Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 831 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 831 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18233-2022 r.g. proposto da:
Avv. prof. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso per delega in calce al presente atto dall’avv. NOME COGNOME (C.F. CODICE_FISCALE) del Foro di Roma, ed elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
Fallimento della soc. RAGIONE_SOCIALE (C.F. 00162440028), in persona del curatore dott.ssa NOME COGNOME
-intimata –
avverso la ordinanza resa inter partes dal Tribunale di Biella, in data 4/12 maggio 2022, n. 1834/2022, comunicata in data 12 maggio 2022; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/12/2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con reclamo depositato in data 18.03.2022 l’avv. COGNOME nella qualità di difensore del FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE nei tre giudizi di opposizione allo stato passivo instaurati, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE adiva il Tribunale di Biella, chiedendo la riforma del decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 08.03.2022 dal giudice delegato del predetto Fallimento e, per l’effetto, la liquidazione delle proprie spettante in conseguenza alla propria richiesta.
2. Il Tribunale di Biella, nella contumacia dell’intimato fallimento, ha tuttavia rigettato il reclamo, osservando che: (i) la quantificazione del compenso fissata dal decreto reclamato risultava congrua, ponendosi la stessa in linea con i compensi medi dovuti agli avvocati, ai sensi del D.M. 55/2014, e ciò, a fortiori, ‘sia in considerazione della configurabilità dell’obbligazione gravante sull’avvocato quale obbligazione di mezzi e non di risultato’, sia in considerazione del difetto, nella vicenda in esame, di qualsivoglia preventivo accettato e recante, come tale, la prova di una diversa previsione tra le parti, in punto maggiorazione dei compensi del legale, in caso di esito vittorioso della lite; (ii) sebbene fosse condivisibile , in astratto, l’argomentazione difensiva del reclamante -secondo la quale ‘un conto’ sarebbe ‘ infatti la liquidazione delle spese giudiziali a carico del soccombente, un altro conto la liquidazione del compenso a favore del difensore’ (cfr. pag. 6 del reclamo), la detta argomentazione risultava, nella fattispecie, peraltro inconferente, avendo il giudice delegato opportunamente provveduto all’applicazione dei compensi ‘medi’ in favore dell’avvocato, pur mediante la tecnica del rinvio per relationem ad altro provvedimento da intendersi limitato ai soli fini di quantificazione delle spettanze; (iii) in ordine, poi, al mancato incremento dei compensi in ragione del numero delle parti, ai sensi dell’art. 4, 2° c. del D.M. 55/2014, tale aumento poteva essere disposto ‘quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale’, presupposto non integrato nella vicenda in parola, in quanto l’avv. COGNOME risultava aver assistito il sopraindicato Fallimento nell’ambito di tre diversi giudizi di opposizione con differente numero di registro, per cui
l’attività espletata dal professionista risultava aver trovato adeguato compenso satisfattivo nella liquidazione delle competenze disposta dal giudice delegato con riguardo a ciascuno dei predetti procedimenti; (iv) in ordine, poi, alla mancata liquidazione della fase di trattazione della causa, ai sensi dell’art. 4, 5° c. lett. c), ‘la fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta’, norma che, al fine di evitare effetti speculativi, postula un’attività giuridicamente apprezzabile, presupposto non integrato nella fattispecie, atteso che le parti alle udienze di cui ai verbali risultavano essersi limitate alla richiesta di termini per memorie, non avendo, dunque , posto in essere alcuna attività ‘diretta alla precisazione dei termini della controversia’, adempimento onerato successivamente mediante il deposito di note conclusive nell’ambito della fase decisionale, i cui compensi risultavano tuttavia liquidati dal giudice delegato; (v) per quanto riguardava l’erronea indicazio ne da parte del giudice delegato dello scaglione di valore relativo alla causa RG. 415/2021, detta difesa risultava priva di fondamento, atteso che l’atto di opposizione, introduttivo della controversia, reca va l’importo pari a € 955.542,32, per cui lo scaglione di riferimento doveva essere quello compreso tra € 520.001,00 ed € 1.000.000,00, come correttamente applicato nel decreto reclamato, con assorbimento di qualsivoglia altra questione sollevata da parte reclamante.
Sulla base delle predette argomentazioni il Tribunale ha dunque rigettato il reclamo e, per l’effetto, confermato il decreto di liquidazione dei compensi emesso in data 08.03.2022 e ha ‘condannato’ altresì il reclamante al versamento dell’ulteriore importo pari a quello pagato a titolo di contributo unificato per l’iscrizione a ruolo del presente p rocedimento di reclamo.
Il decreto, pubblicato il 12 maggio 2022, è stato impugnato da ll’Avv. NOME COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.
Il fallimento, intimato, non ha svolto difese.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione di legge sotto tre
diversi profili, tutti attinenti alla violazione degli artt. 4, co. 1, e 2, co. 1, del d.m. 55/2014.
1.1 Sotto il primo profilo, si censura l’illegittimità realizzatesi laddove il Tribunale non avrebbe tenuto conto, come la legge impone, dell’esistenza dei numerosi parametri che avrebbero determinato un aumento dei compensi rispetto ai valori medi, la cui applicazione doveva far sì che il compenso fosse proporzionato all’importanza dell’opera .
1.2 Sotto un secondo profilo, si censura l’illegittimità della decisione, perché avrebbe legato la quantificazione secondo i valori medi alla natura dell’obbligazione dell’avvocato come obbligazione di mezzi e non già di risultato, laddove invece è la legge stessa che, ferma la natura dell’obbligazione dell’avvocato nel primo senso, prevede un aumento del compenso in caso di risultato favorevole.
1.3 Sotto il terzo profilo, si censura la decisione come illegittima, perché aveva considerato che il risultato ottenuto avrebbe potuto assumere rilevanza al fine dell’aumento del compenso rispetto ai valori medi solo in presenza di un ‘ apposita pattuizione risultante da preventivo, senza invece considerare che è la legge stessa che prevede un simile aumento, e ciò senza le necessità, anzi proprio in mancanza, di una pattuizione in tal senso.
1.4 Le doglianze così articolate sono inammissibili.
Sul punto giova ricordare che, secondo la consolidata giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso. (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 14198 del 05/05/2022; v. anche: Sez. 3, Ordinanza n. 19989 del 13/07/2021).
Ne consegue che le censure proposte dal ricorrente, come tali volte a sindacare il potere discrezionale del giudice di merito in ordine alla quantificazione del suo compenso, non risultano veicolabili in questo giudizio
di legittimità e comunque richiederebbero un nuovo apprezzamento della quaestio facti che invece è inibito alla Corte di cassazione.
Con il secondo mezzo si censura la mancanza di motivazione sul punto centrale della controversia, vale a dire ‘perché’ la quantificazione secondo i valori medi fosse congrua malgrado l’esistenza, in alcuni casi riconosciuta, in altri nemmeno accennata, di quasi tutti i parametri che per legge richiedono un aumento dei compensi rispetto ai valori medi (cfr. infra, pp. 19-21).
2.1 Osserva il ricorrente che il Tribunale di Biella aveva ritenuto congrua la quantificazione operata dal Giudice delegato con riferimento ai semplici valori medi, pur in presenza della quasi totalità dei parametri che avrebbero imposto un aumento secondo l’art. 4, co, 1, d.m. 55/2014: caratteristiche e pregio d ell’attività prestata; importanza, natura, difficoltà (in particolare sotto il profilo dei contrasti giurisprudenziali) e valore dell’affare; risultati conseguiti; numero e complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
2.2 Il secondo motivo è infondato.
Osserva il Collegio come la censura in ordine alla mera apparenza della motivazione in punto di liquidazione dei compensi al difensore non corrisponde al vero, posto che, sebbene succinta, la motivazione del Tribunale sussiste e non è certo meramente apparente, e ciò senza neanche contare che, secondo quanto già sopra osservato in relazione al primo motivo di ricorso, il giudice che si attenga ad una liquidazione fra il minimo e il massimo dei compensi tabellati non ha un obbligo di particolare motivazione sul punto.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, per omesso esame circa un fatto decisivo, perché il Tribunale non avrebbe considerato quasi tutti i parametri alla cui esistenza consegue un aumento dei compensi rispetto ai valori medi: parametri che rappresentano all’evidenza, anche singolarmente considerati, fatti decisivi per il giudizio.
3.1 Anche il terzo motivo è infondato.
Si sollecita di nuovo uno scrutinio di merito da parte di questa Corte di legittimità in ordine alla quantificazione del compenso liquidato; peraltro, la doglianza viene impropriamente veicolata tramite il richiamo al vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., azionato tuttavia senza enucleare il ‘fatto storico’, nel cui omesso esame sarebbe incorso il Tribunale
nel suo iter decisionale, discostandosi, così, dal paradigma applicativo delineato dalla giurisprudenza di legittimità per rendere ammissibile la doglianza così proposta in tale ambito (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014).
Con il quarto motivo, si censura il provvedimento impugnato per la violazione degli artt. 4, co. 5, e 2, co. 1, del d.m. 55/2014, perché non sarebbero stati liquidati i compensi relativi alla fase istruttoria e di trattazione, come tali norme prevedono quando l’attività si sia svolta . Sostiene, poi, il ricorrente che dello svolgimento di attività tipicamente istruttoria e di trattazione la stessa decisione impugnata ne avrebbe dato atto, almeno quando aveva ricordato le udienze nelle quali erano stati richiesti termini, benché poi, ancora in violazione della legge, avesse considerato tale attività irrilevante ai fini del compenso.
4.1 Ritiene il Collegio che la doglianza così articolata sia in realtà inammissibile per genericità di formulazione, perché il ricorrente avrebbe dovuto meglio specificare l’utilità della prestazione svolta nella fase istruttoria, evidenziando anche l’utilizzo o meno del termine processuale richiesto nel corso della udienza (e per il quale ritiene essere maturato di per sè il suo compenso) per l’esplicazione delle attività difensive di natura istruttoria solo preannunciate nel corso della detta udienza di trattazione.
Con il quinto motivo si censura il provvedimento del tribunale per violazione dell’art. 10 c.p.c. e dell’art. 5, co 2., e relativa tabella, del d.m. 55/2014, perché – con riferimento ad uno dei tre giudizi di opposizione – avrebbe calcolato il valore della domanda solo sulla base dell’importo capitale, senza tenere conto degli interessi che avrebbero invece determinato l’applicazione dello scaglione successivo.
5.1 Il motivo è fondato.
Osserva infatti il Collegio che la predetta questione era
Il sesto motivo -con il quale, infine, si censura la decisione per avere violato l’art. 13, co.1 -quater, del Testo Unico Spese di Giustizia -rimane assorbito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo; rigetta i primi quattro motivi e dichiara assorbito il sesto motivo; cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia innanzi al Tribunale di Biella che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 19.12.2024