Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15272 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15272 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 38006/2019 R.G. proposto da :
COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, domiciliato ex lege in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende in forza di legge;
-controricorrente-
contro
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA;
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE ROMA n. 16045/2017 depositata il 06/05/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dall’opposizione proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto di liquidazione emesso dal Tribunale di Roma a titolo di compenso per l’attività di custodia di circa 522 colli, sottoposti a sequestro penale, collocati in area coperta dal 14 settembre 2007 al 29 novembre 2012 ed occupanti una superficie di 140 metri quadri.
A sostegno dell’opposizione, la NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE dedusse che la liquidazione non fosse conforme alle tariffe dell’Agenzia del Demanio.
Il Tribunale di Roma, con ordinanza del 6 maggio 2019, accolse parzialmente l’opposizione, rideterminando l’indennità spettante in € 38.837,18.
Il Tribunale di Roma osservò che le tariffe dell’Agenzia del Demanio, invocate dall’opponente per la liquidazione del compenso, non trovassero più costante e ripetuta applicazione a seguito del Protocollo a firma congiunta da parte del Presidente del Tribunale e del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Essendo intervenute varie liquidazioni difformi da tali tariffe, escluse che esse rivestissero la natura di uso e liquidò il compenso secondo la regola residuale prevista dall’art. 2233, comma 1, c.c.
Secondo il Tribunale di Roma, in assenza di convenzione tra le parti, le tariffe dell’Agenzia del Demanio potevano costituire un primo parametro di riferimento per la valutazione di proporzionalità ed
adeguatezza del compenso, ma doveva tenersi conto dello scarso valore commerciale della merce custodita e del lavoro normalmente necessario per la loro custodia; la liquidazione poteva essere compiuta provvedendo, quindi, alla decurtazione di un terzo delle tariffe stabilite dall’Agenzia del Demanio.
Avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma, la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
La Procura non ha svolto difese in questa fase.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione o falsa applicazione di legge del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 59, co. 2 e 3, e dell’art. 5 del D.M. 2 settembre 2006, n. 265, nonché all’art. 8 delle preleggi, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c.; con tale mezzo si contesta l’affermazione circa l’inesistenza di usi locali per la determinazione dell’indennità di custodia per beni diversi dai veicoli, sulla base di numerosi provvedimenti di liquidazione effettuati sulla base delle tariffe dell’Agenzia del Demanio, sin dal 2002, da parte degli uffici giudiziari capitolini e del Tribunale di Civitavecchia.
Con il secondo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2225 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n.3. c.p.c., nella parte in cui il Tribunale ha ridotto il compenso calcolato secondo le tariffe dell’Agenzia del Demanio in ragione del valore commerciale dei beni. La ricorrente sostiene l’illegittimità di tale riduzione, in presenza degli usi locali, che correlerebbero il compenso esclusivamente all’ingombro dei beni.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati.
Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi in diverse occasioni in ordine alla natura di usi locali delle Agenzie del Demanio nell’ambito di numerosi giudizi promossi dalla NOME RAGIONE_SOCIALE ( ex multis Cassazione civile sez. II, 25/03/2024, n.7976; Cassazione civile sez. II, 20/02/2024, n. 4506; Cass. II Sez. Civ. n. 2507/2022)
Quanto alla normativa relativa al compenso del custode giudiziario di beni sottoposti a sequestro penale, va richiamato l’art.58 del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale prevede che al custode, diverso dal proprietario o avente diritto, di beni sottoposti a sequestro penale probatorio e preventivo, e, nei soli casi previsti dal codice di procedura civile, al custode di beni sottoposti a sequestro penale conservativo e a sequestro giudiziario e conservativo, spetta un’indennità per la custodia e la conservazione, da determinarsi sulla base delle tariffe contenute in tabelle, approvate ai sensi dell’art. 59 (con decreto del Ministro della giustizia, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, ai sensi della L. 23 agosto 1988, n. 400, art. 17, commi 3 e 4), e, in via residuale, secondo gli usi locali.
Il D.M. 2 settembre 2006, n. 265, art. 5, per la determinazione dell’indennità di custodia e conservazione relativa ad altre categorie di beni, diversi da veicoli e natanti, dispone di far riferimento, in via residuale, agli usi locali, come previsto dall’art. 58, comma 2, del Testo Unico Spese di Giustizia.
Nella fattispecie, deve reputarsi pacifica la non diretta riconducibilità dei beni oggetto di causa nel novero di quelli per i quali è intervenuta la disciplina di cui al citato Decreto Ministeriale, risultando quindi altrettanto pacifica la non applicabilità delle corrispondenti previsioni. La mancata adozione di tariffe per la tipologia dei beni oggetto di causa impone, quindi, di dover far ricorso agli usi locali, dovendo escludersi il ricorso a criteri alternativi ovvero il richiamo all’equità.
Reputa il Collegio di dover assicurare continuità alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11553/2019), che ha ritenuto ad esempio condivisibile il ricorso alle tariffe approvate dall’Agenzia del Demanio di Roma, in quanto ritenute corrispondenti agli usi locali cui la norma fa richiamo.
L’art. 8 disp. prel. c.c., prevede che nelle materie regolate dalle leggi e dai regolamenti gli usi hanno efficacia solo in quanto sono da essi richiamati ( consuetudo secundum legem ), situazione che ricorre nella fattispecie in forza dell’espresso richiamo operato agli usi da parte del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58 e dal D.M. n. 296 del 2006, art. 45.
Non ignora il Collegio come nella giurisprudenza di questa Corte sia del tutto consolidato il principio, fondato sull’obbligo del giudice di conoscere la legge, ma non anche gli usi, che debbono essere provati (anche per quanto riguarda l’elemento dell’ opinio iuris ac necessitatis ) a cura della parte che li allega (Cass., Sez. 1, 01/03/2007, n. 4853 con ampi richiami: Cass. 18/6/1956 n. 2158; Cass. 4/10/1956 n. 3348; Cass. 17/10/1961 n. 2183; Cass. 30/10/1963 n. 2909; Css. 4/5/1965 n. 795; Cass. 19/5/1965 n. 980; Cass. 18/2/1967 n. 406; Cass. 17/4/1968 n. 1131; Cass. 18/4/1969 n. 1229; Cass. 9/6/1972 n. 1823; Cass. 21/11/2000 n. 15014; nonché più di recente Cass. n. 2507/2022; Cass. n. 2789/2023; Cass. n. 10309/2023; Cass. n. 19301/2023).
Nel caso di specie, è stato riconosciuto da questa Corte, con motivazione che il collegio condivide, come nell’applicazione ex art. 58 del DPR n. 115/2002 possa attribuirsi valore di uso anche a criteri determinativi dei compensi connotati in fatto dalla loro osservanza abituale, che ben può riconoscersi nel fatto che le Prefetture locali ne fanno uso abituale per compensare i custodi di beni sequestrati in via amministrativa.
Quanto all’obiezione secondo cui l’esistenza degli usi presuppone la loro osservanza da parte della collettività nella convinzione della loro cogenza, sicché sarebbe necessario anche accertare tale elemento, la cosiddetta opinio juris ac necessitatis , che implica la ripetizione abituale della condotta da parte dei consociati nella convinzione di adempiere ad un obbligo giuridico, va ricordato che secondo un orientamento consolidato di questa Corte, di cui è espressione proprio Cass. n. 11553/2019 citata, in tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, la determinazione dell’indennità di custodia per i beni diversi da quelli ivi espressamente contemplati va operata, ai sensi dell’art. 5 del citato D.M. e del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, comma 2, sulla base degli usi locali, senza che, per questi, occorra verificare la ricorrenza del requisito della opinio iuris ac necessitatis , ossia dalla convinzione, comune ai consociati, dell’obbligatorietà dell’osservanza delle tariffe, poiché il recepimento e la legittimazione delle prassi dei corrispettivi applicati nella pratica commerciale deriva direttamente dal rinvio operato dalla disciplina legale.
Infatti, poiché sono le stesse norme di legge e di regolamento a rinviare alla pratica commerciale, il rinvio vale, di per sé, a recepire e a legittimare, ai fini della determinazione dell’indennità di custodia, la prassi dei corrispettivi applicati dalle imprese del settore, senza che occorra che l’elemento materiale dell’uso, inteso come costante ripetizione del comportamento tariffario, sia anche assistito dalla opinio iuris (Cass., Sez. 6-2, 18/01/2016, n. 752, e le pronunce conformi in pari data Cass. n. 753, 755 e 756, nonché Cass. 19/1/2016, n. 775 e 776; poi, in seguito: Cass., Sez. 2, 4/5/2018 n.
10622; Cass., Sez. 2, 7/7/2017 n. 21649; Cass., Sez. 2, 15/9/2017 n. 21388).
Nella specie, la ricorrente aveva avanzato la propria richiesta facendo riferimento alle tariffe emanate dall’Agenzia del Demanio, sicché, una volta esclusa la correttezza del riferimento all’equità, il giudice adito avrebbe dovuto verificare se, pur in assenza di tariffe validamente approvate ai sensi del citato art. 58, alle tariffe de quibus potesse attribuirsi il carattere di usi locali, secondo le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza di questa Corte sopra richiamata.
L’ordinanza ha escluso tale valenza, pur nella consapevolezza dei precedenti di questa Corte, che avevano invece reputato di attribuire alle tariffe invocate dalla ricorrente il carattere di usi locali, in quanto ha contraddittoriamente, da un lato, negato valore giuridico precettivo al Protocollo che nelle more era stato concordato tra il Presidente del Tribunale di Roma ed il Procuratore della Repubblica presso il medesimo Tribunale (osservando correttamente che non può unilateralmente il debitore determinare il compenso spettante al proprio creditore), e, dall’altro, ha reputato che proprio l’erronea applicazione, in chiave precettiva di tale Protocollo, da parte di alcuni giudici che invece si erano reputati vincolati, avesse fatto perdere alle tariffe dell’Agenzia del Demanio il carattere di usi locali.
L’erroneo convincimento, da parte solo di alcuni giudici dell’ufficio di appartenenza, del carattere vincolante di un Protocollo, di cui in ogni caso si afferma l’illegittimità, non può condurre a reputare venuta meno la natura di usi locali per le dette Tariffe, risultando quindi erroneo il riferimento al criterio sussidiario di determinazione del compenso di cui all’art. 2233 c.c., per effetto del quale è stata poi data anche surrettiziamente attuazione alla previsione contenuta nel Protocollo che prevede una riduzione del compenso ove la merce
custodita sia di scarso valore commerciale (e ciò sebbene per il custode l’ingombro fisico sia identico a quello imposto da merce avente invece valore commerciale reputato apprezzabile).
Il ricorso deve pertanto essere accolto, ed il provvedimento impugnato cassato, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Roma,