Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8997 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8997 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/04/2025
ORDINANZA
n. 4451/2019 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 19 settembre 2024
Oggetto: Contratto
di
patrocinio
forense Liquidazione compensi avvocato.
sul ricorso (iscritto al n. 4451/2019 R.G.) proposto da:
COGNOME NOME , nata a Vico Equense (NA) il 4 settembre 1947 ed ivi residente, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, elettivamente domiciliata in Poggiomarino (NA), alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. R NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata, rispettivamente, alla memoria di costituzione di nuovo difensore depositata telematicamente in data 3 settembre 2024, e al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori: ‘ EMAIL e
EMAIL );
-ricorrente –
contro
COGNOME avv. NOME COGNOME nato a Meta (NA) il 12 marzo 1966 e residente in Vico Equense (NA), alla INDIRIZZO iscritto all’albo di Torre Annunziata (NA), difensore di sé stesso ex art. 86 c.p.c. in quanto abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori ed elettivamente domiciliato presso il proprio studio professionale sito in Vico Equense (NA),
alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: ‘ EMAIL );
-controricorrente –
avverso l’ordinanza del Tribunale di Torre Annunziata (NA) pronunciata nel procedimento n. 6250/2017 R.G., pubblicata il 26 novembre 2018;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 19 settembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse della ricorrente e del controricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1.- Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., l’avv. NOME COGNOME chiedeva al Tribunale di Torre Annunziata (NA), accertarsi e liquidarsi le competenze professionali maturate per la difesa e la rappresentanza in giudizio di COGNOME NOMECOGNOME interventore, nel giudizio di cognizione ordinario di primo grado svoltosi davanti alla sezione distaccata di Sorrento (NA) del medesimo ufficio giudiziario, iscritto al n. R.G. 52/AC/SO/2001 e definito con la sentenza n. 61 del 2012.
COGNOME NOME si costituiva in giudizio, deducendo l’infondatezza della pretesa creditoria avanzata con il ricorso ex art. 702bis c.p.c. sia relativamente al quantum, eccessivo ed ingiustificato, per il quale in ogni caso andavano applicate le tariffe del d.m. n. 127 del 2004, sia con riguardo all’ an, atteso che, oltre ad aver già corrisposto i compensi professionali, l’avvocato aveva agito in assenza di mandato specifico per l’intervento .
In particolare, la ricorrente, con la sua comparsa di risposta deduceva di essere la nipote dell’avv. COGNOME il quale, trasferitosi nel Condominio RAGIONE_SOCIALE Arola, dal 2000 al 2013 aveva ricoperto anche l’incarico di Amministratore di tale Condominio.
Nell’anno 2001 , il Condominio aveva conferito mandato all’avv. COGNOME al fine di convenire in giudizio innanzi al Tribunale di Torre Annunziata, sezione distaccata di Sorrento, COGNOME NOME, COGNOME NOME, NOME COGNOME e NOME, titolari del diritto di usufrutto e della nuda proprie tà di un’unità immobiliare sita nel condominio stesso al fine di ottenere la loro condanna ad eliminare le opere illegittime da questi
eseguite negli spazi condominiali, nonché vedersi accolta la domanda di reintegra nel possesso di una porzione di suolo di esigue dimensioni.
In tale occasione, COGNOME NOME aveva conferito, nella qualità di condomina, mandato all’avv. COGNOME in quanto incaricato del patrocinio condominiale.
Con il trascorrere del tempo, i rapporti tra l’avv. COGNOME e la famiglia della COGNOME si erano andati progressivamente deteriorando, a causa di questioni condominiali che inevitabilmente avevano condizionato sia il rapporto professionale che quello familiare.
Il deterioramento dei rapporti aveva portato l’avv. COGNOME a richiedere il pagamento della esorbitante somma a titolo di onorari pari ad € . 54.457,32 (euro cinquantaquattromilaquattrocentocinquantasette/32) per l’attività espletata; in seguito alla predetta richiesta, inoltrata con missiva dell’11 settembre 2015 , con allegata la nota spese, e con la successiva notifica del ricorso introduttivo del giudizio conclusosi con il provvedimento qui impugnato, la ricorrente, convinta di aver affidato al patrocinio del difensore null’altro che la difesa condominiale, aveva acquisito conoscenza dell’esistenza di un suo intervento volontario nel rammentato giudizio instaurato innanzi al Tribunale di Sorrento, nel quale già agiva in qualità di condomina.
Tale ultima circostanza aveva lasciato a dir poco sorpresa la ricorrente, atteso che non aveva mai ricevuto informazioni sul punto da parte dell’avv. COGNOME né tantomeno immaginava di aver conferito un mandato anche per spiegare intervento, soprattutto perché riteneva sufficiente agire come condomina, oltre che opportuno e conveniente in ragione della ripartizione delle spese legali.
Ed infatti, come tutti gli altri condomini, nelle more del giudizio, versava all’avv. COGNOME la sua quota a titolo di acconto sulle spettanze professionali.
La COGNOME, senza rinunciare alle proprie deduzioni, ai fini di addivenire ad una soluzione bonaria della controversia, offriva banco iudicis la somma di € . 1.528,25 (euro millecinquecentoventotto/25), quantificazione desunta dal computo delle spettanze accertato nella suddetta sentenza pronunciata dal Tribunale di Torre Annunziata nel
giudizio instaurato dall’avv. COGNOME per il recupero degli onorari nei confronti di altri due Condomini interventori, COGNOME e COGNOME.
Infine, l’odierna ricorrente chiedeva la conversione del giudizio nelle forme del rito ordinario, alla luce della complessità della questione e della necessità di verificare le pretese avverse attraverso un’istruttoria adeguata, atteso che il procedimento sommario avrebbe compromesso il proprio diritto di difesa.
Con ordinanza pubblicata il 26 novembre 2018, il Tribunale di Torre Annunziata (NA), in composizione collegiale, accoglieva la domanda giudiziale e condannava l’odierna ricorrente COGNOME NOME al pagamento, in favore dell’avv. NOME COGNOME, della somma di €. 5.570,00 (euro cinquemilacinquecentosettanta/00) per onorari, nonché di €. 1.740,00 (euro millesettecentoquaranta/00) per diritti ed €. 21,40 (euro ventuno/40), oltre accessori come per legge. La COGNOME veniva condannata, inoltre, anche al pagamento delle spese di lite.
A sostegno dell’adottata pronuncia il tribunale rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che l’istanza di conversione del rito era inammissibile atteso che l’art. 3 del d.lgs. n. 150 del 2011 prevede espressamente l’inapplicabilità al presente giudizio dei commi 2 e 3 dell’art. 702ter c.p.c.; b) che, anche a non volersi condividere l ‘ eccezione di decadenza formulata da parte ricorrente, per essersi la resistente COGNOME NOME costituita tardivamente, in ogni caso i capitoli n. 5) e 6) della prova testimoniale articolati erano inammissibili, avendo dovuto proporre la parte semmai querela di falso, mentre i restanti erano irrilevanti ed inammissibili ai fini del giudizio afferente unicamente alle competenze professionali; c) che la prestazione professionale riferita all’attività giudiziale, per la quale era richiesta la liquidazione risultava esaurita prima del 23 agosto 2012, cosicché non poteva trovare applicazione il d.m. n. 140 del 2012, né il d.m. n. 55 del 2014, mentre quest ‘ ultimo doveva trovare applicazione per la liquidazione delle competenze relative alle spese relative al presente giudizio che seguivano la soccombenza; d) che l’attività espletata dal difensore richiedente era evincibile dalla documentazione prodotta; e) che tutte le voci contenute nella nota spese e non espressamente contestate dovevano ritenersi
dovute; f) che infatti non risultavano dagli atti specifiche contestazioni svolte dalla resistente in ordine alla nota spese redatta dal ricorrente.
2.- Avverso tale ordinanza, COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
3.- Ha resistito, con controricorso, l’avv. NOME COGNOME .
4.- Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702 -bis , commi 3 e 4, c.p.c.
Sostiene, al riguardo, che il giudice di prime cure avrebbe errato nel ritenere la tardività della sua costituzione in giudizio, poiché essa sarebbe avvenuta con la piena osservanza dei termini di legge e cioè nel termine di dieci giorni prima dell’udienza, così come stabilito dall’art. 702 -bis, comma 3, c.p.c.
L’errato convincimento sarebbe derivato dal fatto che il decreto di fissazione udienza prescriveva un diverso termine che però, oltre ad essere ininfluente ai fini della tempestività o meno della costituzione, avrebbe costituito , in rapporto alla data fissata per l’udienza di comparizione, un vero e proprio provvedimento abnorme, avendo avuto come effetto quello di fuorviare la parte resistente in ordine all’esercizio del proprio diritto di difesa. Ad ogni buon conto, il Giudice avrebbe dovuto ritenere tempestiva la costituzione della parte resistente la quale si era costituita nel rispetto dei termini di cui all’art. 702 -bis , comma 3, c.p.c.
Invero, in virtù della rammentata disposizione, il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione ed assegna al convenuto termine per la costituzione, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza.
Sarebbe chiaro quindi che la COGNOME, costituendosi in giudizio dieci giorni prima dell’udienza, a vrebbe rispettato il termine previsto dalla legge.
Peraltro, nel procedimento sommario di cognizione, né per l’attore, né per il convenuto sono previste preclusioni istruttorie e il momento ultimo per formulare nuovi mezzi istruttori è costituito dall’udienza di comparizione.
Di conseguenza il tribunale avrebbe errato nel giudicare tardiva la costituzione della COGNOME, motivando il rigetto con argomentazioni senza dubbio censurabili in sede di legittimità, e avrebbe errato, incorrendo nella violazione o falsa applicazione dell’art. 702 -bis, comma 3, c.p.c., nel momento in cui ha respinto la domanda di ammissione dei mezzi istruttori proposta dal l’odierna ricorrente .
2.- Con il secondo e terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 702 -bis , commi 3 e 4, c.p.c. , in relazione all’art. 152 c.p.c.
Sostiene che, a fronte della chiarezza della richiamata previsione circa la facoltà per il giudice di disporre termini diversi da quelli stabiliti dalla legge, anche a pena di decadenza, è necessario che la comminatoria della decadenza sia puntualmente e inequivocabilmente espressa.
Nel caso di specie, il giudice di prime cure non avrebbe statuito la natura decadenziale del termine fissato per la costituzione del convenuto.
Pertanto, alcuna tardività nella costituzione poteva essere accertata a fronte di un termine non definito nel decreto come fissato a pena di decadenza.
Inoltre, il giudice di prime cure avrebbe violato il comma 3 dell’art. 702bis c.p.c., in quanto non legittimato, da tale disposizione, a stabilire termini processuali diversi da quelli fissati dal legislatore.
Detta disposizione processuale recherebbe infatti l’obbligo per il giudicante di assegnare alla parte resistente il termine indicato dalla stessa norma in dieci giorni prima dalla data di udienza, e non già di fissare autonomamente un termine diverso da quello prescritto.
3.- Con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 183, comma 7, e 221 c.p.c.
Il tribunale avrebbe errato nel ritenere inammissibili i capitoli di prova testimoniale 5) e 6) della comparsa di risposta ritenendo che le circostanze ivi dedotte fossero suscettibili di querela di falso e non oggetto di verifica con istruttoria ordinaria.
A tale riguardo, la ricorrente osserva che i punti innanzi citati recitano testualmente: « … 5. Successivamente, alla resistente veniva richiesto dall’odierno ricorrente di firmare altri documenti, senza tuttavia che alla
stessa venisse chiarito di cosa si trattasse. 6. Ovviamente, trattandosi del nipote, la sig.ra COGNOME non chiedeva spiegazioni in ordine ai documenti firmati poiché si fidava del predetto … » . Dal tenore letterale dei capitoli apparirebbe immediatamente chiaro che l’assunto del giudice di prime cure è del tutto destituito di ogni fondamento poiché non si contesta la falsità di un documento fidefaciente ovvero, a tutto voler concedere, la genuinità della firma apposta in calce alla procura alla lite, sottoscrizione non disconosciuta dalla COGNOME, ma soltanto l’uso delle firme richieste dall’avv. COGNOME alla COGNOME e e dalla stessa apposte su documenti di cui il professionista non chiariva il contenuto né la finalità ed ignorati dalla stessa odierna ricorrente che si era fidata del nipote.
Tali fatti dovevano essere accertati nella fase istruttoria poiché riguardano la debenza stessa delle somme richieste dall’avv. COGNOME mentre il Giudice di prime cure negava lo svolgimento dell’istruttoria, comprimendo il diritto di difesa della resistente fino alla totale negazione dello stesso. Pertanto il tribunale avrebbe dovuto ammettere le richieste istruttorie e soprattutto la prova per testi così come articolata già in comparsa, ai fini di comprendere il reale andamento dei fatti di causa, essendo stato contestato non solo il quantum ma anche l’ an della pretesa, e comunque non avrebbe dovuto sanzionare con la decadenza le richieste istruttorie, considerato che l’onere di indicare in comparsa di risposta i mezzi di prova non è sanzionato, appunto, a pena di decadenza e che è prevista la possibilità, nell’ambito del rito scelto da controparte, di precisare e articolare mezzi istruttori anche nelle successive difese.
La criticata affermazione, contenuta in sentenza, che la signora COGNOME non abbia ritualmente avanzato la richiesta di ammissione dei mezzi istruttori o che lo abbia comunque fatto in maniera irrilevante ed inammissibile, evidenzia anche un’errata valutazione o d omessa corretta lettura degli atti processuali da parte del tribunale, in particolare della richiamata comparsa di risposta.
Da tanto emergerebbe che il tribunale ha rigettato la richiesta di ammissione dei mezzi istruttori assumendo che gli stessi sostanzialmente non fossero idonei a provare gli assunti della COGNOME ritenendo che invece quest’ultima avrebbe dovuto proporre querela di falso.
Detta statuizione, però, appare del tutto infondata e non trova alcun riscontro nei fatti per cui è causa, non avendo la COGNOME mai negato di aver firmato il mandato, essendosi limitata a contestare l’uso della sua firma ai fini della proposizione dell’atto d’intervento, della cui utilità processuale nella vicenda sottoposta, per altro, è lecito dubitare.
Invero, nel caso in esame, la COGNOME avrebbe firmato la procura ritenendo di agire unicamente quale condomina, cosicché l’avv. COGNOME avrebbe utilizzato tale procura in modo difforme da quanto pattuito, dando vita ad un’ipotesi di riempimento ” contra pacta ” e, quindi, di inadempimento del mandato ” ad scribendum ” in ragione della non corrispondenza tra quanto scritto negli atti e ciò che si intendeva o si riteneva di aver autorizzato con la sottoscrizione del mandato.
A fronte di ciò la COGNOME avrebbe ritenuto di non essere tenuta a corrispondere altro all’odierno resistente, essendo stata già corrisposta la somma stabilita per la difesa condominiale secondo il riparto su base millesimale.
Anche gli altri capitoli di prova sono stati ritenuti irrilevanti ed inammissibili, ma la motivazione sottesa a tale decisione apparirebbe a dir poco oscura, essendosi limitato il Giudice ad affermare che erano da considerare tali perché il giudizio era relativo alle sole competenze professionali.
Tale minima e generica motivazione appare comunque errata, poiché i capitoli di prova articolati dalla odierna ricorrente erano tesi proprio a dimostrare il reale andamento dei fatti e il reale intento dell’odierno resistente.
Ne discende che sulla ammissibilità delle prove articolate in comparsa di risposta dalla COGNOME il tribunale avrebbe dovuto esaminare concretamente i fatti posti alla base della fattispecie in esame, prenderne atto, e quindi procedere all’esame della fondatezza o meno della domanda nel merito.
4.- Le predette censur e, senz’altro suscettibili di essere esaminate congiuntamente, in quanto tutte dirette a censurare l ‘affermazione relativa alla tardività della costituzione nel giudizio di primo grado ed alla conseguente non ammissione delle prove testimoniali richieste, sono inammissibili e, comunque, infondate.
Anzitutto, deve evidenziarsi come, se è certamente vero che nel provvedimento impugnato si evidenzi la tardiva costituzione in giudizio della COGNOME, risulta nondimeno altrettanto innegabile come il giudice di prime cure non si sia limitato ad una declaratoria di decadenza con riguardo alle richieste istruttorie, ma abbia altresì esaminato queste ultime pervenendo ad una valutazione in termini di inammissibilità e/o irrilevanza delle stesse. Ne deriva che alcun pregiudizio processuale appare concretamente suscettibile di essere individuato a carico dell’odierna ricorrente COGNOME NOMECOGNOME a seguito della divisata tardiva costituzione nel giudizio di primo grado.
Peraltro, come chiarito da questa Corte regolatrice, « Il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. allorquando il giudice di merito rilevi preclusioni o decadenze insussistenti ovvero affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione. » (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 30810 del 6 novembre 2023, Rv. 669452-01).
Nella specie, la ricorrente, con specifico riguardo ai capitoli di prova testimoniale diversi da quelli contrassegnati dai numeri ‘ 5) ‘ e ‘ 6) ‘ , ha omesso non soltanto di riportarne il contenuto, ma altresì – e a fortiori -di chiarire la loro decisività, onde permettere, a questa Corte, di esercitare il proprio sindacato circa la sussistenza di tale requisito.
Con specifico riferimento, invece, ai capitoli di prova testimoniale contrassegnati dai numeri ‘ 5) ‘ e ‘ 6) ‘ , le censure sollevate dalla ricorrente con i primi quattro motivi si infrangono contro il consolidato orientamento secondo cui la denunzia dell’abusivo riempimento di un foglio firmato in bianco postula la proposizione della querela di falso tutte le volte in cui il riempimento risulti avvenuto « absque pactis », non anche nell’ipotesi in cui il riempimento abbia avuto luogo « contra pacta » (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 21587 del 22 agosto 2019, Rv. 654901-
01, la quale ha altresì precisato che, ai fini della querela, ciò che assume rilevanza è che il riempitore non sia stato autorizzato al riempimento, mentre non ha alcuna importanza il fatto che egli miri a far apparire il documento come collegato ad un’operazione economica diversa da quella cui si riferisce l’autorizzazione ricevuta).
Orbene, con espresso riguardo alla fattispecie in esame, non è chi non veda come dai capitoli di prova di cui si tratta non fosse possibile desumere la sussistenza di alcun ‘ mandatum ad scribendum ‘ , nemmeno di contenuto negativo, intercorso tra la ricorrente COGNOME NOME e l’avv. NOME COGNOME con riguardo agli « altri documenti » che la prima ha sostenuto di aver sottoscritto, cosicché il loro riempimento abusivo non potrebbe essere avvenuto se non in assenza di qualsivoglia pattuizione al riguardo. Pertanto, la valutazione del giudice di merito circa l’inammissibilità di tali capitoli di prova testimoniale in ragione dell’omessa proposizione della querela di falso si sottrae senz’altro alle censure della ricorrente.
5.- Con il quinto motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), 4) e 5), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c., nonché « Motivazione omessa, insufficiente o comunque contraddittoria su un punto controverso e decisivo della controversia ed in particolare sulla contestazione della nota spese perché ritenuta non proposta o non validamente proposta. ».
Sostiene, al riguardo, che il tribunale avrebbe errato nel ritenere che non vi fossero contestazioni relative alle somme richieste, le quali, invece, avevano formato tutte oggetto d’impugnazione in quanto non dovute nella loro totalità, avendo richiesto la COGNOME di accertare che nulla era dovuto e, conseguentemente, rigettare le domande proposte dall’avv. NOME COGNOME .
Ribadisce, infatti, di aver denunciato, nella sua comparsa di risposta depositata in primo grado, l’infondatezza dell’ avversa pretesa, contestandone sia il quantum, poiché palesemente eccessivo ed ingiustificato, sia l’ an.
Evidenzia, inoltre, di aver inequivocabilmente manifestato la sua precisa volontà di contestare sia il quantum che l’ an (essendo palese tale intento già nella volontà di costituirsi in giudizio per opporsi alla richiesta
avversa di pagamento), risultano evidente che un soggetto che asserisce di aver firmato il mandato al suo avvocato per un incarico diverso da quello per cui è stata usata la firma, contesti in toto la sua attività.
L’ordinanza impugnata, pertanto, meriterebbe, secondo la prospettazione della ricorrente, di essere cassata anche sotto il dedotto profilo della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. nonché per omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione sul punto in commento in quanto « il Tribunale non ha dato alcuna valida spiegazione delle ragioni che l’hanno indotto a ritenere non proposta (o comunque non validamente proposta) la contestazione degli importi richiesti dall’avv. COGNOME limitando, appunto, la motivazione alla mera (ed errata), generica ed ingiustificata asserzione che non sarebbe stata proposta alcuna contestazione della nota spese redatta dall’avv. COGNOME e allegata al ricorso, dimostrando, anche su tale punto, di non aver analizzato correttamente gli scritti difensivi dai quali si evince chiaramente la contestazione dell’intera attività. ».
6.- Anche tale censura presenta profili sia d’inammissibilità che di infondatezza.
In primo luogo, ci si trova di fronte ad un motivo cd. ‘misto’ -deducendosi sia l’omesso esame di fatto decisivo sia la violazione o falsa applicazione di legge – con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 26874 del 23 ottobre 2018, Rv. 651324-01; Cass. civ., Sez. L, ordinanza n. 3397 del 6 febbraio 2024, Rv. 670129-01).
In secondo luogo, quanto al profilo attinente alla motivazione ex art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., con esso la ricorrente si duole della motivazione dell ‘ordina nza impugnata, sostanzialmente lamentandone l’insufficienza.
Nondimeno, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » .
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata
dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. civ., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché il Tribunale di Torre Annunziata (NA) ha senz’altro motivato – sia pure in maniera sintetica – in relazione alla non contestazione, evidenziando come i compensi indicati nella nota spesa prodotta dal professionista forense ricorrente in primo grado e concernenti attività che non avevano formato oggetto di specifica contestazione ad opera della difesa dell’odierna ricorrente, dovevano ritenersi dovuti.
Peraltro, sempre con riguardo alla non contestazione, è appena il caso di evidenziare come la censura , in quanto si concentra sull’accertamento degli elementi valevoli a far ritenere sussistente, nel caso di specie, una contestazione delle attività per le quali il professionista forense aveva domandato la liquidazione dei compensi, si risolva, con tutta evidenza, nella richiesta di una nuova valutazione preclusa in sede di giudizio di legittimità, stante il principio – affermato da questa Corte regolatrice -secondo cui « Nel vigore del novellato art. 115 c.p.c., a mente del quale la mancata contestazione specifica di circostanze di fatto produce l’effetto della “relevatio ad onere probandi”, spetta al giudice del merito apprezzare, nell’ambito del giudizio di fatto al medesimo riservato, l’esistenza ed il valore di una condotta di non contestazione dei fatti rilevanti, allegati dalla controparte. » (Cass. civ., Sez. 6-1, ordinanza n. 3680 del 7 febbraio 2019, Rv. 653130-01).
Da ultimo, sempre con specifico riguardo alla violazione dell’art. 115 c.p.c., ulteriore profilo di inammissibilità del motivo è senz’altro da
rinvenirsi nell’inosservanza del principio di autosufficienza, atteso che , come chiarito da questa Corte, in forza di tale principio, « il ricorso per cassazione con cui si deduca l’erronea applicazione del principio di non contestazione non può prescindere dalla trascrizione degli atti sulla cui base il giudice di merito ha ritenuto integrata la non contestazione che il ricorrente pretende di negare, atteso che l’onere di specifica contestazione, ad opera della parte costituita, presuppone, a monte, un’allegazione altrettanto puntuale a carico della parte onerata della prova. » (Cass. civ., Sez. 3, sentenza n. 20637 del 13 ottobre 2016, Rv. 642919-01). Nella specie, infatti, la ricorrente, al di là di un generico riferimento alla comparsa di risposta depositata nell’ambito del processo di primo grado, non risulta essersi minimamente premurata di procedere ad una specifica indicazione e trascrizione dei passaggi in cui risultavano essersi sviluppate, secondo la sua prospettazione, le sue contestazioni.
7.- Con il sesto (e ultimo) motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 5), c.p.c., la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto di cui agli artt. 15 c.p.c., 5 e 6 d.m. n. 127 del 2004, nonché « Motivazione omessa, insufficiente o comunque contraddittoria su un punto controverso e decisivo della controversia relativamente al valore della stessa, considerato indeterminabile ai fini del calcolo dei compensi. Assoluta incongruità dei compensi richiesti. Violazione del principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata. Determinazione giudiziale del compenso. ».
In particolare, la ricorrente evidenzia che il giudizio richiamato nel ricorso ex art. 702bis c.p.c. dall’avv. COGNOME aveva ad oggetto un’azione possessoria, che il predetto avrebbe erroneamente dichiarava di valore indeterminabile, per l’effetto falsando la corretta individuazione dei parametri di quantificazione degli onorari professionali.
Evidenzia altresì che il giudice di prime cure, nel valutare l’applicabilità alla vicenda in esame dei criteri di computo proposti dal ricorrente, avrebbe dovuto calcolare il valore della controversia applicando l’art. 15 c.p.c. e cioè la disposizione dettata proprio per pervenire alla giusta quantificazione del valore delle cause relative ad immobili, quantificazione pedissequamente incidente, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.m. n. 127 del
2004, sulla corretta definizione degli onorari dovuti dal cliente al proprio legale.
Ebbene, la diversità tra valore effettivo della controversia ed il suo valore dichiarato sarebbe manifesta (in quanto facilmente desumibile già dall’atto introduttivo in cui si parla, appunto, una striscia di terreno sul lato nord adiacente al Condominio) e, quindi, rilevante ai fini della determinazione ‘ a ribasso ‘ dello scaglione da applicare nella determinazione degli onorari da porre a carico del cliente.
Si tratterebbe, nel caso di specie, di una situazione caratterizzata dall’evidente sproporzione tra pretese economiche del ricorrente manifestamente esorbitanti ed il valore effettivo del bene controverso.
In merito alla quantificazione concernente il valore di cui all’azione possessoria, la ricorrente richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, ai fini della liquidazione dell’onorario dell’avvocato nelle controversie possessorie, la causa non è e non può essere intesa di valore indeterminabile, sicché il compenso deve essere parametrato alle regole per la valutazione dei giudizi relativi al diritto il cui contenuto risponde al potere di fatto sulla cosa.
Sostiene altresì come risulti palese la violazione del principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari dell’avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata, principio la cui applicazione avrebbe dovuto indurre il giudice di primo grado ad adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione resa, in relazione alla concreta valenza economica della controversia.
8.- Anche tale censura risulta inammissibile in ragione del consolidato principio secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa
rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse. » (Cass. civ., Sez. 1, ordinanza n. 26874 del 23 ottobre 2018, Rv. 651324-01).
Aggiungasi, peraltro e quale ulteriore profilo d’inammissibilità , l’inosservanza del principio secondo cui « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta
perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Nella specie, infatti, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sulla necessità di adeguare la misura dei compensi professionali all’effettiva importanza della prestazione fornita dall’odierno controricorrente e tenendo conto della « diversità tra valore effettivo della controversia ed il suo valore dichiarato », finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio (in termini di accertamento del valore della causa in cui l’avv. COGNOME ebbe a prestare la propria opera professionale), notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
9.- In conclusione, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev ‘ essere senz’altro respinto.
10.- Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
11.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’ impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge .
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione