Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20164 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20164 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14987/2023 R.G. proposto da :
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, che lo rappresenta e difende -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME (CTNPQL58R26L049D)
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE BARI del 12/06/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Bari, su istanza del liquidatore giudiziale, con la quale era stata chiesta la concessione di un acconto sul compenso spettante al commissario giudiziale COGNOME, con decreto reso all’esito della camera di consiglio del 6.2.2023, e, a modifica e revoca del decreto 22.12.2008, con cui era stato precedentemente
liquidato il compenso del commissario giudiziale, ha accordato a quest’ultimo un acconto di € 100.000,00, oltre accessori di legge.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a tre motivi.
La RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e concordato preventivo ha resistito in giudizio con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato le memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 24 e 111 Cost. e degli artt. 101 e 742 c.p.c. (art. 360, comma 1°, n. 4, c.p.c.).
Espone il ricorrente che il Tribunale, nel revocare di sua iniziativa il precedente decreto di determinazione e liquidazione del compenso del Commissario Giudiziale emesso in data 22.12.2008, è incorso in una nullità processuale irrimediabile. Assume, in particolare, che la revoca non poteva essere adottata senza la preventiva instaurazione del contraddittorio nei confronti dell’interessato, essendo l’art. 101 c.p.c. norma di generale applicazione. Aggiunge che il decreto del Tribunale del 22.12.2008, il quale ha determinato e liquidato il compenso, data la sua funzione (i.e. natura) giurisdizionale, non è revocabile dalla stessa autorità che lo ha emesso, la quale ha consumato, con l’adozione del medesimo, il proprio potere decisionale al riguardo.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 D.M. 570/1992 e dell’art. 5 D.M. n. 30/2012.
Espone il ricorrente che il decreto impugnato ha richiamato erroneamente l’art. 5 D.M. 30/2012 (non applicabile ratione temporis ), atteso che le norme previgenti non prevedevano la liquidazione di un compenso unitario, ma una distinzione tra il compenso maturato sino all’omologa e quello previsto per la
successiva fase liquidatoria. Se è pur vero che il D.M. n. 30/2012 ha abrogato il precedente D.M. n. 570/1992, ciò non esclude che in data antecedente questo decreto trovasse piena applicazione per le prestazioni già rese ed esaurite dal commissario giudiziale sino all’omologa.
Con il terzo è stata dedotta la violazione dell’art. 111 comma 7 Cost., la nullità del decreto impugnato ex art. 360 comma 1° n. 4 c.p.c. e la violazione dell’art. 39 L.F..
Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha reso una motivazione stereotipata, senza alcun riferimento al caso concreto, inidonea a rappresentare l’iter logico -argomentativo svolto, palesandosi la stessa come apparente.
Il ricorso è inammissibile.
Va osservato che il decreto impugnato contiene un provvedimento di liquidazione di un acconto sul compenso del commissario giudiziale e, contestualmente, di modifica e revoca di un precedente decreto di liquidazione del compenso dello stesso commissario giudiziale.
Entrambi i provvedimenti non sono suscettibili di impugnazione con il ricorso straordinario per cassazione ex art. 111 L.F..
Con riferimento alla liquidazione dell’acconto, va osservato che questa Corte ha da tempo enunciato il principio di diritto secondo cui i decreti con i quali il tribunale fallimentare concede o rifiuta gli acconti sul compenso richiesti dal curatore sono privi di decisorietà, poiché gli stessi sono ‘espressione di un potere discrezionale ed intervengono in una fase processuale anteriore alla presentazione ed approvazione del conto, non assumendo, di conseguenza, efficacia di cosa giudicata, sicché essi non possono pregiudicare, dopo la presentazione del rendiconto, la futura e definitiva decisione sul compenso dovuto, cui corrisponde un diritto soggettivo del curatore, e non sono, quindi, ricorribili per
cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.’ (cfr Cass. n. 24044/2015; Cass. n. 7298/2015).
Con riferimento alla parte del decreto impugnato che revoca la liquidazione del compenso del commissario giudizio effettuata nel 2008, la stessa non è suscettibile di ricorso per cassazione ex art. 111 Cost in quanto la non reclamabilità prevista dal 39 L.F. (applicabile anche al commissario giudiziale) riguarda esclusivamente la liquidazione del compenso e non la sua revoca, con riferimento alla quale, peraltro, l’oggetto del procedimento è differente, non venendo in considerazione la corretta applicazione degli scaglioni tariffari, ma la sussistenza o meno dei presupposti per la rimozione di un precedente provvedimento giurisdizionale.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 8.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 9.7.2025