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Compenso coadiutore fallimentare: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha stabilito i criteri per il calcolo del compenso del coadiutore fallimentare. Nel caso esaminato, due professionisti avevano richiesto un onorario basato sulle tariffe professionali per una perizia svolta per la curatela. La Corte ha rigettato il ricorso, qualificando l’incarico come attività di ausiliario del curatore e non come prestazione d’opera professionale autonoma. Di conseguenza, ha confermato l’applicazione delle tariffe giudiziali, inferiori a quelle professionali, poiché l’attività era finalizzata al perseguimento degli scopi istituzionali della procedura concorsuale.

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Pubblicato il 16 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso coadiutore fallimentare: la Cassazione chiarisce la differenza con il consulente di parte

La corretta determinazione del compenso del coadiutore fallimentare rappresenta una questione di cruciale importanza per i professionisti che operano a supporto delle procedure concorsuali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: la natura dell’incarico conferito dal curatore determina la tariffa applicabile. Non si tratta di una prestazione d’opera professionale autonoma, bensì di un’attività ausiliaria agli scopi istituzionali del fallimento. Vediamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I fatti del caso

La vicenda trae origine dalla richiesta di liquidazione del compenso da parte di due professionisti, incaricati dal curatore di una società fallita di redigere una complessa perizia. L’analisi verteva sulla gestione societaria e sulla tenuta delle scritture contabili, al fine di valutare possibili azioni di responsabilità contro gli ex amministratori. Il giudice delegato liquidava un compenso di circa 14.000 euro. I professionisti, ritenendo l’importo inadeguato, proponevano reclamo, chiedendo una somma ben più cospicua, oltre 200.000 euro, calcolata sulla base delle tariffe professionali (d.m. 140/2012). Il Tribunale rigettava il reclamo, sostenendo che l’incarico non fosse una consulenza di parte, ma un’attività da ‘coadiutore’ del curatore ai sensi della legge fallimentare. La questione è così giunta all’esame della Corte di Cassazione.

La distinzione chiave: Coadiutore vs. Consulente Tecnico di Parte

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella netta distinzione tra due figure professionali che possono affiancare la curatela:

Il Coadiutore del Curatore

Previsto dall’art. 32 della legge fallimentare, il coadiutore è un ausiliario che svolge un’opera integrativa dell’attività del curatore. Il suo contributo è tecnico e finalizzato al ‘perseguimento di finalità istituzionali’ della procedura. In altre parole, aiuta il curatore a svolgere i suoi compiti specifici, come la ricostruzione dell’attivo patrimoniale. Per questo motivo, è considerato un ausiliario del giudice e il suo compenso è regolato dalla tariffa giudiziale (in questo caso, il d.m. 30/5/2002).

Il Consulente Tecnico di Parte

Questa figura interviene quando la curatela è parte in un procedimento giudiziario o stragiudiziale. Il professionista, in questo caso, non aiuta il curatore nei suoi compiti istituzionali, ma fornisce un supporto tecnico-difensivo, proprio come un avvocato. La sua è una vera e propria prestazione d’opera professionale, il cui compenso deve essere determinato sulla base delle tariffe professionali di riferimento.

La decisione della Corte e il calcolo del compenso del coadiutore fallimentare

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei professionisti, confermando la decisione del Tribunale. I giudici hanno ritenuto che l’incarico conferito avesse tutte le caratteristiche dell’attività del coadiutore. La perizia sulla gestione passata della società non era un’attività autonoma, ma era strettamente funzionale a uno dei compiti principali del curatore: la realizzazione dell’attivo fallimentare. Questo attivo, infatti, non è composto solo da beni materiali, ma anche dai diritti che possono derivare da azioni risarcitorie, recuperatorie e revocatorie.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

Secondo la Suprema Corte, l’incarico di valutare la configurabilità di atti di mala gestio e la sostenibilità di un’azione di responsabilità rientra a pieno titolo nelle incombenze istituzionali della curatela. Il professionista, quindi, non stava prestando un’opera intellettuale svincolata dalla procedura, ma stava fornendo un contributo tecnico essenziale per consentire al curatore di adempiere ai propri doveri. L’attività svolta era, in sostanza, un ‘coadiuvo sollecitato dalla e reso alla curatela per poter adempiere una propria istituzionale incombenza’. Di conseguenza, il rapporto non è qualificabile come un contratto d’opera professionale, ma come un incarico pubblicistico. Pertanto, il Tribunale ha correttamente applicato i parametri previsti dal d.m. 30/5/2002, destinati agli ausiliari del giudice.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro, con importanti implicazioni pratiche per i professionisti che collaborano con le procedure fallimentari. È fondamentale comprendere la natura dell’incarico ricevuto dal curatore. Se l’attività richiesta è integrativa e funzionale ai compiti istituzionali della procedura, il professionista agirà come coadiutore e il suo compenso sarà liquidato sulla base delle tariffe giudiziali, generalmente meno vantaggiose. Se, invece, l’incarico consiste in un’assistenza tecnica in un contenzioso specifico, si configurerà una prestazione d’opera professionale con diritto all’applicazione delle relative tariffe. La distinzione è sottile ma determinante per la corretta quantificazione dell’onorario.

Come si calcola il compenso di un professionista che assiste il curatore fallimentare?
Dipende dalla natura dell’incarico. Se il professionista agisce come ‘coadiutore’ per adempiere a compiti istituzionali della curatela, il suo compenso è determinato secondo la tariffa giudiziale per gli ausiliari del giudice (d.m. 30/5/2002). Se invece svolge una prestazione d’opera professionale autonoma, si applicano le tariffe professionali.

Qual è la differenza tra un coadiutore del curatore e un consulente tecnico di parte del fallimento?
Il coadiutore del curatore svolge un’opera integrativa dell’attività del curatore, perseguendo finalità istituzionali della procedura (come la realizzazione dell’attivo). Il consulente tecnico di parte, invece, svolge un’attività difensiva in un procedimento specifico in cui la curatela è parte, assimilabile a una prestazione d’opera professionale.

Un’analisi sulla gestione passata della società fallita per valutare azioni di responsabilità è un’attività da coadiutore?
Sì, secondo la sentenza, tale attività è direttamente inerente alla realizzazione dell’attivo fallimentare, che comprende anche le azioni recuperatorie. Pertanto, il professionista incaricato di svolgerla assume la veste di coadiutore del curatore, e non di consulente autonomo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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