Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 31694 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 31694 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 30435/2020 R.G. proposto da :
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di TRIBUNALE MILANO n. 5531/2020 depositata il 18/09/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.l’avvocato NOME COGNOME veniva condannato dal Giudice di Pace di Milano al pagamento di € 3092,03 a favore dell’avv. NOME COGNOME a titolo di compenso per l’attività professionale di assistenza stragiudiziale e giudiziale in una controversia per ottenere la liberazione di un immobile occupato senza titolo da terzi. Il Tribunale di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha confermato la decisione di primo grado salvo ridurre l’importo riconoscendo che il debitore aveva effettuato un pagamento parziale (di €1298,62). NOME COGNOME ricorre, con tre motivi avversati da NOME COGNOME con controricorso, per la cassazione della sentenza in epigrafe;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c. e 132, comma 1, n.4 c.p.c. Si sostiene che il Tribunale ha ‘travisato la prova’ e ritenuto, erroneamente, che l’avv. COGNOME avesse assolto l’onere di provare l”attività svolta’. Si prospetta altresì che la motivazione della sentenza sia ‘illogica o apparente e contraddittoria’;
2. con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli art. 132, comma 1, n.4 c.p.c. per ‘omesso esame di prove decisive al fine di inficiare l’efficacia di altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice in punto di ruolo effettivo’ dell’avvocato COGNOME e di ‘validità ed efficacia dell’incarico professionale conferito allo stesso’. Si lamenta altresì ‘motivazione apparente’;
3. con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 2233 e 4 e 8 del d.m. 55/2014, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c., ‘per avere il Tribunale di Milano riconosciuto’ all’avv. COGNOMEil diritto a percepire compensi per l’attività professionale non comprovata e/o non effettuata’;
il primo motivo di ricorso è infondato.
Quanto al dedotto vizio motivazionale, lo stesso non sussiste dato che la motivazione della sentenza è espressa in modo chiaro e segue un iter logico e scevro da contraddizioni. Si legge infatti nella sentenza che dai documenti prodotti davanti al giudice di pace (‘documenti 1 e 2 del monitorio e documento D prodotto dall’opposto in primo grado’) risultava che l’avv. COGNOME aveva conferito all’avv. COGNOME non il ruolo di mero ‘domiciliatario’, come sostenuto, ma ‘l’incarico di assisterlo e rappresentarlo sia davanti all’organismo di conciliazione dell’ordine degli Avvocati di Milano sia nel procedimento ex art. 702 bis c.p.c., nel contenzioso con NOME e NOME riguardante la liberazione di un immobile di proprietà dell’appellante’; si legge poi che l’avvocato COGNOME aveva depositato il ricorso -‘pacificamente’ redatto dal COGNOME era fatto pagare un acconto ed era comparso personalmente sia davanti all’organismo di conciliazione sia in udienza ed aveva assistito la parte nella conciliazione giudiziale della controversia’. Si legge ancora che la causa era stata conciliata ‘all’udienza all’uopo fissata successivamente a quella di prima comparizione della part’. In questo modo il Tribunale ha dato conto della ragione per cui ha ritenuto fondata, sotto il profilo dell’ an, la pretesa dell’allora appellato di compenso per l’attività svolta in relazione all’incarico professionale conferitogli.
Non sussiste il vizio di violazione dell’art. 2697 c.c. Tale violazione si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle
fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (vd. Cass. 26769 del 2018), mentre, nel caso di specie, la sentenza impugnata, senza alcuna inversione dell’onere della prova, ha affermato che il COGNOME aveva diritto al compenso preteso avendo dimostrato sia l’avvenuta conclusione del contratto di prestazione d’opera professionale sia l’avvenuta esecuzione delle prestazioni professionali a cui era tenuto in forza di tale contratto.
Quanto al vizio di travisamento della prova, richiamata la pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte, n.5972 del 05/03/2024 (‘Il travisamento del contenuto oggettivo della prova – che ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio -trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, laddove ricorrano i presupposti richiesti dall’art. 395, n. 4, c.p.c., mentre – se il fatto probatorio ha costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare e, cioè, se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti – il vizio va fatto valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, o n.5, c.p.c., a seconda che si tratti di fatto processuale o sostanziale’), e rilevata la contraddittorietà delle denunce del ricorrente di travisamento della prova e di assenza di prova, si osserva che tale vizio è solo enunciato nella rubrica del motivo senza che, nel corpo del motivo stesso, sia concretamente individuato alcunché di riconducibile alla definizione del vizio data dalle Sezioni Unite.
Quanto, infine, alla denuncia di violazione dell’art. 115 c.p.c. si tratta di denuncia inammissibile. ‘Per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli
(salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio)’ (Cass. Sez. U. n.20867 del 30/09/2020). Nel caso di specie, dietro lo schermo formale della violazione dell’art. 115 c.p.c., il ricorrente tenta di far passare la tesi -contraddetta da tutto il contenuto della sentenza- per cui la controparte non avrebbe mai contestato di essere stato un mero ‘domiciliatario’;
il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Si deduce ‘l’omesso esame di prove documentali decisive’ senza considerare che il vizio così ipotizzato ricade nel n.5 dell’art. 360, primo comma, c.p.c. ed il motivo è inammissibile atteso che, a fronte di un doppio accertamento conforme dei giudici di primo e secondo grado, l’impugnazione della sentenza d’appello soggiace alla preclusione derivante dalla regola di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c.;
il terzo motivo di ricorso è inammissibile. Come risulta dalla stessa rubrica, si tratta di motivo così strutturato: poiché il giudice di merito ha accertato il fatto X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y e Z. Precisamente: siccome i giudici di appello hanno accertato che l’avv. COGNOME ha svolto determinate attività difensive su incarico dell’avv. NOME e tale accertamento è sbagliato perché in realtà l’avv. COGNOME è stato un mero ‘domiciliatario’, allora sono state violate o falsamente applicate le norme di cui agli artt. 2233 e 4 e 8 del d.m. 55/2014. Oltre al fatto, già evidenziato con riguardo al secondo motivo di ricorso, che l’accertamento dei giudice di appello ha doppiato quello del giudice di primo grado ed è perciò sottratto al sindacato ex art. 360, primo comma, n.5 c.p.c., il motivo, come ogni motivo similmente strutturato, è inammissibile perché tende a fare del giudizio di legittimità un terzo grado di merito;
in conclusione il ricorso deve essere rigettato;
8.le spese seguono la soccombenza;
PQM
la Corte rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in € 1875,00 per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Roma 14 novembre 2024.
Il Presidente NOME COGNOME