Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24400 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24400 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4956/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da se stesso e dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME
-controricorrente e ricorrente incidentale- avverso ORDINANZA di TRIBUNALE MILANO n. 40298/2018 depositata il 02/12/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.il Tribunale di Milano, con ordinanza n.6522 del 2020, accoglieva in parte l’opposizione proposta dalla BANCA DI CREDITO COOPERATIVO DI MILANO, RAGIONE_SOCIALE contro il decreto ingiuntivo emesso a favore dell’avv. COGNOME per crediti relativi a sei prestazioni professionali, cinque inerenti a giudizi civili e una (n.6), stragiudiziale afferente alla ‘procedura concorsuale del concordato preventivo di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione’.
La Banca opponente aveva allegato il perfezionamento, in data 11.4.2013 e in data 29.4.2015, di due convenzioni tariffarie che sostituivano ogni precedente accordo, disponendo, al punto 3.1 della prima convenzione, che ‘per le attività svolte in attuazione della Convenzione al legale sarebbero stati riconosciuti i compensi calcolati sulla base dei parametri riportati negli allegati’.
Nell’accordo del 29.4.2015 era previsto che la Banca ‘facendo seguito all’incontro del ( … ) è stato concordato l’ammontare residuo paria a €836.833,32 dei compensi spettanti all’avvocato NOME COGNOME per l’attività svolta fino al 30/6/2014 per le pratiche affidate dalla B.C.C. e che riguardano tutte le posizioni che non sono disciplinate dalla convenzione e di cui all’allegato elenco. Le parti reciprocamente stabiliscono le seguenti condizioni: la B.C.C. si impegna a pagare all’Avv. COGNOME, in tre anni, l’ammontare residuo dei compensi per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, indicati nell’elenco allegato e aggiornato al 30 marzo 2015, per un residuo di €599.828,22 ( … ). L’Avv. COGNOME si impegna ad effettuare una riduzione del 25% sull’ammontare indicato nell’elenco allegato per l’attività svota fino al 30/6/2014 … L’Avv. NOME COGNOME per l’attività svolta successivamente al 30/06/2014 si impegna ad applicare le tariffe di cui alla convenzione del 11/04/2013 con avvocati fiduciari della B.C.C. di RAGIONE_SOCIALE predisposta da RAGIONE_SOCIALE e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12/06/13′.
L’avv. COGNOME aveva eccepito di non aver sottoscritto alcun accordo sui compensi successivamente a quello concluso nel 16 dicembre 1996 secondo cui i compensi sarebbero stati calcolati secondo ‘le tariffe professionali dell’Ordine degli Avvocati e Procuratori’ e che, in ogni caso, la clausola delle convenzioni allegate da controparte violava l’art.13 bis della legge professionale forense, derogando all’equo compenso e ai parametri fissati dal D.M. n. 55/2014, e avrebbe dovuto essere pertanto ritenuta nulla.
Il Tribunale ha affermato che l’accordo del 2013 non era stato concluso in quanto l’avvocato, dopo aver ricevuto lo schema di convenzione tariffaria, aveva, con lettera del 12.6.2013, richiesto modifiche e che queste ultime erano state rifiutate dalla Banca, con comunicazione del 18.6.2013; che, in particolare, l’avvocato aveva chiesto, quale condizione per poter accettare la proposta della Banca, che l’operatività della convenzione riguardasse solo le nuove pratiche, esclusi gli incarichi precedenti, anche se le azioni giudiziali fossero avviate successivamente; che l’accordo del 2015 doveva essere interpretato nel senso che la previsione per cui la Banca avrebbe pagato € 599 .828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2013 si riferiva non alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo (e diverse da quelle oggetto del giudizio), come sostenuto dall’avvocato, ma a tutte le prestazioni svolte fino a quella data, come era dato desumere dal reiterato uso del termine ‘residuo’, dalla complessiva ‘finalità liquidatoria dell’accordo’, dalla previsione di ‘uno sbarramento temporale al 30.6.2014’ funzionale a ‘definire il pregresso e adottare poi un diverso criterio per disciplinare la liquidazione dei compensi per l’attività successiva’ e dal fatto stesso che l’accordo era stato ‘redatto’ dall’avvocato il quale, per un verso, essendo a conoscenza delle pratiche seguite fino al 30.6.2014, era in grado di stabilire ‘la quantificazione concordata del compenso’ e, per altro verso, non aveva fatto alcuna espressa ‘riserva’ per eccettuare
alcune di tali pratiche dall’accordo; che, pertanto, all’avvocato non spettava alcunché per le pratiche indicate nel decreto ingiuntivo con i nn.5 e 6 perché svolte prima del 30.6.2014; che per le pratiche svolte dopo il 30.6.2014 all’avvocato dovevano essere liquidati compensi secondo le tariffe della convenzione del 2013 richiamate nell’accordo del 2015; che l’eccezione di nullità delle pattuizioni tariffarie rispetto all’art. 13 bis della legge professionale forense era infondata trattandosi di disposizione non applicabile al caso di specie, ratione temporis; che, al contrario di quanto sostenuto dall’avvocato, non vi era alcuna decisione passata in giudicato che avesse riconosciuto il diritto dell’avvocato a percepire, per le prestazioni fino al 30/6/2014 compensi aggiuntivi rispetto alla somma di €599 .828,22; che, conclusivamente, per le pratiche di cui ai nn.1,2,3 e 4 spettavano all’avvocato €8 .743,00 oltre interessi ai sensi del d.lgs. 231/02 ‘dalla domanda al saldo’;
contro
l’ordinanza ricorrono l’avvocato COGNOME, in via principale e con quattordici motivi, e la Banca, in via incidentale e con tre motivi. L’avvocato ha depositato controricorso per resistere al ricorso incidentale;
le parti hanno depositato memoria;
considerato che:
1.in via preliminare deve essere dichiarata inammissibile l’eccezione di nullità del provvedimento impugnato, sollevata nella memoria dal ricorrente principale e motivata con il rilievo che la trattazione del procedimento, in contrasto con quanto dispone l’art. 14 del d. lgs. n. 150 del 2011, si è svolta interamente dinanzi al giudice relatore, mentre il collegio è intervenuto solo in sede decisoria.
La violazione delle disposizioni degli articoli 50 bis e 50 ter c.p.c. sulla composizione monocratica, o collegiale, del Tribunale chiamato a decidere secondo l’art. 50 quater c.p.c., non si considera attinente alla costituzione del giudice, ed alla relativa
nullità si applica l’art. 161 comma primo c.p.c., per cui può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole dell’appello, o del ricorso per cassazione, ed anche ove non si ritenga applicabile l’art. 50 quater c.p.c. perché nella specie la collegialità deriva dalla previsione speciale dell’art. 14 del D. Lgs. n. 150/2011 nel testo anteriore alla riforma del D. Lgs. 10.11.2022 n. 149, come modificato dalla L. 29.12.2022 n. 197, e non dall’art. 50 bis c.p.c., il vizio di costituzione del giudice ex art. 158 c.p.c., derivante dalla violazione dell’art. 276 c.p.c., correlato alla previsione del citato art. 14, determina comunque una nullità insanabile (vedi in tal senso Cass. 6.6.2016 n.11581), che in forza del rinvio dell’art. 158 c.p.c. all’art. 161 c.p.c., può essere però fatta valere solo nei limiti e secondo le regole proprie del ricorso in cassazione.
Nel caso di specie il vizio, non rilevabile d’ufficio, è stato fatto valere con memoria.
Le memorie consentite dall’art. 378 c.p.c. possono essere utilizzate tuttavia esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi già compiutamente svolti con il ricorso o per confutare le tesi avversarie, ma non per formulare nuove censure o per prospettare nuovi motivi di ricorso (Cass. n. 12477/2002; n. 9387/2003; n. 4020/2006);
2. con il primo motivo del ricorso principale si lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 28 della L. 794/1942, degli artt. 3 e 14 del d.lgs. 150/2011 e degli artt. 641, 645 e 702 bis e ss. c.p.c. Sostiene il ricorrente che l’opposizione doveva essere proposta con citazione, essendo azionati crediti per attività giudiziali e un credito per attività -indicata con n.6 nel ricorso monitorio- stragiudiziale e non connessa a quelle giudiziali, mentre la banca aveva introdotto la causa con ricorso notificato in data 23.10.2018, oltre il termine previsto dall’art. 645 c.p.c., di quaranta giorni dalla notifica dell’ingiunzione, avvenuta in data 20.7.2018. In particolare, il ricorrente sostiene che l’attività stragiudiziale era consistita nella
formulazione di un parere sulla possibilità della Banca di opporsi ad una decisione ‘del Concordato preventivo’ della srl COGNOME di ‘compensazione’ dei crediti della Banca con ‘importi’ ricevuti dalla Banca stessa ‘da pagatori della Zaina’.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale ha osservato che ‘con riferimento alla parcella sub n.6 del ricorso monitorio, l’attività per la quale l’avv. COGNOME chiede il compenso professionale si riferisce esclusivamente a quella resa in favore di RAGIONE_SOCIALE nella procedura concorsuale del concordato preventivo di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (cfr. docc. 32 e 68 monitorio) e non, come parrebbe ipotizzare l’opposto, a quella di recupero, nei confronti delle aziende clienti di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e in concordato preventivo, delle somme portate dalle fatture di quest’ultima, che la Banca aveva anticipato alla sua cliente’ e che ‘essendo il concordato preventivo una procedura concorsuale giudiziale, ne consegue il rigetto dell’eccezione di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo per erronea scelta del rito’.
L’osservazione è ineccepibile.
D’altronde, come è evidenziato nel controricorso (pagina 6), era stato l’avvocato a richiamare l’art. 3 del contratto di incarico del 1996 che regolava i compensi per le attività giudiziali civili, potendo l’opponente confidare nell’applicabilità del rito speciale sulla base delle stesse deduzioni di controparte e della qualificazione del titolo della pretesa (Cass. 10206/2001; Cass. 15720/2006; Cass. 8014/2009).
Va peraltro evidenziato che questa Corte ha già ritenuto ammissibile l’opposizione ex art. 645 c.p.c. per ipotesi non rientranti nelle ipotesi regolate dal citato art. 14, proposta con ricorso quando, come nel caso in esame, l’opponente abbia richiamato l’art. 702 bis c.p.c. e, dunque, le regole del processo
sommario disciplinato dal codice di rito (Cass. 34501/2022; Cass. 25543/2023);
3.con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132, 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che, con decreto ingiuntivo n.1395/2018, non opposto, e perciò passato in giudicato, il Tribunale di Monza aveva ritenuto ancora operante la convenzione tariffaria sottoscritta dalle parti nel 1996, di cui doveva farsi applicazione anche nella presente controversia.
Sono poi menzionati altri provvedimenti che avrebbero riconosciuto il diritto del legale al compenso stabilito secondo i parametri di cui al DM 55 del 2014. Tali provvedimenti sono al centro del terzo motivo di ricorso e se ne dirà in riferimento a questo.
Il motivo è infondato.
Il preteso giudicato esterno è insussistente.
Il decreto ingiuntivo n.1395/2018, come evidenziato sia dalla ordinanza impugnata sia dal ricorrente (v. ricorso pagina 28), non era stato opposto tempestivamente.
E’ allora sufficiente richiamare la sentenza di questa Corte n.12111 del 22/06/2020 che, con riferimento ad un credito periodico, ha enunciato il principio, valevole a maggiore ragione in caso di crediti relativi a rapporti distinti seppur legati a precedente convenzione, per cui ‘Il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento. Pertanto, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma – in mancanza di esplicita motivazione sulle
questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive’;
4.con il terzo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 132, 134 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. e 111 Cost. Si sostiene che, con ordinanze relative a decreti ingiuntivi ulteriori rispetto a quello n.1395/2018 (menzionato nel secondo motivo di ricorso), il Tribunale di Monza, senza distinguere tra prestazioni svolte prima e dopo il 30/6/2014, aveva liquidato compensi anche per attività antecedenti al 30/6/2014; che il Tribunale di Milano, con l’ordinanza impugnata, aveva errato nell’affermare che quelle ordinanze non erano definitive; che infatti tali ordinanze non erano state fatte oggetto di ricorso per cassazione dalla Banca con specifico riferimento ‘alla non estensibilità dell’accordo del 29.4.2015 a tutte le pratiche svolte ante 30/6/2014’; che, di conseguenza, sul punto della ‘non estensibilità dell’accordo’ si era formato il giudicato.
Il motivo è infondato.
Il ricorrente stesso ricorda che la questione della interpretazione della clausola dell’accordo del 2015 -secondo cui la Banca avrebbe pagato € 599.828,22 per le prestazioni svolte dall’avvocato fino al 30/6/2013- come clausola riferita alle sole prestazioni indicate nell’elenco allegato all’accordo o come clausola riferita a tutte le prestazioni svolte dall’avvocato fino a quella data (anche non incluse nell’elenco), non si era mai posta davanti al Tribunale di Monza. Come ricorda la Banca nel controricorso, il Tribunale di Monza aveva affermato che l’accordo tariffario era nullo per contrasto con la normativa sull’equo compenso e contro tale affermazione la Banca aveva proposto ricorso. In questo modo la Banca ha impedito il formarsi del giudicato. Il giudicato si determina infatti su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della
contro
versia, sicché l’impugnazione motivata anche soltanto con riguardo ad uno degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. 10760/2019);
5. con il quarto motivo di ricorso principale si lamenta la nullità dell’ordinanza per violazione dell’art.112 c.p.c. per avere il Tribunale di Milano, ‘al di fuori ed oltre quanto richiesto ed eccepito dalle parti’ (ricorso, pagg. 36 e 37), affermato che l’accordo del 29 aprile 2015 era omnicomprensivo e che, in forza di esso, per tutta l’attività svolta fino al 30 giugno 2014 doveva essere ritenuto satisfattivo il pagamento di € 599.828,22, malgrado che la Banca non avesse mai, né nel ricorso in opposizione né nelle conclusioni definitivamente rassegnate, dedotto quanto affermato dal Tribunale ma avesse dedotto che le parti, con l’accordo del 29 aprile 2015, avevano concordato ‘il pagamento dell’ammontare residuo dei compensi del legale per l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, compensi indicati in un elenco allegato all’accordo’ e che ‘nonostante al Banca avesse provveduto a pagare l’elevato importo di cui all’accordo -importo che peraltro potrebbe comprendere anche compensi oggetto del ricorso monitorio di cui si discute-, l’Avvocato COGNOME offriva una interpretazione unilaterale di questo ultimo accordo’.
Il motivo è inammissibile.
Il vizio di extra petizione ricorre soltanto quando il giudice abbia pronunciato oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo ad una di esse un bene della vita non richiesto (o diverso da quello domandato), mentre spetta al giudice di merito il compito di definire e qualificare, entro detti
limiti, la domanda proposta dalla parte. (Cass. n. 12471/2011). Per causa petendi idonea a identificare la domanda della parte devono intendersi, non le ragioni giuridiche addotte a fondamento della pretesa avanzata in giudizio, bensì l’insieme delle circostanze di fatto poste a base di questa (Cass. n. 9176/1997). Consegue che l’interpretazione delle scritture negoziali data dalla Banca a sostegno della propria pretesa non vale di per sé a identificare i limiti di questa, e non può costituire parametro alla cui stregua valutare la novità della domanda o il rispetto da parte del giudice del principio della necessaria corrispondenza della pronunzia alla richiesta;
6. con il quinto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss., c.c. e degli artt. 132 c.p.c. e 118 dip. att. c.p.c. e 111 Cost. Si deduce che il Tribunale ha interpretato illogicamente l’accordo del 2015 affermando che esso riguardava tutte le pratiche svolte fino al 2014 e non solo quelle indicate nell’elenco allegato.
7. con il sesto motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 1362 e ss. c.c. e 115 c.p.c. Si deduce che la motivazione resa dal Tribunale basata sulla pretesa sussistenza di indici in forza dei quali ritenere l’applicabilità dell’accordo 29.04.15 a tutte le pratiche, si rivela del tutto fallace sul piano giuridico ed errata per tutti gli elementi probatori enucleati. Si deduce, in particolare, che, visto che l’accordo prevedeva l’impegno da parte del ricorrente ad applicare per l’attività successiva al 30/6/2014, le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A. ‘e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013’, il Tribunale avrebbe dovuto ritenere operative tutte le modifiche e integrazioni senza escludere quella di cui al punto 5.2 della lettera.
I motivi quinto e sesto sono strettamente connessi e possono essere esaminati assieme.
I motivi sono inammissibili.
Come questa Corte ha in molte occasioni precisato, in tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata (Cass. 22 giugno 2017, n. 15471), poiché, in caso contrario, la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si sostanzia nella proposta di un’interpretazione diversa. La censura, in altre parole, non può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione. Né l’interpretazione data dal giudice al contratto deve necessariamente essere l’unica interpretazione possibile e neppure la migliore in astratto essendo sufficiente che sia una delle possibili e plausibili interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni (plausibili), non è consentito -alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr., tra molte, Cass. 2 maggio 2006, n. 10131; ancora, fra le altre, Cass. 20 maggio 2020, n. 9291; Cass. 8 gennaio 2020, n. 121; Cass. 17 marzo 2014, n. 6125; Cass. 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. 3 settembre 2010, n. 19044; Cass. 20 novembre 2009, n. 24539; Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3644).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata non ha violato le già menzionate regole ermeneutiche né i ricordato principî di diritto.
La Corte territoriale, dopo avere richiamato la finalità (‘liquidatoria’) dell’accordo e le condizioni essenziali del medesimo, ha posto in luce che le parti avevano operato una netta separazione (‘uno sbarramento temporale’) fra l’attività svolta fino al 30 giugno 2014, per la quale era stato convenuto l’ammontare residuo del compensi spettanti, pari a €836.833,32, sul quale il professionista si impegnava ad effettuare ‘all’atto della fatturazione’ una riduzione del 25%’, e l’attività successiva al 30 giugno 2014. Con riferimento a tale attività successiva l’avv. COGNOME si impegnava ad applicare le tariffe di cui alla convenzione dell’11 aprile 2013 predisposta dalla B.C.C. Gestione Crediti S.p.A., ‘e ferme restando le modifiche e le integrazioni contenute nella lettera del 12 giugno 2013’.
Il Tribunale ha osservato che le suddette ‘modifiche e integrazioni’ dovevano essere indentificate con quelle relative alla tariffazione, essendo invece esclusa quella, contenuta al punto 5.2. della lettera ma non accettata dalla Banca e incompatibile con il riferimento contenuto nell’accordo alla separazione netta tra attività ‘resa’ prima e attività ‘resa’ dopo il 30/6/2014, secondo cui la convenzione avrebbe dovuto applicarsi solo per le pratiche affidate dopo tale data e non a quelle precedenti e ciò anche se le azioni giudiziarie fossero avviate successivamente- Il Tribunale ha quindi concluso che, quanto all’attività giudiziale successiva al 30 giugno 2014, l’accordo vincolava l’avv. COGNOME alle tariffe del compenso allegato 1 della convenzione mentre, quanto all’attività precedente, era chiara intenzione delle parti di liquidare il compenso omnicomprensivo di €599.828,22. Il Tribunale ha ancora aggiunto che il proprio convincimento era rafforzato dal fatto che il testo dell’accordo era stato a predisposto unilateralmente dall’avv. COGNOME il quale era ben al corrente delle pratiche seguite per
conto della Banca sino al 30 giugno 2014, aggiornate peraltro al 30 marzo 2015, ed era certamente in grado di valutare l’attività svolta ai fini dell’accordo sulla liquidazione del compenso.
Rispetto a tale esegesi, il ricorrente, nella sostanza, si limita a rivendicare un’alternativa interpretazione plausibile più favorevole.
L’ordinanza non è affetta da alcun vizio motivazionale.
È noto che, in applicazione l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n.134 del 2012, è esclusa la sindacabilità, in sede di legittimità, della correttezza logica della motivazione in riferimento alla idoneità probatoria di determinate risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; onde la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto
di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., sez. un, n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).
Nel caso in esame, nessuna anomalia motivazionale, nel senso sopra indicato, inficia l’ordinanza. Il ricorrente, sotto la formale rubrica di vizio motivazionale, propone riflessioni critiche involgenti il complessivo accertamento fattuale operato dal giudice del merito e di cui è chiesta una rivalutazione. Ciò non è ammesso nel giudizio di legittimità non potendosi questo giudizio trasformare in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito (fra le tante, Cass. n. 21381 del 2006, Cass. n. 8758 del 2017, Cass., sez. un., n. 34476 del 2019);
8. con il settimo e l’ottavo motivo -che il ricorrente propone assieme- si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt.2233 c.c. e del d.m. 55/2014 e del d.m.127 del 2004, dell’art. 13 bis della legge professionale forense e degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione nonché la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., degli artt. 112 c.p.c. e 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe errato a ritenere l’art. 13 bis della legge professionale forense non applicabile al caso di specie.
Il motivo è infondato.
Il Tribunale, per le prestazioni di cui ai nn.1, 2, 3 e 4 del ricorso monitorio, ha calcolato i compensi sulle base delle tariffe dell’accordo del 2013 (accordo, come osservato dal Tribunale, non concluso ma per la parte inerente le tariffe, reso effettivo in forza del richiamo fattovi da parte dell’accordo del 2015 per le prestazioni rese successivamente al 30/6/2014). Ha evidenziato che tutte le prestazioni si erano concluse a seguito della rinuncia dell’avvocato COGNOME a tutti gli incarichi in data 16 novembre 2017, ossia prima dell’entrata in vigore dell’art. 13 bis cit. avvenuta il 6 dicembre 2017, ha ritenuto la disposizione non retroattiva e quindi inapplicabile alla fattispecie.
L’ordinanza è ineccepibile.
È sufficiente richiamare quanto questa Corte ha già precisato, con ordinanza n.7354 del 19/03/2025, in altra controversia tra le parti: ‘In tema di onorari professionali, l’art. 13 bis della l. n. 247 del 2012, vigente ratione temporis (introdotto dall’art. 19 quaterdecies del d.l. n. 148 del 2017, conv. con modif. dalla l. n. 172 del 2017, con effetti dall’1.1.2018), relativo al cd. equo compenso dell’avvocato, non ha natura interpretativa e valore retroattivo, per cui non è applicabile ai rapporti professionali ormai cessati e alle prestazioni già espletate anteriormente alla sua entrata in vigore’. Infine, è palesemente insussistente la violazione dell’art. 112 c.p.c., in presenza di pronunzia esplicita di rigetto della domanda formulata ai sensi dell’art. 2233, comma 2, c.c.
9. con il nono motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione ‘di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c.’, omessa motivazione ex art. 360, comma primo, n. 5, in relazione all’art. 2697 cc. e 112 c.p.c. e all’art. 2233 c.c. Si deduce che il Tribunale ha negato i compensi per le attività di cui ai nn. 5 e 6 del ricorso monitorio, sulla base della interpretazione dell’accordo già criticata con il quinto motivo di ricorso, pur avendo ‘il ricorrente affermato di nulla avere mai percepito e nulla avendo prodotto la banca a sostegno di tale ritenuto pagamento’.
Il motivo è inammissibile perché non tiene conto della ratio della decisione impugnata.
La ratio non è quella dell’avvenuto o non avvenuto rispetto dell’accordo ma quella per cui nessuna pretesa ulteriore poteva essere avanzata dal ricorrente per l’intera attività svolta fino al 30 giugno 2014 in quanto questa trovava il proprio corrispettivo nella somma €599828,22 -pattuita nell’accordo. La dedotta carenza di prova dell’avvenuto rispetto dell’accordo era irrilevante nell’economia della decisione posto che il ricorrente non ha agito per l’adempimento dell’accordo ma ha preteso un compenso per
attività da lui ritenute non coperte dall’accordo e ritenute invece dal Tribunale coperte dall’accordo in forza della ricordata esegesi dell’accordo stesso;
10. con il decimo motivo si lamenta ‘violazione e/o falsa applicazione e omessa e/o insufficiente motivazione in relazione agli artt. 2233 e 2234 c.c., 1362, 1372 e 12374 c.c.; 24, 35 e 36 Cost., 2697 c.c. e art. 112 e 115 c.p.c., del d.l.n.1/2012 e dell’art. 24 della L.794 del 1942’.
Sotto questa rubrica si deduce che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere, quanto alle pratiche di cui ai nn. 5 e 6 del ricorso per decreto ingiuntivo, valido l’accordo del 29 aprile 2015 malgrado che tali pratiche si fossero esaurite nel 2007 e ‘tra il 2006 ed il 2010’, vigente il principio di inderogabilità dei minimi tariffari stabilito dall’art.24 della l.794 del 1942.
Il motivo è inammissibile.
Va preliminarmente rilevato che, solo per le prestazioni professionali rese in epoca anteriore all’ entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006 (c.d. “decreto Bersani”), convertito con la legge n. 248 del 2006, il cui articolo 2, primo comma, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, vale il disposto dell’articolo 24 della legge 13 giungo 1942 n. 794, avendo questa Corte già avuto modo di chiarire, con la sentenza n. 9878/2008, che l’articolo 2, comma 1, del decreto legge n. 223 del 2006, convertito con la legge n. 248 del 2006, ha abrogato le disposizioni legislative e regolamentari che prevedevano la fissazione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali «dalla data di entrata in vigore» della legge stessa, con la conseguenza che quelle disposizioni conservano piena efficacia solo in relazione a fatti verificatisi prima di tale data.
Deve, in secondo luogo, osservarsi che il diritto dell’avvocato al compenso in misura non inferiore ai minimi tariffari è un diritto disponibile e, pertanto, può costituire oggetto di valida rinuncia sia successiva che preventiva all’insorgere del diritto al compenso (Cass. n. 1680/83; Cass. 8539/18) e che, nel caso di specie, il Tribunale ha accertato che, per le attività anteriori al 30/6/2014, le parti avevano raggiunto un accordo in ordine alla misura del compenso dovuto, sul testo predisposto unilateralmente dall’avv. COGNOME;
11. con l’undicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1362, 1372, 2233 c.c. e 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale per le pratiche di cui ai n.1,2,3 e 4 avrebbe non integralmente rispettato la convenzione tariffaria del 2013 richiamata dall’accordo del 2015 con le ‘modifiche ed integrazioni contenute nella lettera del 12.6.2013’. Si deduce in particolare che, con l’accordo del 2015 integrato dalla lettera suddetta, le parti avrebbero concordato che al ricorrente spettavano i compensi liquidati dall’autorità giudiziaria nei vari giudizi e procedure, indipendentemente dall’effettivo recupero dei crediti della Banca.
Il motivo è inammissibile.
Nella ordinanza (pagine 9 e 10) si dà conto delle specifiche condizioni della lettera del 12 giugno 2013 rese applicabili.
Il tribunale, nell’esame delle singole posizioni, ha riconosciuto che la pretesa del professionista alla liquidazione di maggiori compensi non fosse solo legata alla liquidazione maggiore operata dall’autorità giudiziaria, ma all’effettiva riscossione.
Così identificato il significato della pronunzia, è chiaro che la censura pone una questione interpretativa. In questo senso, le doglianze del ricorrente si sostanziano nel prospettare una valutazione alternativa degli stessi elementi esaminati dal giudice di merito, che si è rettamente avvalso, innanzitutto, del criterio
della interpretazione letterale complessiva della clausola in esame, pervenendo, con motivazione congrua e coerente, ad una conclusione che appare plausibile. Invero, la tesi del Tribunale, secondo cui il riconoscimento dei maggiori compensi liquidati dall’autorità giudiziaria non dipendeva dalla mera esistenza di una liquidazione maggiore rispetto a quella prevista dalla convenzione, ma dall’effettiva riscossione dell’importo da parte della banca cliente, appare tutt’altro che impossibile, o implausibile, in rapporto all’evidente coordinamento ravvisabile fra due previsioni: intanto il legale avrebbe potuto pretendere maggiori compensi in quanto il vantaggio della banca, derivante dalla maggiore liquidazione, non fosse rimasto sulla ‘carta’, ma fosse stato effettivamente conseguito.
12.con il dodicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2233, 2234, 1364, 1372, 1374 c.c. e 24,35 e 36 Cost. e 2697 c.c. e 112 e 115 c.p.c. per non avere il Tribunale riconosciuto, in relazione alle pratiche di cui ai n.1, 3 e 4 compensi per precetto e per transazioni, per l’opera prestata per la conciliazione e per gli annotamenti di cancellazione di pignoramenti, così non rispettando la convenzione tariffaria del 2013 che non escludeva compensi per dette attività.
Il motivo è inammissibile.
Il Tribunale ha specificato che niente poteva essere preteso dal ricorrente per gli atti di precetto in quanto, in base alla convenzione, il compenso per gli atti di precetto era già incluso ‘negli importi per la procedura esecutiva e poteva esser riconosciuto autonomamente solo nell’ipotesi’ -non verificatasi’in cui l’attività giudiziale si fosse conclusa prima dell’avvio della fase esecutiva’. Il Tribunale ha logicamente escluso i compensi per le altre attività, accessorie e strumentali, rispetto a quella ricompensate, in quanto non previste da ‘voce tariffaria autonoma’.
Rispetto a questa affermazione il motivo torna a prospettare una interpretazione dell’accordo tariffario contrapposta a quella datane, motivatamente, dal Tribunale ed è inammissibile per la già ricordata incensurabilità in Cassazione degli esiti interpretativi raggiunti dal giudice di merito;
13. con il tredicesimo motivo si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233 e 2234 c.c., dell’art. 2 del d.m. 55/2014 e dell’art. 112 c.p.c. per avere il Tribunale negato il rimborso delle spese generali, perché non comprese nella convenzione del 2013, in tal modo violando l’art. 2 del D.M. 55/2014, secondo il quale tale rifusione, ulteriore rispetto al compenso e al rimborso delle singole opere, è dovuta al professionista anche nelle ipotesi di determinazione contrattuale del compenso.
Il motivo è fondato.
Il Tribunale ha ritenuto perfezionato tra le parti l’accordo liquidatorio del 29.4.2015 (pur facente rinvio alla convenzione del 2013 come integrata dalla lettera dell’avv. COGNOME del 12.6.2013) e non la convenzione dell’11.4.2013. Quando è stato sottoscritto l’accordo liquidatorio del 29.4.2015, posto a base delle prestazioni liquidate, era già entrato in vigore il D.M. n. 55/2014, che all’art. 2 prevedeva l’obbligatorietà del rimborso spese generali del 15% anche in caso di determinazione contrattuale del compenso. Ne deriva che tale motivo va accolto (v. sul punto, Cass. 12905/2025, tra le stesse parti) e che al ricorrente devono essere riconosciute le spese generali nella misura indicata;
14.con il quattordicesimo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., degli artt.2233, 2234, c.c., degli artt. 24, 35 e 36 della Costituzione e degli artt. 112 e 115 c.p.c. Si deduce che il Tribunale avrebbe liquidato i compensi in misura simbolica e non consona
rispetto al valore e al pregio dell’attività prestata e inferiore ai minimi di cui al d.m.55/2014.
Il motivo è inammissibile in quanto generico;
15.con il primo motivo di ricorso incidentale si lamenta violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost. e 1175 e 1375 c.c. per avere il Tribunale erroneamente rigettato l’eccezione sollevata dalla Banca di improponibilità o improcedibilità della domanda avanzata dall’avvocato per illegittimo frazionamento del credito.
La Banca deduce di essere stata obbligata a difendersi in 25 procedimenti monitori iniziati dall’avvocato, che i procedimenti erano stati avviati dall’avvocato a seguito della comunicazione inviata dallo stesso avvocato alla Banca il 16 novembre 2017 di rinuncia a tutti i mandati, che l’avvocato aveva gli elementi per far valere le proprie pretese unitariamente, che i crediti, sebbene rinvenienti da mandati professionali distinti, tuttavia avrebbero potuto e dovuto essere fatti valere unitariamente perché tutti verso la Banca e tutti relativi a pratiche omogenee di recupero di crediti vantati dalla Banca verso i clienti, che l’avvocato non aveva in alcun modo prospettato esigenze tali da giustificare il frazionamento delle iniziative giudiziali; che la motivazione data dal Tribunale -essere i crediti relativi a prestazioni eseguite in base ad incarichi distintinon era in linea con la giurisprudenza di legittimità secondo cui occorre avere riguardo, ai fini del frazionamento, all’unicità del rapporto nel quale i distinti crediti erano inseriti.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha affermato che non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un “unico rapporto obbligatorio”, proporre plurime richieste giudiziali di adempimento (Cass. S.U. 23726/2007; Cass. 19898/2018; Cass. 15398/2019; Cass. 26089/2019; Cass. 9398/2017; Cass. 17019/2018) e che anche le domande aventi ad oggetto distinti
diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, devono esser proposte nel medesimo giudizio se le pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, salvo che risulti, in capo al creditore, un interesse, oggettivamente valutabile, alla tutela processuale frazionata (Cass. S.U. 4090/2017; Cass. 31012/2017; Cass. 17893/2018; Cass. 6591/ 2019). È dunque ammissibile il frazionamento ove sia riscontrabile un interesse processuale del creditore a proporre separati giudizi, interesse la cui verifica compete al giudice di merito (Cass. 24371/2021; Cass. 24721/2023; Cass. 24657/2023).
Il quadro non risulta modificato dalla sentenza delle sezioni unite di questa Corte n. 7299 del 19.3.2025, nelle more sopravvenuta, chiamata a deliberare sulle diverse conseguenze riconducibili all’illegittimo frazionamento del credito (inammissibilità, o improponibilità della domanda; conseguenze sul piano delle spese processuali e della responsabilità ex art. 96 c.p.c.), che ha ribadito che ‘le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, anche se relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, e che tuttavia, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. n. 6591/ 2019; Cass. n.17893/2018;
Cass. n. 31012/2017; Cass. sez. un. 4090/2017). Questa Corte, su fattispecie identica tra le stesse parti, ha affermato che da quanto precede ‘ deriva che, poiché nel caso in esame il Tribunale di Milano ha accertato l’esistenza di distinti crediti professionali rispetto a quelli separatamente azionati dall’avvocato NOME COGNOME ancorché basati su una medesima convenzione tariffaria dei compensi con la B.C.C., non riconducibili ad un rapporto obbligatorio unico e non inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, né fondati sul medesimo fatto costitutivo, il provvedimento impugnato non era tenuto a motivare in ordine alla sussistenza in capo al creditore di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata, ben potendo il professionista legittimamente agire per il recupero di crediti relativi a distinti clienti della banca’ (Cass. 12905/2025, cit.);
16. con il secondo motivo di ricorso incidentale si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n.3. c.p.c., violazione o falsa applicazione degli artt. 1326 c.c. e 115 c.p.c. per aver il Tribunale affermato che l’accordo stipulato nel 2013 era divenuto vincolante solo con la sottoscrizione dell’accordo del 29.4.2015 e solo nella parte in cui conteneva la regolazione tariffaria, laddove invece avrebbe dovuto affermarsi che l’accordo del 2013 era stato validamene concluso ed era efficace in toto come risultante dal fatto che l’avvocato COGNOME aveva emesso alcune fatture conformi a quanto previsto dall’accordo stesso in relazione a prestazioni anche ‘anteriori al 29 aprile 2015’.
Il motivo è inammissibile in quanto l’emissione delle dedotte fatture non incide sull’accertamento del Tribunale -basato sulla documentazione richiamata nell’ordinanza e segnatamente sulle lettere del ricorrente del 13 e del 12 giugno 2013 e sulla comunicazione della Banca dell’8 luglio 2013 -per cui la controproposta dell’avvocato COGNOME alla proposta di convenzione
del 2013 inviata dalla Banca non era stata da questa accettata con la conseguenza che l’accordo non si era concluso;
17. con il terzo motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione degli artt. 1224 e 1284 c.c., e dell’art. 4 del d.lgs. 231 del 2002, per aver il Tribunale fatto decorrere gli interessi dalla domanda e non dalla pronuncia, pur essendo il credito ancora illiquido alla data del deposito del ricorso monitorio.
Il motivo è infondato.
La Corte ha statuito (con la già citata sentenza, tra le odierne parti, n. Cass. 12905 del 2025 cit.) che, nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, ‘gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ., competono a far data dalla messa in mora, coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento, e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui al D. Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore, in quanto il nostro ordinamento non ha recepito il principio romanistico in illiquidis non fit mora (Cass. ord. 10.10.2022 n. 29351; Cass. 19.8.2022 n. 24973; Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611). Ancorché poi non possa trovare applicazione la disposizione del D.M. n. 238/1992, che prevedeva la spettanza degli interessi ex D. Lgs. n. 231/2002 e della rivalutazione monetaria dalla scadenza del termine di tre mesi dall’invio della parcella da parte del professionista, trattandosi di norma regolamentare non abilitata a modificare la disciplina codicistica dell’art. 1224 cod. civ.’, nel caso in esame -come anche quello che occupa- in cui il decreto ingiuntivo opposto è stato notificato dopo la data di entrata in vigore del d.l.132/2014, doveva trovare applicazione l’art. 1224
comma 4° cod. civ., introdotto dallo stesso d.l. n.132/2014, convertito nella L.n.162/2014, che dispone che, in assenza di predeterminazione delle parti, gli interessi dovuti a far data dalla domanda giudiziale siano quelli previsti dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento delle transazioni commerciali (ossia dal D. Lgs. n. 231/2002), manifestando in tal modo il chiaro intento di contrastare, anche con la maggiorazione degli interessi di mora, pratiche dilatorie ovvero ostruzionistiche del debitore, e volendo in ogni caso assicurare che la durata del processo non possa andare a danno del creditore, principio questo già ritenuto applicabile anche ai compensi degli avvocati (Cass. ord. 16.3.2022 n. 8611)’. Ne deriva che l’ordinanza impugnata, che ha riconosciuto gli interessi ex d.lgs. n. 231/2002, a decorrere dalla data della domanda giudiziale, si sottrae alla censura;
18. in conclusione, il tredicesimo motivo del ricorso principale deve essere accolto, ogni altro motivo sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale deve essere rigettato, l’ordinanza impugnata deve essere cassata in riferimento al motivo accolto e, non essendovi necessità di accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito (art. 384 c.p.c.) con il riconoscimento al ricorrente principale del diritto al rimborso delle spese generali nella misura del 15% sui compensi liquidati;
19. le spese del giudizio sono compensate per intero, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., stante la marginalità del motivo accolto rispetto all’insieme delle questioni sollevate e la soccombenza reciproca sulle restanti questioni dedotte con i contrapposti ricorsi.
PQM
la Corte accoglie il tredicesimo motivo del ricorso principale, rigetta tutti i restanti motivi dello stesso ricorso, rigetta il ricorso incidentale, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, riconosce al ricorrente principale il
diritto al rimborso delle spese generali nella misura del 15% sui compensi liquidati; compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.