Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1009 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1009 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29465/2022 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende con procura speciale in atti;
– RICORRENTE –
contro
COGNOME
–
INTIMATO- avverso l’ordinanza emessa dalla Corte d’appello di Perugia in data 21.11.2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
La Corte d’appello di Perugia ha respinto la domanda di pagamento dei compensi professionali avanzata dall ‘ avv. NOME
Oggetto: professioni
COGNOME per la difesa del COGNOME in un giudizio di equa riparazione ex l. 89/2001, ritenendo insussistente la prova del conferimento del mandato professionale per l’avvenuto disconoscimento della firma apposta sul mandato, ponendo inoltre in rilievo che l’avv. COGNOME si era limitata a redigere il ricorso per equa riparazione senza dar corso agli ulteriori adempimenti processuali.
Per la cassazione della sentenza l’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a due motivi, illustrati con successiva memoria.
NOME COGNOME non ha notificato atti difensivi.
Il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., per manifesta infondatezza del ricorso.
Su opposizione del ricorrente, che ha chiesto la decisione, è stata fissata l’adun anza camerale.
Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 83, 115, 116, 214, 215, 215 e 221 c.p.c. nonché degli artt. 2697 e 1362 c.c., per aver la Corte di merito escluso la sussistenza del mandato professionale per effetto della contestazione della procura sull’atto difensivo, che dimostrava il conferimento del mandato professionale, non essendo stata impugnata con querela di falso.
Si assume che l’instaurazione del rapporto con il conferimento dell’incarico darebbe luogo in ogni caso al pagamento del compenso per le attività svolte.
Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 2696, 2697 c.c., 112, 115 e 116 c.p.c., per aver il giudice omesso di considerare che la ricorrente aveva in ogni caso redatto il ricorso ex L. 89/2001, sicché la mancata notifica alla controparte non comportava il venir meno del diritto al compenso.
Il ricorso è infondato.
La pronuncia si fonda su una doppia ratio, avendo il giudice respinto la domanda sia per mancanza di prova del conferimento del mandato professionale, sia per il fatto che l’attività si era comunque esaurita
con la redazione del ricorso, senza la notifica e senza l’instaurazione del contraddittorio con il Ministero.
Tale seconda argomentazione, genericamente censurata, resiste alle critiche della ricorrente, che non affronta il vero nucleo argomentativo della decisione, fondata sul fatto che la sola redazione del ricorso si era rivelata un’attività inutile, priva di utilità per il cliente e che non era stato correttamente espletato il mandato difensivo.
Risulta per contro generico, privo di aggancio agli atti di causa e di riscontri nella sentenza impugnata, l’assunto che la cancellazione della causa sarebbe dipesa da una scelta dell’assistito , che aveva revocato l’incarico .
Dovendosi confermare tale statuizione , l’esame della prima ratio -che verte sulla sussistenza della procura e del rapporto professionale – non può da sola condurre a cassare la pronuncia.
Il giudice, decidendo su una questione che, benché logicamente pregiudiziale sulle altre, attiene al merito della causa, a differenza di quanto avviene qualora dichiari l’inammissibilità della domanda o il difetto di giurisdizione, o competenza, non si priva della “potestas iudicandi” in relazione alle ulteriori questioni di merito, sicché, ove si pronunci anche su di esse, le relative decisioni non configurano “obiter dicta”, ma ulteriori “rationes decidendi”, che la parte ha l’interesse e l’onere d’impugnare, in quanto da sole idonee a sostenere il “decisum”.
L’inammissibilità o l’ infondatezza del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass. 11493/2018; Cass. 15399/2018; Cass. 5102/2024).
Le ragioni della presente decisione rendono superfluo rimettere la causa in pubblica udienza o alle Sezioni Unite, come richiesto nella
memoria illustrativa della ricorrente, non essendo proposte questioni di rilievo nomofilattico o oggetto di contrasto tra le Sezioni semplici, influenti sulla decisione della lite.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese processuali, non avendo l’intimato svolto difese.
Poiché l’impugnazione è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., va applicato -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380bis, cod. proc. civ. -il quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass., sez. un., 27433/2023; Cass., sez. un., 27195/2023; Cass., sez. un., 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso ; condanna la ricorrente al pagamento di € 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione