Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 22173 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 22173 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 06/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 7385 -2020 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO dal quale è rappresentata e difesa con l’AVV_NOTAIO e con l’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, giusta procura in calce al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza collegiale del TRIBUNALE di MILANO, resa nella causa iscritta al n. R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO, pubblicata il 10/12/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/2/2024 dal consigliere COGNOME;
letta la memoria della ricorrente.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., depositato il 18/06/2019 al Tribunale di Milano, l’avvocato AVV_NOTAIO chiese la condanna di NOME COGNOME al pagamento, in suo favore, di E uro 21.756,05 a titolo di compensi per l’attività di difesa svolta per lei in una causa di dichiarazione giudiziale di paternità da lei instaurata, conclusasi con l’accoglimento della domanda.
NOME COGNOME rappresentò di aver già corrisposto acconti complessivamente superiori al compenso complessivamente spettante alla professionista per l’attività svolta.
Con ordinanza collegiale del 10/12/2019, il Tribunale di Milano rideterminò il compenso complessivo spettante all’AVV_NOTAIO nella somma di Euro 8.969,21, in applicazione dei parametri medi (ad eccezione della fase istruttoria in cui riportò di aver applicato i minimi), previsti per le cause di valore indeterminabile e media complessità (cioè, ex art. 5 comma 6 del d.m. 55/2014, lo scaglione relativo alle cause di valore compreso tra Euro 26.000 ed Euro 260.000); accertato, quindi, che COGNOME avev a già versato alla ricorrente l’importo di Euro 11.020,27, rigettò la domanda.
Avverso questa ordinanza l’AVV_NOTAIO ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, illustrati da successiva memoria; NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, articolato, per un primo profilo, in riferimento al n. 5 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., l’AVV_NOTAIO ha prospettato la violazione degli artt. 4, 5 e 11 del d.m. 55/2014, in riferimento all’art. 13 comma 6 della legge n. 247 del 2012, per avere il Tribunale omesso di considerare fatti e circostanze (le trasferte fuori sede, il pregio dell’attività prestata, l’importanza della questione trattata, i risultati conseguiti, la qualità e la mole della corrispondenza intervenuta, l’attività nella fase preparatoria) che sarebbero stati decisivi ad individuare la complessità della causa e per stabilire i parametri di liquidazione utilizzabili.
1.2. Con un secondo profilo, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha prospettato, sempre in riferimento agli elementi di fatto suindicati, la violazione dei parametri di cui al d.m. 55/2014 per avere il Tribunale erroneamente qualificato come «media» e non «elevata» la complessità della causa.
Il motivo è infondato in entrambi i profili, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione.
É vero, infatti, che nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito, sicché il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo
della prestazione espletata (Cass. Sez. 2, n. 18507 del 12/07/2018; Sez. 2, n. 28885 del 18/10/2023).
È vero altresì, tuttavia, che la valutazione della complessità della causa, salvo il rispetto dei parametri minimi e massimi, si risolve in un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1, n. 4782 del 24/02/2020; Sez. 3, n. 6110 del 04/03/2021 sulla liquidazione delle spese di giudizio).
In particolare, l’art. 4 del d.m. 55/2014, al comma 1, prevede proprio che, ai fini della liquidazione del compenso, si tenga conto -tra l’altro – delle caratteristiche, e del pregio dell’attività prestata, della difficoltà dell’affare, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
Nella sua censura, invero, la ricorrente ha evidenziato più elementi che non sarebbero stati considerati dal Tribunale ma che, tuttavia, non risultano decisivi a fronte della chiara e dettagliata motivazione offerta nel provvedimento impugnato alle pagine 3 e 4 per fondare il giudizio di media complessità della causa: il Tribunale, infatti, ha evidenziato a tal fine la sostanziale adesione di pubblico ministero ed eredi controparti alla domanda, la sostanziale assenza di difesa di questi ultimi, la superfluità di alcune attività difensive svolte inutilmente dall’avvocato a fronte dell’altrui adesione alla domanda . La selezione di questi elementi è ragionevole e conforme alle indicazioni del decreto.
Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la ricorrente ha lamentato la violazione del d.m. 55/2014 per avere il Tribunale liquidato, per la fase istruttoria, importi inferiori a quelli minimi previsti per le cause di valore indeterminabile e di bassa complessità; tanto si evincerebbe da un
programma di calcolo i cui risultati sono stati riportati nell’argomentazione della censura.
Il motivo è infondato. Innanzitutto, giova puntualizzare che l’art. 5 d.m. 55/2014 laddove prevede, al comma 6 che le cause di valore indeterminabile si considerano «di regola e a questi fini di valore non inferiore a Euro 26.000,00 e non superiore a Euro 260.000,00, tenuto conto dell’oggetto e della complessità della controversia», deve essere interpretato, secondo la sua chiara formulazione, nel senso che il limite inferiore di Euro 26.000 non costituisce una soglia passibile soltanto di eventuali correzioni migliorative per il difensore (nel senso che il valore minimo resterebbe in ogni caso fissato in Euro 26.000,00) ma rappresenta , come indica letteralmente l’inciso «di regola», il limite inferiore cui il giudice deve in genere attenersi, ad eccezione dei casi in cui sussistano particolarità della singola lite che rendano giustificato il ricorso ad uno scaglione più basso, in rapporto alle peculiarità della controversia (così Cass. Sez. 6 – 2, n. 968 del 13/01/2022, con indicazione di numerosi precedenti).
Ciò precisato, deve in ogni caso considerarsi che, nella specie, è stato riconosciuto, per la fase istruttoria, un compenso superiore ai minimi previsti per le cause di valore compreso tra Euro 26.000 ed Euro 52.000.
Sul punto, questa Corte ha già chiarito che la facoltà, riconosciuta al giudice dall’art. 4 comma 1 del d.m. 55/2014, di apportare alla liquidazione della fase istruttoria «una diminuzione di regola fino al 70%» , dev’essere intesa nel senso che la diminuzione applicabile sul valore medio può essere determinata in una misura non superiore al 70% di quest’ultimo e, dunque, nel senso che l’importo minimo liquidabile corrisponde al 30% del valore medio (Cass. Sez. 6 – 2, n. 23798 del 24/09/2019).
Nella specie, dunque, il parametro medio dello scaglione delle cause di valore non inferiore a Euro 26.000 per la fase istruttoria è, pari ad Euro 1.720,00 e sono stati attribuiti, per la fase istruttoria, Euro 1.068,00, cioè un importo pari al 62% del suddetto valore medio e maggiore, perciò, del 30% astrattamente liquidabile.
I risultati offerti in ricorso per argomentare l’asserita violazione dei minimi si fondano su parametri predeterminati da un programma di calcolo che, seppure certamente utile, deve essere comunque confrontato, nei risultati, con le previsioni degli art. 4 e 5 del d.m. 55/2014 e della discrezionalità riservata al Giudice di quantificare i compensi tra i limiti e i massimi: questa discrezionalità, peraltro, nel provvedimento in esame, è stata sostenuta da un’ adeguata motivazione.
Il ricorso è perciò, respinto, con conseguente condanna del l’AVV_NOTAIO al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda