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Compenso curatore: la divisione tra professionisti

Un curatore fallimentare, sostituito durante la procedura, ha impugnato la decisione sulla ripartizione del compenso finale, ritenendo sottovalutato il proprio operato iniziale. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che la valutazione del contributo di ciascun professionista è un accertamento di fatto riservato al giudice di merito. La decisione sulla divisione del compenso curatore è quindi confermata, in quanto l’appello non ha evidenziato vizi procedurali specifici ma ha richiesto un riesame del merito, non consentito in sede di legittimità.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Curatore: La Cassazione e la Ripartizione tra Professionisti Successivi

La gestione di una procedura fallimentare può essere un percorso lungo e complesso, che talvolta vede l’avvicendarsi di più professionisti nel ruolo di curatore. Una delle questioni più delicate che possono sorgere in questi casi riguarda la corretta ripartizione del compenso curatore finale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata sul tema, fornendo chiarimenti cruciali sui limiti del proprio sindacato e sul ruolo del giudice di merito in queste valutazioni.

I fatti del caso: una successione di curatori

La vicenda trae origine da una procedura fallimentare in cui un primo curatore, dopo aver gestito l’incarico per molti anni, era stato revocato e sostituito da un collega. Al momento della liquidazione finale dei compensi, il Tribunale aveva attribuito al primo professionista una quota calcolata quasi esclusivamente sul passivo accertato, mentre al secondo, che aveva completato la liquidazione dell’attivo, era stata riconosciuta la parte più cospicua.

Il primo curatore aveva impugnato tale decisione, ottenendo in un primo momento una cassazione con rinvio. La Suprema Corte aveva infatti stabilito che il giudice dovesse procedere a una più dettagliata analisi delle attività svolte e dei risultati concretamente conseguiti da ciascun professionista, valutando il ‘peso’ delle iniziative del primo curatore (come le domande di insinuazione al passivo di altri fallimenti) sulla successiva realizzazione dell’attivo.

Tuttavia, il Tribunale, in sede di rinvio, aveva sostanzialmente confermato la precedente ripartizione, ritenendo che l’attività del primo curatore si fosse di fatto arenata, mentre quella del secondo era stata decisiva. Contro questa nuova decisione, il primo curatore ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione e il compenso curatore

Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha chiarito che le doglianze del ricorrente, pur essendo formalmente presentate come violazioni di legge, miravano in realtà a ottenere una nuova e diversa valutazione dei fatti e delle prove, un’attività che è preclusa in sede di legittimità.

La valutazione di quale curatore abbia contribuito maggiormente alla procedura e in che misura è una questione di fatto, la cui risoluzione è riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Le motivazioni: la valutazione dei fatti spetta al giudice di merito

Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra il controllo di legittimità, proprio della Cassazione, e il giudizio di merito. Il ricorrente lamentava che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato come l’intero attivo realizzato fosse frutto delle sue domande di insinuazione al passivo presentate anni prima. Secondo la sua tesi, il lavoro del successore era stato una mera attività di ‘cassa’.

La Cassazione ha respinto questa impostazione, spiegando che criticare la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito non è sufficiente per ottenere una riforma della sentenza. Per poter contestare efficacemente tale valutazione, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare un vizio specifico, come l’omesso esame di un fatto storico decisivo e controverso tra le parti, secondo i rigidi requisiti dell’art. 360, n. 5, c.p.c.

Nel caso specifico, il ricorrente si è limitato a contrapporre la propria interpretazione delle prove a quella del Tribunale, senza però indicare con la necessaria specificità quale fatto decisivo sarebbe stato ignorato, da quale atto processuale emergesse e perché la sua considerazione avrebbe portato a una decisione diversa. Di conseguenza, i motivi di ricorso sono stati giudicati privi di specificità e, pertanto, inammissibili.

Conclusioni: implicazioni pratiche per i professionisti

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: la Corte di Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti della causa. Per i professionisti coinvolti in controversie sulla ripartizione del compenso curatore, ciò significa che la decisione del Tribunale, se adeguatamente motivata, è difficilmente censurabile in sede di legittimità. È cruciale, quindi, fornire al giudice di merito tutti gli elementi probatori necessari a sostenere il valore e l’importanza del proprio operato durante la fase di merito. Un ricorso in Cassazione basato sulla mera insoddisfazione per la valutazione fattuale ricevuta è destinato, come in questo caso, all’inammissibilità.

Come viene diviso il compenso tra più curatori fallimentari che si succedono in una procedura?
La divisione si basa su un’attenta valutazione, riservata al giudice di merito, dell’opera prestata e dei risultati concretamente conseguiti da ciascun professionista nel corso del suo incarico.

È possibile contestare in Cassazione la valutazione del giudice sulla ripartizione del compenso?
Sì, ma non semplicemente contestando la ricostruzione dei fatti. È necessario dimostrare una specifica violazione di legge o l’omesso esame di un fatto storico che sia stato controverso tra le parti e risulti decisivo per il giudizio, rispettando i rigidi requisiti formali previsti dal codice di procedura civile.

Perché il ricorso del primo curatore è stato dichiarato inammissibile?
Perché le sue critiche, invece di evidenziare vizi di legittimità, si risolvevano in una richiesta di riesaminare le prove e la ricostruzione dei fatti operata dal Tribunale, un’attività che esula dalle competenze della Corte di Cassazione e spetta esclusivamente al giudice di merito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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