Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12777 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12777 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3011/2024 R.G. proposto da
NOME COGNOME rappresentato e difeso da sé medesimo ed elettivamente domiciliato presso il proprio studio in Catania, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro p.t., rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato presso i cui uffici è elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente –
Avverso l’ordinanza n. 761/2023, resa dal Tribunale di Catania in data 03/07/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’8 maggio 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., depositato il 17/9/2021, NOME COGNOME opposizione avverso il decreto di liquidazione dei compensi al difensore di parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, emesso dal Tribunale di Catania in data 31/8/2021 e depositato e comunicato il 1/9/2021, contestandone l’illegittimità per violazione dell’art. 82 d.P.R. n. 115 del 2002, in relazione all’art. 4, commi 2 e 4, d.m. n. 55 del 2014 per mancato riconoscimento dell’aumento del 300% del compenso tabellare (valori medi) per la presenza di più controparti aventi medesima posizione processuale e dell’aumento del 30% per la presenza di due parti difese aventi medesima posizione processuale, abbattuto del 50%.
Il Ministero della Giustizia rimase contumace, nonostante la rituale notifica del ricorso.
Il Tribunale di Catania, con ordinanza n. 761/2023 del 3/7/2023, rigettò il ricorso, ritenendo che rientrasse nel potere discrezionale del giudice – come statuito dalla norma stabilire l’aumento dell’onorario in caso di assistenza di più parti, aumento che, in ogni caso, non solo doveva essere specificamente richiesto, ma anche specificamente motivato dal richiedente, non sussistendo automatismi per il calcolo dovuti alla presenza di una pluralità di parti, e che il giudice aveva adeguatamente motivato sulle ragioni della mancata concessione dell’aumento per la difesa di una pluralità di parti, stante la sostanziale sovrapponibilità delle posizioni, e sulla mancata concessione dell’aumento per più controparti aventi diversa posizione processuale, atteso che la misura richiesta aveva come controparte il solo COGNOME SalvatoreCOGNOME
Avverso il suddetto provvedimento, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi. Il Ministero della Giustizia resiste con controricorso.
Il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione del giudizio ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti.
In seguito a tale comunicazione, il ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso.
Fissata l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ., il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 82, comma 1, del D.P.R. 30/5/2002 n. 115, in riferimento all’art. 4, commi 1 e 2, del D.M. Giustizia n. 55/2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito denegato l’aumento del compenso per più parti difese, ritenendo che la posizione delle stesse fosse giustapponibile, così confermando la motivazione contenuta nel decreto di liquidazione, senza considerare che la norma violata prevedeva l’identità della posizione processuale delle parti difese quale presupposto per la potenziale concessione dell’aumento, mentre per i giudici aveva costituito motivo di rigetto. Ad avviso del ricorrente, i giudici avrebbero dovuto valutare l’assenza di elementi che dessero conto dell’esame di questioni di fatto o di diritto specifiche e distinte per ciascuna delle parti.
Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 82, comma 1, del D.P.R. 30/05/2002 n. 115, in riferimento all’art. 4, commi 1 e 2, del D.M. Giustizia n. 55/2014 e agli artt. 669sexies e 101 cod. proc. civ. e 111 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere
il Tribunale denegato l’aumento del compenso per la difesa nei confronti di più controparti, riconoscendo solo nella parte resistente COGNOME l’unico chiamato a contraddire avverso la misura cautelare richiesta e confermando, in tal modo, quanto affermato nel decreto di liquidazione. Ad avviso del ricorrente, i giudici non avevano considerato che il giudizio cautelare per la concessione del sequestro dell’appartamento in Catania, INDIRIZZO, ai sensi dell’art. 670, n. 1, cod. proc. civ., e, in subordine, ai sensi dell’art. 700 cod. proc. civ., per ottenere il pagamento del canone di locazione, al quale si riferiva l’istanza di liquidazione, era stato proposto dai propri assistiti, COGNOME Salvatore e COGNOME NOME, nel corso del giudizio dai medesimi incardinato onde ottenere il rilascio dell’immobile occupato da COGNOME Salvatore e il risarcimento dei danni, nel quale, su istanza di quest’ultimo, erano stati citati in giudizio altri dodici soggetti, da esso indicati come i veri proprietari del bene e percettori dei canoni di locazione, come da contratto con essi stipulato, sicché il giudizio cautelare non poteva che essere intentato contro tutte le parti del giudizio di merito, specie perché le predette avrebbero subito gli effetti derivanti dal suo accoglimento. Inoltre, il ricorso aveva richiesto la notifica a tutti detti soggetti, che avevano svolto distinte difese.
3. Con il terzo motivo, si denunzia il vizio di motivazione, ovvero di motivazione apparente, in violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito immotivatamente denegato l’aumento del compenso per più parti difese, essendosi limitati a confermare la scarna motivazione del decreto di liquidazione, secondo cui ‘( …) la posizione processuale di entrambe ‘ era ‘ giustapponibile ‘, senza dare alcun conto delle specifiche e argomentate lagnanze prospettate con l’atto di opposizione ex art. 170 T.u.s.g.
Con il quarto motivo, si lamenta il vizio di motivazione, ovvero la motivazione apparente, in violazione dell’art. 111, comma sesto, Cost., in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere il giudice immotivatamente denegato l’aumento del compenso per la difesa nei confronti di più controparti, risolvendosi, l’unica motivazione, nella mera conferma della scarna motivazione del decreto di liquidazione -secondo cui solo la parte resistente COGNOME Salvatore sarebbe stato l’unico chiamato a contraddire – senza tenere in alcun conto delle articolate, specifiche e comprovate doglianze sottoposto al giudice dell’opposizione su tale specifica questione.
Con il quinto motivo, si denuncia il vizio di motivazione, ovvero la motivazione apparente, in violazione dell’art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito immotivatamente denegato l’aumento del compenso per più parti difese, riproponendo le medesime argomentazioni contenute nel decreto, senza tener conto delle articolate difese contenute nell’opposizione. In sostanza il ricorrente ripropone la medesima doglianza riportata nel terzo motivo di impugnazione, riconducendola al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ.
Con il sesto motivo, infine, si rileva il vizio di motivazione, ovvero la motivazione apparente, in violazione art. 111, sesto comma, Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito immotivatamente denegato l’aumento del compenso per la difesa nei confronti di più controparti. Il ricorrente ripropone la medesima doglianza di cui al quarto motivo di impugnazione, stavolta in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
7.1 Il primo, terzo e quinto motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione dell’omessa concessione
dell’aumento per pluralità di parti difese, ora affrontata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge (primo), ora del difetto di motivazione o motivazione apparente con conseguente violazione di legge (terzo) e nullità della sentenza (quinto), sono fondati.
7.2 Vanno innanzitutto rigettati i rilievi di inammissibilità del ricorso perché prolisso e autosufficiente per eccesso e perché la decisione era conforme ai principi affermati da questa Corte, sollevati dal controricorrente.
Quanto ai primi due punti, si osserva che il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ.; tuttavia l’inosservanza di tali doveri può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. ma non certo soltanto perché il testo complessivo è caratterizzato da una eccessiva e non necessaria lunghezza e da una certa farraginosità dell’esposizione, purché consenta di comprendere lo svolgimento della vicenda processuale e di individuare con chiarezza le censure rivolte alla sentenza impugnata (vedi Cass., Sez. U, 30/11/2021, n. 37552).
Il terzo profilo di inammissibilità non è invece ravvisabile nella specie per i motivi che verranno espressi nell’esame delle singole censure.
7.3 Venendo al merito, si osserva che all’epoca in cui fu depositato il ricorso in opposizione, ossia il 17/9/2021, era in vigore l’art. 4, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55 nel testo successivo alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 1, lettera c), del d.m. 8 marzo 2018, n. 37, e anteriore alle modifiche successivamente apportate dall’art. 2, comma 1, lettera c) del d.m. 13 agosto 2022, n. 147, che ha soppresso l’espressione ‘di regola’ e che è entrato in vigore il 23.10.2022, il quale recitava: ‘ quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può di regola essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta. La disposizione di cui al periodo precedente si applica quando più cause vengono riunite, dal momento dell’avvenuta riunione e nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti ‘.
Detta disposizione, facendo esplicito riferimento a “soggetti” e non a “parti” ha inteso rendere applicabile l’aumento per ognuno dei soggetti, aventi la medesima posizione processuale, senza che possa assumere rilievo la circostanza che taluni di essi rappresentino una sola parte in senso proprio, così affidando alla discrezionalità del giudice (di regola) di tener conto del maggior lavoro, peraltro limitato dall’identità della posizione processuale, che deriva all’avvocato a riguardo di ognuno dei soggetti rappresentati e difesi oltre il primo (basti pensare alla necessità di rapportarsi con ognuno d’essi, di anagrafare ognuno d’essi e di far sottoscrivere la procura a ognuno d’essi), senza che un tale ulteriore impegno professionale risulti anche solo attenuato dal
fatto che i detti soggetti rappresentino una sola parte (Cass., Sez. 2, 6/6/2022, n. 18047).
Come già affermato da questa Corte, la voce verbale “può” accorda al giudice la facultas di far luogo all’aumento del compenso e nondimeno, al contempo, gli prefigura l’onere di motivare sia nell’evenienza in cui ritenga di riconoscere l’aumento, sia nell’evenienza contraria (Cass., Sez. 6-2, 14/1/2020, n. 461; Cass., Sez. 1, 19/1/2022, n. 1650).
Orbene, il giudice di merito ha escluso, nella specie, la possibilità di concedere l’aumento per la difesa di una pluralità di parti, limitandosi a richiamare le osservazioni contenute nel decreto impugnato, che aveva considerato giustapponibile la posizione processuale dei due soggetti difesi, senza null’altro aggiungere e soprattutto senza prendere posizione sulle argomentazioni difensive poste a fondamento della decisione.
Se è vero che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali, e che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie, Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014
Rv. 629830; da ultimo, Cass., Sez. U, 30/1/2023, n. 2767; vedi anche, tra le tante, Sez. U, 03/11/2016, n. 22232, Rv. 641526; Sez. U, n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, 01/03/2022, n. 6758, Rv. 664061; Sez. 6 – 5, 23/05/2019, n. 13977, Rv. 654145), è anche vero che la sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, sì da consentire, attraverso la parte motiva di entrambe le sentenze, di ricavare un percorso argomentativo adeguato e corretto, ovvero purché il rinvio sia operato sì da rendere possibile ed agevole il controllo, dando conto delle argomentazioni delle parti e della loro identità con quelle esaminate nella pronuncia impugnata, mentre va cassata la decisione con cui il giudice si si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., Sez. 1, 19/7/2016, n. 14786; Cass., Sez. L, 5/11/2018, n. 28786).
Pertanto, avendo il Tribunale omesso di prendere posizione sulle censure, limitandosi a richiamare per relationem il decreto opposto, i vizi denunciati devono ritenersi sussistenti.
8. Il secondo, quarto e sesto motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione dell’omessa concessione dell’aumento per la difesa nei confronti di più controparti, ora affrontata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge (secondo), ora del difetto di motivazione o motivazione apparente con conseguente violazione di legge (quarto) e nullità della sentenza (sesto), sono fondati.
Come già osservato con riguardo alla difesa svolta per più parti, il ridetto art. 4, comma 2, d.m. n. 55/2014, nella versione ratione
temporis applicabile nei termini sopra detti, dispone che l’aumento in questione può ‘di regola’ essere concesso anche « nel caso in cui l’avvocato assiste un solo soggetto contro più soggetti ».
Come chiarito da Cass., Sez. 3, 31/1/2024, n. 2956, «l’aumento in questione ha lo scopo di conciliare due esigenze teoricamente opposte: da un lato remunerare l’avvocato in misura maggiore, quando maggiore è stato il suo impegno; dall’altro evitare una mera duplicazione di compensi a fronte di una attività solo formalmente reiterata, ma sostanzialmente unitaria. Per questa ragione la norma prevede che la difesa di più parti in posizione identica dia luogo ad un solo compenso (per evitare ingiuste duplicazioni), ma maggiorato (per remunerare adeguatamente l’impegno del professionista). Tale ratio sussiste dunque tanto nell’ipotesi in cui il difensore assista una sola parte contro più soggetti, quanto nell’ipotesi in cui assista più parti contro più soggetti, e varrà la regola ubi eadem ratio, ibi eadem dispositio », sicché trovano applicazione, anche in questa evenienza, i medesimi principi espressi nel punto che precede.
Nel caso di specie, il giudice di merito ha ritenuto di non dover concedere l’aumento previsto per l’ipotesi in cui il difensore assista una sola parte contro più soggetti, richiamando per relationem quanto affermato nel decreto di liquidazione impugnato, secondo cui unico chiamato a contraddire avverso la misura cautelare richiesta era la sola parte resistente COGNOME, senza null’altro aggiungere.
Nonostante una motivazione sussista, deve allora ritenersi applicabile, anche in questo caso, il principio sopra ricordato, secondo cui va cassata la decisione con cui il giudice si si sia limitato ad aderire alla decisione di primo grado senza che emerga, in alcun modo, che a tale risultato sia pervenuto attraverso l’esame
e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass., Sez. 1, 19/7/2016, n. 14786; Cass., Sez. L, 5/11/2018, n. 28786). 9. In conclusione, dichiarata la fondatezza dei motivi, il ricorso deve essere accolto e il decreto cassato, con rinvio al Tribunale di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia al Tribunale di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 08/05/2025.