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Compenso custodia container: la guida della Cassazione

Una società di logistica ha contestato l’importo del compenso per la custodia di un container sequestrato, ritenendolo troppo basso. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il calcolo del compenso custodia container, in assenza di “usi locali” provati, deve avvenire per analogia, utilizzando le tariffe ministeriali previste per gli autocarri. La Corte ha chiarito che il listino prezzi di una singola azienda non costituisce un “uso locale” e che il criterio analogico è giustificato dalla somiglianza fisica tra un container e un autocarro in termini di ingombro.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso custodia container: la guida della Cassazione

La determinazione del giusto compenso custodia container sequestrati è una questione complessa che vede contrapposti gli interessi dei custodi giudiziari e le casse dello Stato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti decisivi, consolidando un orientamento giurisprudenziale preciso. Vediamo nel dettaglio il caso e i principi affermati dalla Suprema Corte.

I fatti del caso: la richiesta di un giusto compenso

Una società operante in un terminal intermodale si era vista liquidare dal Tribunale penale un compenso di circa 7.000 euro per la custodia, durata oltre 4.500 giorni, di un container sequestrato. La società ha contestato l’importo, ritenendolo esiguo, e ha avviato un’opposizione civile chiedendo una liquidazione di oltre 135.000 euro, basata sulle proprie tariffe commerciali, che a suo dire costituivano “usi locali”.

Il Tribunale civile, pur accogliendo parzialmente l’opposizione e disapplicando la prescrizione, ha liquidato una somma di poco superiore a 8.000 euro. La decisione si basava non sulle tariffe della società, ma sull’applicazione analogica delle tariffe ministeriali previste per la custodia degli autocarri, data la somiglianza fisica tra i due beni in termini di ingombro.

Insoddisfatta, la società ha proposto ricorso alla Corte di Cassazione, lamentando la violazione delle norme sulla determinazione dell’indennità (D.P.R. n. 115/2002) e la violazione dell’art. 23 della Costituzione, sostenendo che l’importo liquidato fosse inferiore ai costi vivi sostenuti, imponendo un sacrificio patrimoniale ingiusto.

La decisione della Cassazione sul compenso custodia container

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la correttezza della decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno ribadito i principi che regolano la liquidazione del compenso custodia container e di altri beni non specificamente tariffati.

Le motivazioni: perché si applicano le tariffe degli autocarri?

La Corte ha spiegato che la normativa (D.M. n. 265/2006) prevede tabelle tariffarie specifiche solo per veicoli a motore e natanti. Per tutte le altre categorie di beni, come i container, la legge rimanda in via residuale agli “usi locali”.

Tuttavia, gli “usi locali” non possono identificarsi con il listino prezzi di una singola impresa, anche se leader nel settore. Essi devono rappresentare una prassi consolidata e seguita da tutte le imprese di una determinata zona. In assenza di una prova rigorosa sull’esistenza di tali usi, il giudice deve ricorrere all’applicazione analogica.

Nel caso specifico, l’analogia con gli autocarri è stata ritenuta appropriata per diverse ragioni:
1. Similitudine fisica: Un container occupa uno spazio simile a quello di un autocarro.
2. Oneri di conservazione: Gli oneri per la conservazione sono considerati analoghi.
3. Logica tariffaria: La tariffa per gli autocarri, che decresce con il passare del tempo, riflette una logica applicabile anche ai container, il cui valore non aumenta con la conservazione.

La Corte ha inoltre escluso l’applicabilità dei criteri previsti dal codice civile per le professioni intellettuali (art. 2233 c.c.), poiché la custodia è un’attività materiale e non professionale.

Le conclusioni: implicazioni per i custodi giudiziari

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale: i custodi di beni sequestrati non possono fare affidamento sulle proprie tariffe commerciali per ottenere la liquidazione del compenso. Se il bene non rientra nelle categorie specificamente tariffate dal decreto ministeriale, e in assenza di usi locali provati e generalizzati, il compenso verrà determinato per analogia, utilizzando la tariffa del bene più simile previsto dalla normativa. Per i container, il riferimento consolidato è quello degli autocarri. La decisione sottolinea inoltre che la richiesta di un’indennità basata su tariffe ministeriali, considerate remunerative, non può essere confusa con una richiesta di rimborso di costi specifici, che la Corte di Cassazione non può verificare nel merito.

Come si calcola il compenso per la custodia di un container sequestrato?
In assenza di usi locali provati (prassi consolidate del settore in una data zona), il compenso si calcola applicando per analogia le tariffe ministeriali previste per la custodia degli autocarri, data la somiglianza fisica in termini di ingombro e conservazione.

La tariffa di una singola azienda può essere considerata un “uso locale”?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che il listino prezzi di una singola impresa, anche se operante in regime di monopolio di fatto, non costituisce un “uso locale”, che invece deve essere una prassi generalizzata tra le imprese del settore in quella zona.

È possibile ottenere un compenso superiore se i costi di custodia superano l’importo liquidato?
No, la Corte ha stabilito che non può effettuare una verifica di fatto sulla corrispondenza tra i costi lamentati e il compenso liquidato. La liquidazione si basa su tariffe ministeriali considerate presuntivamente remunerative e non costituisce un rimborso di spese vive, che è una domanda diversa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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