Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11124 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11124 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 8624-2021 proposto da:
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 50/2021 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 02/03/2021 R.G.N. 1153/2018;
Oggetto
R.G.N. 8624/2021
COGNOME
Rep.
Ud.13/12/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La Corte di Appello di Lecce, in accoglimento del gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado reiettiva della domanda di riliquidazione della pensione di vecchiaia volta ad includere nella base di calcolo della retribuzione pensionabile gli emolumenti extramensili ai fini della contribuzione figurativa relativa ai periodi di disoccupazione, ha condannato INPS al pagamento delle relative differenze pensionistiche quantificate in euro 2.095,97 per il periodo dal maggio 2013 al 2019, ed ha liquidato le spese di giudizio ai sensi del D.M. n.55/2014 a carico dell’istituto in Euro 239,00 per il primo grado ed in euro 356,00 per il secondo grado di giudizio, oltre accessori e rimborso spese forfetarie.
La parte privata propone ricorso in cassazione lamentando l’avvenuta liquidazione delle spese processuali al di sotto del minimo tariffario; l’INPS resiste con controricorso.
La controversia è stata discussa e decisa nell’adunanza camerale del 13 dicembre 2024.
CONSIDERATO CHE
Con l’unico motivo di ricorso, sollevato in relazione all’art. 360 co.1 n.3 c.p.c., NOME COGNOME deduce la violazione degli artt. 4 e 5 del D.M. n.55/2014 per essere state liquidate in sentenza le spese di lite in misura inferiore ai minimi previsti nell’ambito dello scaglione di valore della causa che, in riferimento alle tariffe vigenti all’epoca della pronuncia, ammonterebbero, previa riduzione fino al 50% dei valori medi ed avuto riguardo all’entità economica dell’interesse sostanziale che riceve tutela attraverso la decisione, ad Euro 842,50 per il primo grado e ad Euro 1.387,50 per il secondo grado.
Nel controricorso l’INPS segnala che il D .M. n.55/2014 non vincola il giudice a liquidare secondo parametri fissi, dovendosi tener conto delle caratteristiche di urgenza e pregio dell’ attività prestata, della natura, difficoltà e valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e importanza delle questioni affrontate; quindi può essere disposta una riduzione anche inferiore senza procedere ad una meccanica applicazione delle cifre indicate in tabella, potendo il giudice graduare con riduzione fino al 50% nelle prime due fasi e fino al 70% per la fase istruttoria.
3. Il ricorso è fondato.
Nella determinazione del valore della lite al fine di individuare lo scaglione di riferimento delle tariffe forensi occorre dar seguito al criterio del decisum (Cass. ord. 9237/22, 28885/23), che integra quello del disputatum senza che tra loro ci sia antinomia (S.U. n.19014/2007); ‘il criterio del decisum vale infatti a proporzionare gli onorari all’effettiva consistenza della lite non potendo essere avvantaggiato chi propone una domanda eccedente la giusta pretesa rispetto a chi propone una domanda contenuta negli effettivi limiti di quest’ultima ‘ (cfr. Cass. ord. 688/2024).
Nel caso in esame, il valore della lite, risultante all’esito della CTU espletata in grado di appello sulla pretesa di riliquidazione pensionistica avanzata dal ricorrente, è stato determinato in misura pari ad Euro 2.095,97, ed è a questo importo che si commisura il valore della controversia complessivamente considerata. Tale importo rientra, quindi, nell’ambito del secondo scaglione individuato nelle tariffe ministeriali, ratione temporis applicabili (pronuncia resa dalla Corte territoriale il 2/3/2021), compreso fra 1.101,00 e 5.200,00 euro; seguendo i criteri di calcolo ivi stabiliti, il compenso liquidabile sarebbe
stato il seguente : per l’attività svolta in primo grado in cause di previdenza , con le riduzioni dell’art. 4 del D.M. n.55/2014, spetterebbe un compenso di € 842,50 (di cui € 202,50 per fase studio, € 202,50 per fase introduttiva, € 437,50 per fase decisionale), e per il secondo grado di € 1.198,50 (di cui € 255,00 per fase di studio, € 255,00 per fase introduttiva, € 283,50 per fase istruttoria previa riduzione -soltanto per tale voce- del 70% , ed € 405,00 per fase decisionale), per un totale complessivo di € 2.041,00. È evidente che l’importo liquidato in € 239,00 per il primo grado di giudizio ed in € 356,00 per il secondo grado, per un totale di € 595,00, risulta inferiore al minimo tariffario, senza che ne emerga alcuna ragione illustrativa.
4. La questione sulla derogabilità o meno dei valori minimi è stata variamente dibattuta in sede di legittimità. È stata affermata la sua inderogabilità in assenza di convenzione fra le parti (come rammenta sent. n.9815/2023), ovvero la possibilità di una motivazione giudiziale per l’ulteriore scostamento e la misura di esso (cfr. Cass. sent. n. 15506/2024, che richiama ord. n.14198/2022, ed altre n.89/2021, n.19989/2021), e la possibilità di deroga con riguardo ai soli valori massimi fermi restando ‘in ogni caso’ i valori minimi (cfr. ord. n.26734/2024). 5. Ciò posto, come innanzi osservato, la liquidazione delle spese processuali compiuta nell’impugnata sentenza non è rispettosa dei limiti minimi tariffari introdotti con DM 55/2014 come mod. con DM 37/2018, né è stata fornita analitica elencazione di calcolo per comprenderne la determinazione nei due gradi di giudizio, né risulta alcuna argomentazione per supportarne la deroga; ed a tali parametri tariffari devono essere commisurati i compensi dei professionisti, applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla
data di entrata in vigore del predetto decreto a condizione che a tale data non sia stata ancora completata la prestazione professionale, ancorché essa abbia avuto inizio e si sia in parte svolta nella vigenza della pregressa regolamentazione, atteso che l ‘accezione omnicomprensiva di “compenso” evoca la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente prestata (cfr., tra le tante, Cass., 26 ottobre 2018 e la giurisprudenza ivi citata).
6. La verifica del rispetto dei predetti parametri conduce ad affermare l’evidente non conformità d ella liquidazione compiuta dalla Corte d’appello al citato tariffario ministeriale, come ratione temporis previsti. Discende che la sentenza va, in parte qua, cassata, con rinvio alla Corte territoriale alla quale si demanda di attenersi ai suddetti principi per la rideterminazione del compenso liquidabile al difensore della parte rimasta vittoriosa nel giudizio di merito, ed anche per la liquidazione delle spese della presente fase di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza con riferimento al solo motivo accolto, e rinvia, anche per le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di Appello di Lecce in diversa composizione.
Roma, 13 dicembre 2024.