Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21228 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21228 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13582/2024 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro-tempre , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con elezione di domicilio digitale presso l’indirizzo PEC del difensore;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro protempore , PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI, in persona del Procuratore della Repubblica pro-tempore , domiciliati in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis ;
– controricorrenti –
NOME;
– intimato –
avverso il decreto n. cronol. 5766/2023 del TRIBUNALE di NAPOLI, pubblicato in data 30/11/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ordinanza n. cronol. 5766/2023 del 30.11.2023, il Tribunale di Napoli rigettava l’opposizione ex art. 170 d.P.R. n. 115/2002 proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto con cui il giudice penale aveva liquidato in suo favore l’importo di euro 1.210,40, quale compenso per la custodia giudiziaria di n. 11 colli contenenti 240 capi di abbigliamento e scarpe contraffatti sottoposti a sequestro, svolta dal 20.02.2010 al 20.03.2018, previa declaratoria di prescrizione del credito relativo al periodo precedente.
Il giudice di merito motivava il rigetto dell’opposizione osservando che: a) l’indennità di custodia dei beni sottoposti a sequestro penale, ai sensi dell’art. 58 del d.P.R. n. 115 del 2002, era determinata sulla base di tariffe contenute in tabelle approvate con decreto del Ministro della Giustizia, da adottare secondo le modalità di cui all’art. 59, e, in via residuale, in base agli usi locali; b) in attesa dell’emanazione del decreto ministeriale contenente le tariffe, l’art. 276 del d.P.R. n. 115 del 2002 prevedeva che l’indennità fosse determinata in base alle tabelle prefettizie ridotte secondo equità e, in via residuale, in base agli usi; c) l’art. 59 del d.P.R. n. 115 del 2002 aveva ricevuto attuazione con l’emanazione del decreto del Ministro della Giustizia n. 265 del 02.09.2006, recante tabelle per la determinazione del compenso per la custodia
di veicoli e natanti; d) per la determinazione dell’indennità di custodia e conservazione relativa a beni non rientranti nelle suddette tipologie, l’art. 5 del D.M. citato prevedeva che si facesse riferimento, in via residuale, agli usi locali, come stabilito dall’art. 58; e) dunque, a seguito dell’emanazione del D.M. n. 265 del 2006, la norma intertemporale dettata dall’art. 276 aveva cessato di avere efficacia, cosicché la liquidazione del compenso spettante al custode di beni diversi da veicoli e natanti non poteva più avvenire sulla base delle tabelle prefettizie, ma solo in base agli usi locali, come anche confermato dalla costante giurisprudenza di legittimità; f) la prova degli usi locali doveva essere data dal richiedente l’applicazione; g) in mancanza di usi, non era ammesso il ricorso all’art. 2233 c.c., poiché tale norma si riferiva esclusivamente alle professioni intellettuali; h) il giudice poteva invece applicare, in via analogica, la disciplina dettata per casi analoghi, in base alla similitudine fisica dei beni; i) nel caso di specie, nel quale la merce sottoposta a sequestro (capi di vestiario e scarpe) pacificamente non rientra nella tipologia dei veicoli e natanti, la RAGIONE_SOCIALE non aveva dato prova che il tariffario ANCSA prodotto in atti fornisse una rappresentazione dei corrispettivi usualmente richiesti dai custodi nella zona della Città Metropolitana di Napoli, non essendo dato sapere quale ne fosse la diffusione nel mercato locale e quante fossero le imprese del settore affiliate all’ANCSA; peraltro, il tariffario prodotto dall’opponente indicava solo i valori massimi praticabili ed era relativo all’anno 2018, sicché non poteva dirsi indicativo dei compensi richiesti dagli operatori nel periodo di inizio della custodia, risalente al 2009; l) quanto alle tariffe adottate dalla
Prefettura di Napoli, la ricorrente non aveva dato prova che esse integrassero un uso locale, ovvero che fossero correntemente applicate dalle imprese di settore nella loro attività giudiziale ed extragiudiziale. D’altra parte, ammettere sic et simpliciter il ricorso alle tariffe prefettizie come uso locale ‘ significherebbe continuare ad applicare l’art. 276 del d.P.R. n. 115/02, pur a seguito dell’avvenuta attuazione del precedente art. 58 ‘ (cfr. pag. 4 del provvedimento); m) non avendo la ricorrente dato prova della sussistenza di usi locali applicabili, non restava che fare ricorso al criterio analogico, ‘ utilizzando il tariffario previsto per la custodia dei motocicli in area recintata coperta, atteso che l’ingombro della merce sequestrata è più o meno coincidente con quello di uno scooter di grossa cilindrata; del resto, parte ricorrente non ha provato alcunché in ordine alle modalità di custodia e al preciso ingombro occupato dalla merce in custodia, né si tratta di beni di valore ‘ (così a pag. 4 del pr ovvedimento); n) sulla scorta di tale criterio, tenuto conto del periodo di custodia, avrebbe dovuto pervenirsi alla determinazione di un compenso complessivo pari ad euro 1.008,73, inferiore a quello liquidato dal giudice penale, con conseguente rigetto dell’opposizione.
Contro tale ordinanza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso sulla base di due motivi, contrastati con controricorso dal Ministero della Giustizia e dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli. NOME è rimasto invece intimato.
In prossimità dell’adunanza le parti non hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo è così rubricato: ‘ Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 115/02, artt. 58 e 59, del Decreto Ministero della Giustizia n. 265 del 9.2.2006, artt. 2 e 5 in relazione all’art. 12 delle preleggi, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ‘. La RAGIONE_SOCIALE deduce che il giudice di merito, nell’assimilare n. 11 colli di vestiario e scarpe, occupanti tre metri cubi di volume, ad un motociclo di grossa cilindrata, non avrebbe applicato il principio dell’analogia iuris in relazione alla similitudine fisica dei beni messi a raffronto, ma si sarebbe limitato ad equiparare gli spazi dai medesimi occupati. La similitudine così operata, ad avviso della ricorrente, sarebbe dunque irrazionale, in quanto basata su grandezze tra loro non raffrontabili (volumi e metri lineari); piuttosto, il giudice di merito avrebbe dovuto assimilare ciascuno degli 11 colli sequestrati ad un motoveicolo, liquidando per ognuno di essi un separato compenso, o, in alternativa, ragionando in termini di spazio occupato, avrebbe dovuto applicare i valori locativi OMI.
1.2 La censura è infondata.
La statuizione impugnata è infatti coerente con l’insegnamento di questa Corte, al quale il Collegio intende assicurare continuità, secondo cui ‘ In tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, qualora il compendio sequestrato non rientri in nessuna delle categorie di beni indicati nel d.m. 2 settembre 2006, n. 265, di approvazione delle tariffe, emesso in attuazione dell’art. 59 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il giudice può applicare, in via analogica, la disciplina dettata per casi analoghi, in base alla similitudine fisica dei beni. (In applicazione del
principio, la SRAGIONE_SOCIALE. ha ritenuto corretta la decisione del giudice che aveva applicato, per liquidare il compenso della custodia di un “container” contenente colli di merce, i criteri di liquidazione previsti per la categoria degli autocarri dall’art. 1, lett. c), del citato d.m. n. 265 del 2006) ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22966 del 04/11/2011, Rv. 619284; conf. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1205 del 21/02/2020, Rv. 656843; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 3802 del 07/02/2022, non massimata).
Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il giudice di merito non ha proceduto al raffronto di grandezze tra loro eterogenee, poiché -con statuizione, peraltro, non specificamente censurata -ha ritenuto il volume complessivo occupato dalla merce sequestrata assimilabile all’ingombro di un motociclo di grossa cilindrata, pervenendo all’applicazione, in via analogica, del tariffario previsto per la custodia dei motocicli in area recintata coperta: la similitudine operata dal Tribunale ha dunque tenuto conto della conformazione fisica dei beni in relazione all’ingombro dagli stessi generato. Si tratta di un criterio non manifestamente irrazionale, dettato dall’esigenza del giudice di merito di attenersi a parametri oggettivi, che è stato già più volte ritenuto corretto dalla giurisprudenza di questa Corte. Ad esempio, nella fattispecie sottesa a Cass. n. 22966/2011, ai fini della liquidazione del compenso, la custodia di più colli all’interno di un container , costituiti da scatole contenenti borse e zaini, era stata equiparata alla custodia di un autocarro; simile ragionamento analogico aveva ispirato il giudice di merito nel caso sotteso a Cass. n. 3802/2022, ove 26 metri cubi di polietilene erano stati equiparati ad un autocarro medio.
Va ribadito, infatti, che, in assenza di usi locali, per la determinazione del compenso spettante al custode di beni diversi da veicoli e natanti, anche le tabelle di cui al D.M. n. 265 del 2006 possono essere utilizzate, in via analogica, in base alla similitudine fisica dei beni (cfr. Cass. n. 3802/2022 cit.; Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 21889 del 11/07/2022, non massimata); ciò che appunto ha ritenuto di fare il giudice di merito nel caso di specie, dando adeguata motivazione delle ragioni del proprio convincimento.
D’altra parte, il Tribunale di Napoli ha osservato che l’opponente non aveva offerto alcun elemento per procedere ad una valutazione comparativa eventualmente differente rispetto a quella operata, in quanto la RAGIONE_SOCIALE non aveva provato alcunché in ordine alle specifiche modalità della custodia o all’esatto volume occupato dai beni sottoposti a sequestro.
Di talché, le deduzioni articolate nel ricorso, secondo cui il giudice dell’opposizione avrebbe dovuto piuttosto equiparare la custodia di ciascuno degli 11 colli a quella di un motociclo, ovvero avrebbe dovuto applicare i valori locativi dell’OMI, oltre a contraddire le premesse logiche della censura in esame (secondo cui la similitudine posta alla base del provvedimento impugnato avrebbe ad oggetto grandezze non assimilabili), finiscono per risolversi in critiche all’accertamento da parte del Tribunale circa la sostanziale corrispondenza tra le dimensioni fisiche complessive degli 11 colli di merci sottoposti a sequestro e le dimensioni di un motociclo di grossa cilindrata; profilo, quest’ultimo, attinente al merito della controversia e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.
Il motivo di ricorso in esame deve essere pertanto respinto.
2 . Il secondo motivo è così rubricato: ‘ In via gradata, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 115/2002, art. 58 e 59 e del Decreto Ministero della giustizia n. 265 del 09.02.2006, art. 5, e dell’art. 1374 c.c. E degli art. 1 e 14 delle preleggi al codice civile, anche in relazione all’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. ‘. La ricorrente deduce che il giudice di merito avrebbe errato, per un verso, ad escludere che le tabelle prefettizie potessero essere intese alla stregua di usi locali, ed avrebbe omesso di considerare, per altro verso, la possibilità di applicare le tabelle in questione, ove anche ritenute prive della natura di usi, almeno come parametri rappresentativi della disciplina di settore. In proposito, l’ordinanza impugnata si porrebbe in contrasto con il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, ‘ per non avere il Tribunale valutato l’applicabilità delle tabelle prefettizie come parametro di riferimento per il temperamento dell’equità e come disciplina di settore estensibile analogicamente, principi definiti dalla Corte come consolidati in propri arresti ‘ (cfr. pagg. 12-13 del ricorso).
2.1 La censura è infondata sotto entrambi i profili in cui è articolata.
Nella parte in cui la ricorrente sostiene di aver provato, mediante la produzione delle tabelle UTE anno 2000 e del decreto prefettizio prot. n. 64255/2008, che le tariffe prefettizie costituirebbero usi, il motivo in esame si risolve nell’affermazione, meramente tautologica, che le tabelle di cui si discute avrebbero natura di usi locali solamente perché applicate in modo costante ai sequestri amministrativi; il che, come ha correttamente osservato
il giudice di merito, ‘ significherebbe continuare ad applicare l’art. 276 del d.P.R. n. 115/02, pur a seguito dell’avvenuta attuazione del precedente art. 58 ‘ (cfr. pag. 4 del provvedimento). Va invero ribadito che ‘ In tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, a seguito dell’emanazione del d.m. 2 settembre 2006, n. 265, di approvazione delle tariffe, la determinazione dell’indennità di custodia per i beni diversi da quelli ivi espressamente contemplati va operata, ai sensi dell’art. 5 del predetto decreto, sulla base degli usi locali, non essendo più applicabile l’art. 276 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, il quale consentiva altresì il riferimento alle tariffe prefettizie ridotte secondo equità ‘ (cfr. Cass. Sez. 6 -2, Ordinanza n. 11281 del 05/07/2012, Rv. 623137). Alla luce di tale orientamento, oramai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, deve escludersi che le tabelle prefettizie possano essere assimilate, in quanto tali, agli usi locali.
Il Tribunale ha inoltre osservato che la RAGIONE_SOCIALE non aveva dato prova che le tariffe prefettizie fossero ‘ correntemente applicate dalle imprese di settore nella loro attività sia giudiziale che extragiudiziale ‘ (cfr. pag. 4 dell’ordinanza impugnata). Tale rilievo del giudice di merito, con cui la ricorrente non si è specificamente confrontata, consente di escludere la ricorrenza del vizio di omessa pronuncia sulla domanda di applicazione delle tabelle prefettizie come parametro di riferimento da cui desumere la disciplina di settore, denunciato con il secondo profilo della censura in esame. Infatti, il giudice dell’opposizione ha espressamente dato atto della mancanza di elementi per poter
ritenere dimostrato che le tabelle prefettizie allegate dalla ricorrente costituissero un criterio applicato dalla generalità degli operatori del mercato. Come ha affermato questa Corte, del resto, i parametri a cui ancorare la determinazione del compenso spettante al custode di beni differenti da veicoli e natanti, in mancanza di usi locali, ‘ possono trarsi dall’evidenza sociale ‘ (cfr. Cass. n. 1205/2020 cit.); ebbene, nel caso di specie, il giudice di merito non ha ritenuto provato che le tabelle prefettizie, come anche il tariffario ANCSA, rilevassero sul piano dell’evidenza sociale quali parametri di determinazione del compenso correntemente applicati dalle imprese del settore, ed ha escluso, di conseguenza, la possibilità di fare ricorso a tali fonti per la liquidazione dell’indennità di custodia spettante alla RAGIONE_SOCIALE
Non ricorre, dunque, la violazione dell’art. 112 c.p.c. dedotta dalla ricorrente; d’altra parte, va assicurata continuità all’insegnamento di questa Corte, secondo cui ‘ Il giudice non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, risultando necessario e sufficiente, in base all’art. 132, n. 4, c.p.c., che esponga, in maniera concisa, gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione, e dovendo ritenersi per implicito disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l'”iter” argomentativo seguito. Ne consegue che il vizio di omessa pronuncia -configurabile allorché risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto – non ricorre nel caso in cui, seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione
adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto ‘ (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020, Rv. 658279).
Il ricorso è rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 2000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione