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Compenso custode giudiziario: la Cassazione decide

Una società di custodia giudiziaria ha richiesto un maggior compenso per i veicoli sequestrati, basandosi su una sentenza della Corte Costituzionale che aveva dichiarato illegittime le tariffe forfettarie. La Corte di Cassazione ha respinto la richiesta, stabilendo che il diritto era prescritto. Il mancato ricorso contro il decreto di liquidazione originale entro il termine di 20 giorni ha reso il rapporto giuridico “esaurito”, impedendo qualsiasi successiva pretesa, nonostante la declaratoria di incostituzionalità. La parola chiave è: compenso custode giudiziario.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Custode Giudiziario: Quando i Termini Processuali Prevalgono

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale riguardo al compenso custode giudiziario, stabilendo che la mancata opposizione al decreto di liquidazione entro i termini di legge rende il rapporto giuridico “esaurito” e non più contestabile, anche a seguito di una pronuncia di incostituzionalità favorevole. Analizziamo questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti di Causa: La Richiesta del Custode

Una società, titolare di una depositeria giudiziaria autorizzata, aveva ricevuto in custodia numerosi veicoli sottoposti a sequestro. Il compenso per tale attività era stato liquidato in base a tariffe forfettarie introdotte dalla legge n. 311 del 2004, che derogavano alle tariffe ordinarie, più vantaggiose.

Successivamente, la Corte Costituzionale (con sentenza n. 267 del 2017) ha dichiarato l’illegittimità di tali tariffe forfettarie. Forte di questa pronuncia, la società di depositeria ha citato in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere il pagamento della differenza tra quanto percepito e quanto le sarebbe spettato applicando le tariffe ordinarie.

Mentre il Tribunale e la Corte d’Appello avevano inizialmente dato ragione alla società, il Ministero ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il rapporto fosse ormai “esaurito” e non potesse essere riaperto.

La Decisione della Corte di Cassazione sul compenso custode giudiziario

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Ministero, ribaltando le decisioni dei gradi precedenti. Ha stabilito che la domanda originaria della società doveva essere rigettata. La Corte ha ritenuto che il diritto della società a un compenso maggiore si fosse estinto a causa del mancato rispetto dei termini processuali per contestare il provvedimento di liquidazione originario.

Le Motivazioni: Il Principio del “Rapporto Esaurito”

Il cuore della decisione risiede nel concetto di “rapporto esaurito”. Le sentenze di illegittimità costituzionale hanno effetto retroattivo (ex tunc), ma non possono travolgere le situazioni giuridiche consolidate e definitive, definite appunto “rapporti esauriti”.

La Corte ha specificato che il decreto con cui viene liquidato il compenso al custode ha natura giurisdizionale, non amministrativa. Pertanto, l’unico modo per contestarlo è attraverso lo specifico strumento processuale previsto dalla legge: l’opposizione ai sensi dell’art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002. Tale opposizione deve essere proposta entro un termine di decadenza di 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento.

Nel caso di specie, la società di depositeria non aveva proposto tale opposizione. Di conseguenza, il decreto di liquidazione era diventato definitivo e inoppugnabile. Questa definitività ha consolidato il rapporto giuridico, rendendolo “esaurito”. La successiva declaratoria di incostituzionalità, sebbene favorevole in astratto, non ha potuto riaprire una partita ormai chiusa sul piano processuale.

La Corte ha inoltre chiarito che la “clausola di riserva” apposta dalla società al momento della ricezione dei pagamenti parziali (con cui dichiarava di accettare la somma in acconto di un maggior importo) era del tutto irrilevante. Tale riserva non può sostituire lo strumento processuale tipico previsto dalla legge per la contestazione.

Le Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: la certezza del diritto e il rispetto dei termini processuali sono pilastri fondamentali dell’ordinamento. Anche di fronte a una legge dichiarata incostituzionale, un diritto non può essere fatto valere se non si sono utilizzati tempestivamente gli strumenti di tutela previsti. Per i custodi giudiziari, e in generale per tutti gli operatori del diritto, la lezione è chiara: il decreto di liquidazione dei compensi deve essere impugnato entro il termine perentorio di 20 giorni. In caso contrario, il diritto a un importo maggiore, anche se teoricamente fondato, si estingue definitivamente, e nessuna pronuncia successiva potrà farlo rivivere.

Una pronuncia della Corte Costituzionale può riaprire un diritto al compenso già liquidato e non contestato?
No. Secondo la Cassazione, una declaratoria di illegittimità costituzionale non può incidere sui cosiddetti “rapporti esauriti”, ovvero quelle situazioni giuridiche divenute definitive perché non impugnate nei termini di legge. La definitività del provvedimento di liquidazione prevale.

Cosa significa “rapporto esaurito” nel contesto del compenso custode giudiziario?
Significa che il rapporto tra il custode e l’amministrazione, per quanto riguarda la determinazione del compenso, si è concluso in modo definitivo. Ciò avviene quando il decreto di liquidazione non viene contestato tramite l’apposita opposizione entro il termine di 20 giorni, diventando così inoppugnabile.

Apporre una “riserva” sull’accettazione del pagamento è sufficiente per mantenere vivo il diritto a un importo maggiore?
No. La Corte ha stabilito che una mera “clausola di riserva” è giuridicamente irrilevante. L’unico strumento valido per contestare l’importo liquidato è l’opposizione formale prevista dall’art. 170 del d.P.R. 115/2002, da proporre entro il termine di decadenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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