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Compenso commissario giudiziale: motivazione apparente

Una società ha impugnato la liquidazione del compenso spettante ai commissari giudiziali, lamentando una motivazione nulla perché solo apparente. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la determinazione del compenso del commissario giudiziale richiede una giustificazione concreta e non può basarsi su frasi generiche e stereotipate. Il decreto è stato annullato con rinvio al tribunale per una nuova valutazione motivata.

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Compenso Commissario Giudiziale: Perché una Motivazione Apparente Annulla il Decreto

La corretta determinazione del compenso commissario giudiziale è un momento cruciale nelle procedure concorsuali. Non si tratta di un mero calcolo matematico, ma di una valutazione che deve essere trasparente e ben giustificata. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: un decreto di liquidazione privo di una motivazione effettiva e basato su formule di stile è nullo. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Liquidazione Contestata

Una società in concordato preventivo si è opposta al decreto con cui il Tribunale di Tempio Pausania aveva liquidato il compenso finale a favore dei due commissari giudiziali. L’importo, fissato in 70.000,00 euro oltre accessori, è stato contestato non tanto nel suo ammontare, quanto nel modo in cui il Tribunale era giunto a quella determinazione.

Il decreto impugnato si limitava a menzionare l’istanza dei professionisti, i valori dell’attivo e del passivo aziendale e ad affermare genericamente di aver considerato “la quantità e la qualità del lavoro svolto dai Commissari, che hanno svolto un’attività articolata e complessa”. Questa formula, secondo la società ricorrente, non costituiva una vera motivazione, ma solo una clausola di stile.

L’Analisi della Corte sul Compenso Commissario Giudiziale

La Corte di Cassazione ha accolto le ragioni della società, ritenendo i primi due motivi di ricorso fondati. Gli Ermellini hanno richiamato un loro precedente consolidato (in particolare, Cass. n. 26894/2020), secondo cui il decreto di liquidazione del compenso deve essere motivato in modo specifico.

Il giudice non può limitarsi a frasi stereotipate e generiche. Deve, al contrario, esplicitare le ragioni delle sue scelte discrezionali, giustificando il quantum liquidato sulla base dei criteri previsti dalla legge (in questo caso, il D.M. n. 30/2012, che il Tribunale aveva peraltro omesso di applicare, citando una normativa abrogata).

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione del provvedimento giudiziario, come sancito dall’art. 111 della Costituzione, è un presidio di legalità e trasparenza. Nel caso del compenso commissario giudiziale, dove il giudice gode di un certo margine di discrezionalità nel determinare l’importo finale all’interno di scaglioni normativi, questa esigenza è ancora più sentita.

La Corte ha qualificato la motivazione del Tribunale come “apparente”, perché le espressioni utilizzate erano talmente generiche da poter essere applicate a qualsiasi altra procedura, senza alcun riferimento concreto alle specificità del caso. Affermazioni come “attività articolata e complessa” o “vista la quantità e qualità del lavoro” non spiegano perché quel lavoro meriti una specifica somma. Mancava, in sostanza, quel percorso logico-giuridico che permette di comprendere come si è passati dai dati di fatto (attivo, passivo, complessità) alla cifra finale. Questa carenza rende il decreto nullo, poiché impedisce un controllo sulla correttezza e ragionevolezza della decisione.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza è un monito importante per i tribunali e una garanzia per le parti coinvolte nelle procedure concorsuali. La liquidazione dei compensi professionali non può risolversi in un atto sbrigativo e immotivato.

Le conclusioni pratiche sono chiare:

1. Per i Giudici: È necessario abbandonare le formule di stile e redigere motivazioni che diano conto puntualmente dei criteri adottati (complessità delle questioni, risultati ottenuti, diligenza, ecc.) nel quantificare il compenso.
2. Per i Professionisti (Commissari, Curatori): È opportuno redigere istanze di liquidazione dettagliate, che non si limitino a richiedere una somma, ma che illustrino il lavoro svolto in relazione ai parametri normativi, facilitando il compito del giudice.
3. Per le Società Debitorie: Viene confermato il diritto di contestare liquidazioni che appaiano ingiustificate o basate su motivazioni apparenti, ottenendone l’annullamento.

In definitiva, il principio affermato è che la discrezionalità del giudice non è mai arbitrarietà, ma deve sempre essere esercitata attraverso una decisione trasparente e verificabile.

È sufficiente che un giudice indichi l’attivo e il passivo per motivare il compenso di un commissario giudiziale?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che limitarsi a indicare la consistenza dell’attivo e del passivo, aggiungendo frasi generiche sulla “quantità e qualità del lavoro”, integra una motivazione solo apparente e quindi nulla.

Cosa si intende per “motivazione apparente” in un decreto di liquidazione?
Si intende una motivazione che utilizza espressioni stereotipate e frasi di mero stile applicabili a qualsiasi caso, senza fare riferimento a criteri concreti e specifici che giustifichino la scelta discrezionale del giudice sull’ammontare del compenso.

Quali sono le conseguenze di un decreto di liquidazione con motivazione apparente?
Il decreto è nullo. La Corte di Cassazione lo cassa con rinvio, ordinando a un nuovo giudice di riesaminare la questione e di emettere un nuovo provvedimento che sia, questa volta, adeguatamente motivato in base ai parametri normativi e ai fatti specifici del caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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