Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 820 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 820 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17767/2023 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in MESSINA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE
-intimato- avverso il DECRETO del TRIBUNALE di BARCELLONA POZZO DI GOTTO n. 1194/2022 depositato il 18/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con decreto n. 5064/2023, ha rigettato il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del Fallimento RAGIONE_SOCIALE s.p.a. in liquidazione gli ha liquidato, a titolo di compenso per l’attività
difensiva svolta a favore della curatela in un giudizio amministrativo innanzi al TAR di Catania, la somma di € 9.850,00. Il giudice di primo ha ritenuto che il compenso del legale dovesse quantificarsi tenuto conto del valore indeterminabile della controversia, e non secondo lo scaglione tra 16 milioni e 26 milioni di euro, come invocato dal reclamante. Ciò, in primo luogo, perché la stima dei beni su cui era stato apposto il vincolo amministrativo era datata al 13.1.2011, e non quindi attuale. In ogni caso, l’interesse economicamente apprezzabile sotteso all’azione non poteva senz’altro identificarsi nel valore integrale dei beni sottoposti al vincolo, ma, piuttosto, nel valore perduto per effetto dell’apposizione di detto vincolo, non specificato nel ricorso. In particolare, non vi era prova che l’apposizione del vincolo avesse azzerato il valore dei beni.
Avverso il predetto decreto NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a quattro motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 132 c.p.c., 118 disp. att c.p.c., 111 Cost.: la motivazione è -in tesi apparente in ordine alla supposta devalutazione dei beni dal 2011 al 2021.
Inoltre, il ricorrente deduce che al procedimento di liquidazione ex art. 25 e 26 L.F. non si applicano gli oneri probatori previsti per i giudizi contenziosi.
Con il secondo motivo è stato dedotto l’omesso esame, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., della relazione del perito della curatela, che aveva confermato il valore di 26 milioni di euro dei beni su cui era stato apposto il vincolo amministrativo.
Entrambi i motivi, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.
Va osservato che il percorso logico-giuridico con cui il giudice di primo grado ha ritenuto la causa innanzi al TAR di valore indeterminabile è ben individuabile ed è riconducibile ad una doppia ratio decidendi , già anticipata in narrativa:
la valutazione dei beni prima dell’apposizione del vincolo non è più attuale;
in ogni caso, l’interesse economicamente apprezzabile sotteso all’azione non poteva senz’altro identificarsi nel valore integrale dei beni sottoposti al vincolo, ma, piuttosto, nel valore perduto per effetto dell’apposizione di detto vincolo, non specificato nel ricorso. In particolare, non vi era prova che l’apposizione del vincolo avesse azzerato il valore dei beni.
In primo luogo, è insussistente il dedotto vizio di motivazione apparente -peraltro solo apoditticamente invocato -, avendo il giudice ben spiegato il proprio percorso argomentativo.
Inoltre, l’affermazione secondo cui nel procedimento di reclamo ex art. 26 L.F. non potrebbero applicarsi gli oneri probatori -censura non indicata in rubrica, ma che si evince dalla lettura del motivo – è destituita di fondamento, in quando la deformalizzazione e semplificazione del procedimento ex art. 26 L.F. non incide sulle regole del giudizio.
Il principio dell’onere della prova si applica anche in tale procedimento, che è di natura contenziosa, essendo stata contestata la quantificazione effettuata dal G.D. del compenso del legale, il quale, rivendicando il diritto alla liquidazione del proprio compenso secondo certi parametri, diversi da quelli applicati dal G.D., è, conseguentemente, onerato di provare i fatti costitutivi del suo diritto.
D’altra parte, il dedotto omesso esame della perizia della curatela (oggetto del secondo motivo) che avrebbe confermato all’attualità il valore di 26.000.000 di euro dei beni su cui è stato apposto il vincolo – non è decisivo.
Con tale censura è stata aggredita la prima ratio decidendi -nei termini sopra illustrati -, ma la seconda, secondo cui non vi è prova dell’azzeramento del valore dei beni gravati dal vincolo per effetto dell’apposizione dello stesso, non è stata in alcun modo attinta.
Orbene, è orientamento consolidato di questa Corte che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (Cass. n. 18641/2017; vedi anche Cass. n. 13880/2020).
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2697 c.c. e 20 d.lgs. 421/2004.
Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha illegittimamente contestato una carenza di prova degli effetti del vincolo storico etnoantropologico impresso ai beni, atteso che tali effetti legali dei fatti non devono essere provati ( iura novit curia )
Con il quarto motivo è stato dedotto l’omesso esame, ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c.., del decreto con cui è stato apposto il vincolo.
Lamenta il ricorrente che il giudicante è incorso in un ‘ errore percettivo di valutazione della prova documentale costituita dal decreto di vincolo ‘, che tale provvedimento è stato ‘ malamente esaminato ‘.
Il terzo ed il quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, presentano concomitanti profili di infondatezza ed inammissibilità.
In primo luogo, l’art. 20, comma 1, d. lgs. 421/2004 stabilisce che i beni culturali non possono essere distrutti, deteriorati, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere storico o
artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione. La norma non dice affatto che non possono essere venduti, con la conseguenza che non si trattava di beni incommerciabili (né era neppure detto che non vi potesse essere un interesse ad acquistare i beni stessi, magari per allestire un museo a pagamento).
Ed è per questo motivo che il giudice di primo grado, nel valutare correttamente la condizione giuridica dei beni sottoposti al vincolo, ha affermato che tale vincolo non aveva determinato tout court l’azzeramento del valore dei beni coinvolti, cioè ‘ la loro incommerciabilità e quindi l’annullamento della loro utilità economica’, precisando ‘ a questo proposito, il decreto n. 3815 versato in atti, da cui non si desume una tale conclusione, non essendo ciò espressamente prescritto ‘.
Tale affermazione rivela in modo inequivocabile che non solo il decreto che ha apposto il vincolo è stato debitamente esaminato dal decreto impugnato, ma che il ricorrente, con l’apparente deduzione della violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., censura, in realtà, una valutazione di fatto (conseguente ad una valutazione giuridica).
Non si liquidano le spese di lite, non avendo la curatela svolto difese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 19.12.2024