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Compenso custode: le tariffe come usi locali

Una società incaricata della custodia di beni sotto sequestro penale si oppone al decreto di liquidazione del compenso, ritenuto non conforme alle tariffe. La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, stabilendo che, in assenza di tariffe ministeriali specifiche, il compenso custode deve essere determinato in base agli usi locali. La Corte chiarisce che le tariffe dell’Agenzia del Demanio, se costantemente applicate, costituiscono usi locali e non è legittimo ridurre il compenso in base al valore commerciale della merce, dovendosi considerare solo l’ingombro.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Custode: Le Tariffe dell’Agenzia Demanio sono Usi Locali

La determinazione del giusto compenso custode per i beni sottoposti a sequestro penale rappresenta una questione di grande rilevanza pratica. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire i criteri di liquidazione, affermando un principio fondamentale: in assenza di tariffe ministeriali specifiche, le tariffe applicate dall’Agenzia del Demanio possono essere considerate ‘usi locali’ e, come tali, devono essere utilizzate per il calcolo, senza riduzioni basate sul valore commerciale della merce.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Compenso del Custode

Una società, incaricata della custodia di circa 522 colli sottoposti a sequestro penale per un periodo di oltre cinque anni, presentava opposizione al decreto con cui il Tribunale le aveva liquidato il compenso. La società sosteneva che l’importo riconosciuto non era stato calcolato sulla base delle tariffe dell’Agenzia del Demanio, che a suo avviso rappresentavano gli usi locali applicabili alla fattispecie.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il Tribunale di Roma accoglieva solo parzialmente l’opposizione. Pur riconoscendo le tariffe del Demanio come un parametro di riferimento, osservava che la loro applicazione non era stata costante e che, pertanto, non potessero qualificarsi come ‘usi locali’. Di conseguenza, applicando una norma residuale, riduceva di un terzo il compenso calcolato sulla base di tali tariffe, motivando la decisione con lo scarso valore commerciale della merce custodita.
Contro questa decisione, la società proponeva ricorso per cassazione, lamentando la violazione delle norme che regolano la determinazione del compenso e l’errata esclusione della natura di uso locale delle tariffe demaniali.

Il corretto calcolo del compenso del custode

La questione centrale ruota attorno all’articolo 59 del D.P.R. 115/2002 (Testo Unico sulle Spese di Giustizia), il quale stabilisce che l’indennità per la custodia di beni sotto sequestro penale è determinata sulla base di tabelle ministeriali. Tuttavia, per le categorie di beni non previste da tali tabelle (come nel caso di specie), la norma rinvia, in via residuale, agli ‘usi locali’.
La Corte di Cassazione ha ribadito il suo orientamento consolidato: le tariffe approvate dall’Agenzia del Demanio, sebbene non formalmente recepite in un decreto ministeriale, possono assumere la valenza di usi locali quando la loro applicazione è costante e diffusa nel settore. Questo perché il rinvio della legge alla ‘pratica commerciale’ legittima di per sé il recepimento di tali prassi, senza la necessità di una verifica rigorosa del requisito soggettivo dell’ opinio iuris ac necessitatis (la convinzione di adempiere a un obbligo giuridico).

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto fondati i motivi del ricorso. I giudici hanno chiarito che il Tribunale ha errato nel negare la natura di usi locali alle tariffe dell’Agenzia del Demanio. L’argomentazione del giudice di merito, secondo cui l’applicazione talvolta erronea di un protocollo locale avrebbe interrotto la consuetudine, è stata considerata illogica. L’erroneo convincimento di alcuni giudici sul carattere vincolante di un protocollo non può annullare una prassi consolidata nel tempo.
Di conseguenza, è stato ritenuto illegittimo il ricorso al criterio sussidiario dell’art. 2233 c.c. e, soprattutto, la riduzione del compenso in base al valore commerciale dei beni. Per il custode, l’obbligazione di conservazione e lo spazio occupato (l’ingombro) sono i medesimi, indipendentemente dal valore della merce. Pertanto, il compenso deve essere correlato esclusivamente a questi elementi oggettivi, come previsto dagli usi locali identificati nelle tariffe demaniali.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rafforza la tutela dei custodi giudiziari, garantendo criteri di liquidazione più certi e stabili. Si stabilisce che le tariffe dell’Agenzia del Demanio, in assenza di specifiche previsioni ministeriali, costituiscono il riferimento principale per calcolare il compenso, in quanto espressione degli usi locali. Viene inoltre sancita l’irrilevanza del valore commerciale dei beni custoditi ai fini della determinazione dell’indennità, che deve essere commisurata all’impegno e all’ingombro effettivo. La Corte ha quindi cassato il provvedimento impugnato, rinviando la causa al Tribunale di Roma per una nuova valutazione conforme ai principi enunciati.

Come si calcola il compenso per un custode giudiziario se non esistono tariffe ministeriali specifiche per i beni sequestrati?
Secondo la Corte di Cassazione, il compenso deve essere determinato sulla base degli usi locali. Questi possono essere identificati nelle tariffe costantemente applicate da enti come l’Agenzia del Demanio per servizi analoghi.

Le tariffe dell’Agenzia del Demanio possono essere considerate ‘usi locali’ a tutti gli effetti?
Sì. La Corte ha stabilito che, quando la legge rinvia agli usi, le prassi consolidate nel settore commerciale, come le tariffe demaniali, vengono recepite e legittimate come fonte di determinazione del compenso, anche senza la necessità di provare l’elemento soggettivo dell’ opinio iuris.

È possibile ridurre il compenso del custode se i beni sequestrati hanno uno scarso valore commerciale?
No. La Corte ha chiarito che tale riduzione è illegittima. Il compenso deve remunerare l’attività di custodia e l’ingombro fisico dei beni, parametri che sono indipendenti dal loro valore commerciale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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