Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 10072 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 10072 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 20410/2023 r.g. proposto da:
Ministero della Giustizia, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e domiciliato presso i suoi uffici siti in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso , dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni e notifiche relative al presente procedimento
a ll’ indirizzo di posta elettronica certificata indicato, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso il suo studio
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 5245/2023, depositata il 20/7/2023
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del l’ 11 /4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con ricorso ex art. 702bis c.p.c. depositato nel 2019 la società RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, titolare di depositeria giudiziaria autorizzata, conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Roma il Ministero dell’Interno, al fine di ottenere il pagamento della somma di euro 141.623,38, quale differenza tra il corrispettivo ricevuto dalla prefettura di Roma, a titolo di oneri di custodia dei veicoli sottoposti a provvedimenti di sequestro, fermo amministrativo e rimozione a seguito di violazioni del codice della strada e «alienati in via straordinaria» ai fini della rottamazione ex art. 1, comma 312, della n. 311 del 2004, e il maggiore importo spettante, applicando invece le tariffe prefettizie vigenti al momento della alienazione straordinaria, dopo la pronuncia della Corte costituzionale n. 267 del 2017, che aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 318 a 321, nella parte in cui aveva introdotto tariffe in deroga quelle ordinarie previste dagli artt. 59 e 276 del d.P.R. n. 115 del 2002.
Il tribunale di Roma accoglieva la domanda, condannando il Ministero della giustizia a pagare la somma di euro 31.157,43.
Avverso tale sentenza proponeva appello principale il Ministero.
In particolare, il Ministero deduceva l’erroneità della sentenza di prime cure.
Rilevava che vi era stata violazione dell’art. 136 della Costituzione e dell’art. 30 della legge n. 87 del 1953, oltre che violazione e falsa applicazione dell’art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002.
Ai fini della determinazione del compenso al custode giudiziario, calcolato in via forfettaria ex lege 311 del 2004, in espressa deroga alle tariffe previste dal d.P.R. n. 115 del 2002 (articoli 59 e 276), era intervenuta la pronuncia della Corte costituzionale n. 267 del 2017.
Tuttavia, tale declaratoria di illegittimità costituzionale non trovava applicazione al caso di specie per essersi il rapporto obbligatorio dedotto in giudizio ormai esaurito.
Inoltre, il Ministero deduceva la tardività della produzione in giudizio della sentenza del Tar Lazio, avvenuta solo in sede di «trattazione finale».
3.1. Proponeva appello incidentale la società lamentando l’erroneità dell’ordinanza ove era stato statuito che il termine di prescrizione decennale non poteva ritenersi interrotto nei decreti di liquidazione.
Per la società, dal momento del riconoscimento del diritto di credito del custode e, quindi, dall’emissione del primo decreto di liquidazione (3/10/2007) sarebbe «iniziato a decorrere una nuovo termine decennale di prescrizione, ulteriormente interrotto con la richiesta inviata dal custode al Ministero per il pagamento del residuo credito vantato, inoltrata il 25/10/2016 e ricevuta e il 18/11/2016».
3.2. Con il secondo motivo d’appello incidentale la COGNOME contestava l’ordinanza impugnata deducendo che i pagamenti parziali effettuati dal Ministero in 5 rate annuali, l’ultimo dei quali del 2012, ai sensi dell’art. 1, comma 320, della legge n. 311 del 2004,
avrebbero interrotto la prescrizione in quanto tali pagamenti costituivano «adempimento parziale del compenso dovuto al custode per l’opera svolta».
3.3. Con il terzo motivo d’appello incidentale la società deduceva l’errore in cui sarebbe incorso il tribunale laddove, nell’ordinanza impugnata, aveva affermato che ricorso davanti al Tar Lazio aveva ad oggetto il decreto di liquidazione del 20/9/2008.
Al contrario, nell’intestazione della sentenza del Tar Lazio si leggeva che il provvedimento amministrativo impugnato era il decreto di liquidazione del 3 ottobre 2007, con la conseguenza che il termine di prescrizione decennale cui erano soggetti i crediti indicati nel decreto del 3 ottobre 2007, doveva ritenersi interrotto.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 5245/2023, depositata il 20/7/2023, respingeva l’appello del Ministero.
La Corte territoriale osservava che il rapporto non poteva considerarsi esaurito «stante la riserva espressa dalla depositeria RAGIONE_SOCIALE al momento dell’accettazione della somma liquidata e suddetti decreti».
Ed infatti il custode giudiziario, «rappresentandosi la illegittimità dello ius superveniens » aveva lasciato margine «per una nuova valutazione del quantum liquidato mediante un’apposita riserva in calce alla notifica dei menzionati decreti, dichiarando di ‘accettare la somma sopra indicata in acconto del maggiore importo rivendicato’».
Tale riserva non faceva presumere la rinuncia alla parte residua del credito, con la conseguenza che il rapporto non poteva considerarsi esaurito, «e ciò a prescindere dalla contestazione giudiziale del provvedimento amministrativo».
4.1. La Corte territoriale rigettava l’eccezione di tardività del deposito della sentenza del Tar Lazio, in quanto l’art. 702bis c.p.c.
non prevedeva alcuna specifica sanzione processuale al riguardo, potendo il ricorrente procedere alla produzione documentale fino all’udienza di cui all’art. 702ter c.p.c.
4.2. In ordine al primo motivo dell’appello incidentale della società, la Corte d’appello lo reputava infondato, in quanto con i decreti di liquidazione il Ministero non aveva riconosciuto il compenso anche per le attività di custodia risalenti ad oltre 10 anni prima, non avendo rinunciato dunque alla prescrizione eventualmente già maturata.
4.3. In relazione al secondo motivo d’appello incidentale, la Corte territoriale lo reputava infondato in quanto l’art. 1, comma 320, della legge n. 311 del 2004 era stato dichiarato costituzionalmente illegittimo.
4.4. In ordine al terzo motivo di appello incidentale della società, la Corte territoriale rilevava che, in effetti, dalla lettura della sentenza del Tar Lazio emergeva che il decreto di liquidazione impugnato dinanzi al giudice amministrativo era quello del 3 ottobre 2007.
La prescrizione, dunque, era iniziata nuovamente a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza del Tar Lazio o comunque dal giorno del deposito di detta sentenza (avvenuto il 20/7/2009), con la conseguenza che i crediti portati dal decreto di liquidazione del 3 ottobre 2007 non erano prescritti alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale n. 267 del 2017.
Pertanto, il Ministero doveva pagare alla società RAGIONE_SOCIALE l’ulteriore importo di euro 110.145,95.
Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno.
Ha resistito con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con l’unico motivo di impugnazione il ricorrente deduce la «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 136 Cost. e art. 30, legge 11 marzo 1953, n. 87, nonché dell’art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002 Inapplicabilità della declaratoria di legittimità costituzionale ai rapporti esauriti».
Per il ricorrente la connotazione pubblicistica della custodia giudiziaria, nonché il carattere decisorio e giurisdizionale dei provvedimenti di liquidazione dei compensi dovuti, suscettibili di gravame ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, depongono quali dati ostativi alla possibilità di dare rilevanza alla ‘clausola di riserva’ apposta dalla società in calce alla notifica dei decreti di liquidazione.
L’unica possibilità consentita alla società era quella di proporre opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115 del 2002, entro il termine di decadenza di 20 giorni dalla comunicazione del provvedimento.
Il provvedimento con cui la commissione per la alienazione dei veicoli sequestrati liquida il compenso in favore del depositarioacquirente incide su un diritto soggettivo del beneficiario, tutelabile dinanzi al giudice ordinario mediante opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 (si cita Cass. Sez. U., n. 15044 del 2009).
In realtà, ad avviso della ricorrente, il rapporto tra la RAGIONE_SOCIALE e il Ministero doveva considerarsi esaurito.
Il motivo è fondato.
2.1. Deve muoversi dall’art. 12 del d.P.R. 29/7/1982, n. 571 (Norme per l’attuazione degli articoli 15, ultimo comma, e 17, penultimo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689, concernente modifiche al sistema penale), che disciplina i compensi previsti per i custodi degli autoveicoli sequestrati, per violazione delle norme del codice della strada.
2.2. In particolare, si prevede che «salvo che la custodia sia affidata al soggetto riconosciuto responsabile della violazione o ad
uno dei soggetti con il medesimo solidalmente obbligato, il custode, nominato ai sensi del terzo comma dell’art. 7 ovvero del primo comma dell’art. 8, ha diritto al rimborso di tutte le spese sostenute per assicurare la conservazione delle cose sequestrate, che siano idoneamente documentate».
Si stabilisce, poi, al secondo comma dell’art. 12 citato che «il custode può anche essere autorizzato dall’autorità indicata nel primo comma dell’art. 18 della legge ad avvalersi di ausiliari, quando ciò sia necessario per le operazioni connesse all’incarico affidatogli». Di particolare rilievo è quanto previsto al comma 3 dell’art. 12 citato per cui «la liquidazione delle somme dovute al custode, ivi comprese quelle sostenute per gli ausiliari, è effettuata dall’autorità di cui al primo comma dell’art. 18 della legge, tenuto conto delle tariffe vigenti e degli usi locali, a richiesta del custode dopo che sia divenuto inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca ovvero che sia stata disposta la restituzione delle cose sequestrate, con la provvedimento in duplice originale uno dei quali è consegnato all’interessato».
Emerge in modo chiaro da tale disposizione che il diritto al pagamento del compenso si prescrive a decorrere dalla data in cui diventa inoppugnabile il provvedimento che dispone la confisca oppure una volta disposta la restituzione delle cose sequestrate.
Tuttavia, successivamente è intervenuto l’art. 38 del decretolegge 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326.
La nuova disciplina prevede due novità: da un lato l’alienazione «straordinaria» in favore del custode; dall’altro la diversa quantificazione dei compensi spettanti ai custodi.
È intervenuta quindi la pronuncia della Corte costituzionale n. 92 del 2013 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, commi 2,4,6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003.
La Corte costituzionale ha evidenziato che la nuova normativa ha previsto un meccanismo di «alienazione coattivo del mezzo, in favore del soggetto terzo (depositario), al quale lo stesso deve essere affidato in custodia». Ciò al fine di ovviare alle conseguenze derivanti dalla lunga permanenza dei veicoli in giacenza presso le depositerie.
Si è dunque previsto che i veicoli giacenti presso le depositerie o quelli non alienati per mancanza di acquirenti, purché immatricolati per la prima volta da oltre 5 anni e, comunque, custoditi da oltre 2 anni alla data del 30 settembre 2003, «sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito», con applicazione di tariffe «in deroga» a quelle di cui all’art. 12 del d.P.R. n. 571 del 1982.
Per la Corte costituzionale, la nuova disciplina aveva generato una sorta di innovazione del rapporto intercorrente tra le parti: da un lato, il custode, o depositario, del veicolo è divenuto un acquirente ex lege del medesimo; dall’altro, l’originaria liquidazione delle somme dovute al custode, in base alle tariffe previste dall’art. 12 del d.P.R. n. 571 2082, è stata sostituita con il riconoscimento di un importo complessivo forfettario.
Pertanto, il legislatore ha «stravolto in alcuni dei suoi elementi essenziali» il rapporto tra depositario e amministrazione, al di fuori, peraltro, della previsione di qualsiasi meccanismo di concertazione o di accordo.
Era assente, insomma, la causa normativa adeguata che consente, in ordine agli effetti pregiudizievoli rispetto a diritti soggettivi perfetti che trovino la loro base rapporti di durata di natura contrattuale convenzionale, e rende accettabile la posizione del
titolare del diritto compromesso, attraverso contropartite intrinseche allo stesso disegno normativo.
Tuttavia, la fattispecie in esame deve tenere conto anche della disciplina normativa sopravvenuta.
Si fa riferimento all’art. 1 commi da 312 a 321 della legge n. 311 del 2004.
L’art. 1, comma 312, prevede che «i veicoli giacenti presso i custodi a seguito dell’applicazione di provvedimenti di sequestro dell’autorità giudiziaria, anche se non confiscati, sono alienati, anche ai soli fini della rottamazione, mediante cessione al soggetto titolare del deposito ove ricorrano le seguenti condizioni: a) siano ritenute cessate, con ordinanza dell’autorità giudiziaria da comunicare all’avente diritto alla restituzione, le esigenze che avevano motivato l’adozione del provvedimento di sequestro; b) siano immatricolati per la prima volta da oltre 5 anni e siano privi di interesse storico e collezionistico; c) siano comunque custoditi da oltre 2 anni alla data del 1 luglio 2002; d) siano trascorsi 60 giorni dalla comunicazione all’avente diritto alla restituzione dell’ordinanza di cui alla lettera a) senza che questi abbia provveduto al ritiro».
L’art. 1, comma 114, poi, stabilisce che «all’alienazione di cui ai commi 312 e 313 e alle attività ad essa funzionali e connesse procede una commissione costituita presso il tribunale presso i tribunali per i minorenni, secondo modalità stabilite con decreto del Ministero della giustizia di concerto con le altre amministrazioni interessate».
Ai sensi dell’art. 1, comma 315, «l’alienazione del veicolo si perfeziona con la notifica al custode acquirente del provvedimento, eventualmente relativo ad elenchi di veicoli, dal quale risulta la determinazione all’alienazione da parte dell’ufficio giudiziario competente».
Di particolare rilievo per la soluzione della controversia in esame risulta l’art. 1, comma 318, della legge n. 311 del 2004, a mente del quale «al custode è riconosciuto, in deroga alle tariffe previste dagli articoli 59 e 276 del testo unico di cui al decreto del presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, un importo complessivo forfettario, comprensivo del trasporto, determinato per ciascuno degli anni di custodia, nel modo seguente: a) euro 6 per ogni mese o frazione di esso per i motoveicoli e ciclomotori; b) euro 24 per ogni mese o frazione di esso per gli autoveicoli ed i rimorchi di massa complessiva inferiore a 3,5 t, per le macchine agricole operatrici; c) euro 30 per ogni giorno o frazione di esso per gli autoveicoli rimorchi di massa complessiva superiore a 3,5 t».
Si chiarisce all’art. 1 comma 321 che «alle procedure di alienazione o rottamazione già avviate non ancora concluse e alle relative istanze di liquidazione dei compensi, comunque presentate dai custodi, si applicano, qualora esse concernano veicoli in possesso dei requisiti di cui al comma 312, le disposizioni di cui ai commi da 312 a 320».
Inoltre, il Ministero della giustizia, con il decreto del 26/9/2005, ha dato attuazione alla legge n. 311 del 2004, prescrivendo i requisiti della commissione per l’espletamento delle attività necessarie.
L’art. 2, comma 2, del decreto ministeriale del 26/9/2005 sancisce che «la commissione è composta dal presidente del tribunale, o da un giudice dallo stesso delegato, che ne assume la presidenza, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale, o da un magistrato dallo stesso delegato, e da due funzionari, in servizio presso il tribunale e presso la procura della Repubblica, nominati, rispettivamente, dal presidente del tribunale e dal procuratore della Repubblica».
Quanto al provvedimento di alienazione, l’art. 6 del D.M. del 26/9/2005 stabilisce che «il presidente della commissione adotta il provvedimento di alienazione, previa approvazione dell’elenco dei veicoli da alienare, predisposto secondo le modalità di cui all’art. 3, per il corrispettivo fissato ai sensi dell’art. 5. L’alienazione si perfeziona con la notifica del provvedimento al custode acquirente».
È poi intervenuta la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 267 del 2017, richiamando il proprio precedente, e quindi la sentenza n. 92 del 2013, ha reputato che «identiche considerazioni inducono a ravvisare il contrasto, con l’art. 3 Costituzione, anche delle disposizione ora in esame».
Pertanto, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 318 a 321, della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
Resta da risolvere, a questo punto, la questione in ordine alla circostanza relativa all’esaurimento o meno del rapporto tra la società RAGIONE_SOCIALE e il Ministero, per quanto concerne i compensi spettanti per il deposito delle autovetture sequestrate, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 92 del 2013 e della successiva sentenza n. 267 del 2017.
È evidente, infatti, che gli effetti ex tunc della pronuncia della Corte costituzionale riguardano esclusivamente i rapporti non ancora esauriti.
Più volte questa Corte si è incaricata di individuare i rapporti esauriti, e li ha individuati, in un caso (Cass., sez. 1, 25/9/2018, n. 22771), nella definitività del riparto fallimentare al pari di quella dell’omologazione del concordato fallimentare, trattandosi in entrambi i casi della cristallizzazione del passaggio dalla posizione di creditore concorsuale (sulla base dello stato passivo) a creditore
concorrente (sulla base della regolazione giudiziale, nel primo caso, o consensuale nel secondo).
Si ritiene, dunque, che le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi – dichiarative di illegittimità costituzionale – eliminano la norma con effetto ” ex tunc “, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass., sez. 1, 20/11/2012, n. 20381; Cass., sez. L, 7/7/2016, n. 13884; anche Cass., sez. 2, 30/1/2025, n. 2258).
Emergono a questo punto risultati diversi nella valutazione delle distinte normative.
Si procede con l’esame della normativa di cui alla legge n. 269 del 2003,
8.1. Deve muoversi dalla considerazione che l’art. 38 del decreto-legge n. 269 del 2003 ha riguardato due diversi aspetti, sia pure complementari tra loro: da un lato l’alienazione delle auto oggetto di sequestro in favore del depositario (e ciò per evidenti ragioni di economia e risparmio per l’erario); dall’altro la previsione di una liquidazione, non più ancorata all’art. 12 del d.P.R. n. 571 del
1982, e quindi alle tariffe vigenti e agli usi locali, ma in qualche misura forfettizzata.
La Corte costituzionale, però, con la sentenza n. 92 del 2013 è intervenuta solo sui commi 2,4,6 e 10 del decreto-legge n. 269 del 2003, ossia solo sulle disposizioni che trattavano del corrispettivo dell’alienazione al custode-acquirente.
Pertanto, non risulta esaurito, dopo la pronuncia della Corte costituzionale, il rapporto negoziale esistente tra il depositario e la pubblica amministrazione, con il conseguente diritto di credito da parte depositario che si prescrive in dieci anni.
Pertanto, solo con riferimento al provvedimento di alienazione dei beni in favore del depositario-aggiudicatario è possibile discettare di rapporto esaurito, in assenza di tempestiva impugnazione da parte del depositario, mentre risulta del tutto distinta la posizione creditoria del custode in ordine alla corretta determinazione del compenso.
Tuttavia, nella fattispecie in esame la soluzione è diversa, dovendosi applicare il nuovo regime di cui alla legge n. 311 del 2004.
In tal caso, è evidente che il custode debba fare opposizione al provvedimento di liquidazione emesso dalla speciale commissione entro il termine di 20 giorni dalla comunicazione provvedimento.
Nell’ipotesi in cui non venga presentato opposizione, il provvedimento di liquidazione diventa definitivo ed il rapporto tra le parti viene meno, con il conseguente esaurimento dello stesso. Si verifica una ipotesi di decadenza processuale (Cass., sez. 2, 14/6/2012, n. 9792; Cass., sez. 2, 6/10/2011, n. 20485).
Per questa Corte, infatti, il decreto di liquidazione del compenso in favore del custode giudiziario ha natura giurisdizionale e non amministrativa e, pertanto, può essere impugnato ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma non revocato d’ufficio dall’autorità
giudiziaria che lo abbia emesso, in quanto questa, salvo i casi espressamente previsti, ha definitivamente consumato il proprio potere decisionale e non ha un generale potere di autotutela, tipico dell’azione amministrativa (Cass., sez. 6-2, 31/8/2017, n. 20640).
In motivazione si è chiarito che le intrinseche caratteristiche del provvedimento di liquidazione inducono a ritenere che abbia natura giurisdizionale, dovendosi escludere che, invece, possa avere natura di atto amministrativo, come tale revocabile.
Analoghi principi sono stati individuati dalla sentenza di questa Corte del 22/3/2016, n. 5595, con l’affermazione per cui il provvedimento con il quale la commissione per l’alienazione dei veicoli sequestrati liquida, ex art. 1, commi da 312 a 321, della l. n. 311 del 2004, il compenso in favore del depositario-acquirente incide su un diritto soggettivo del beneficiario, tutelabile dinanzi al giudice ordinario mediante l’opposizione ex art. 170 del d.P.R. n. 115 del 2002 (Cass., sez. 2, 22/3/2016, n. 5595).
Si è ulteriormente chiarito che il provvedimento con il quale la commissione per l’alienazione dei veicoli sequestrati liquida (ai sensi dell’art. 1, commi da 312 a 321, della legge 30 dicembre 2004, n. 311) il compenso in favore del depositario-acquirente incide su un diritto soggettivo del beneficiario, tutelabile dinanzi al giudice ordinario mediante opposizione secondo la speciale procedura prevista dall’art. 170 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass., Sez.U., 26/6/2009, n. 15044).
Del resto, in tema di liquidazione delle spese ai custodi giudiziari di veicoli oggetto di sequestro, le nuove tariffe introdotte, in deroga agli artt. 59 e 276 del T.U. sulle spese di giustizia (di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), dalla disciplina speciale della legge 30 dicembre 2004, n. 311, sono applicabili anche ai compensi maturati in data anteriore all’entrata in vigore della legge predetta, stante il
tenore del suo art. 1, comma 321, secondo cui le nuove tariffe si applicano anche “alle procedure di alienazione e rottamazione già avviate e non ancora concluse ed alle relative istanze di liquidazione dei compensi” (Cass., sez. 1, 19/4/2012, n. 6147).
A nulla rileva che il custode depositario abbia posto sul provvedimento di liquidazione una clausola di riserva, con riferimento al maggiore importo spettante.
Risulta decorso inesorabilmente il termine di 20 giorni di decadenza per proporre opposizione ai sensi dell’articolo 170 del d.p.r. numero 115 del 2002, applicabile ratione temporis.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda originaria.
Le spese del giudizio di legittimità delle fasi di merito vanno interamente compensate tra le parti in ragione della novità della questione.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria.
Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità e delle fasi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell’11 aprile 2025