivi di ricorso, quindi, si traducono in un inammissibile sindacato della valutazione delle prove operate dalla Corte d’Appello, ponendosi in conflitto con il principio enunciato da questa Corte, per cui, nel procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in
discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004).
Come questa Corte ha più volte sottolineato (Cass. Sez. 2 Sentenza n. 11176 del 08/05/2017), compito della Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass., Sez. 3, n. 3267 del 12/02/2008), dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
Solo per completezza si deve osservare, in relazione all’ultimo motivo di ricorso che -ferma la potenziale valenza confessoria che può essere riconosciuta alle dichiarazioni di scienza contenute nella transazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22956 del 10/11/2015; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3033 del 06/02/2009) – il concreto esame del motivo è precluso dalla mancata riproduzione del fax con l’offerta transattiva e dalla conseguente violazione del canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.
5. Il ricorso deve quindi essere respinto.
Non vi è luogo a regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, stante la mancata costituzione dell’intimata.
6. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020 – Rv. 657198 – 05).
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis , ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell ‘adunanza camerale in data 30 novembre