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Compenso avvocato: i minimi tariffari sono inderogabili

Un avvocato ha impugnato la liquidazione del proprio compenso professionale, ritenuta troppo bassa. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo principi fondamentali sul calcolo del compenso avvocato. In particolare, ha chiarito che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. 37/2018, i minimi tariffari sono inderogabili e non possono essere ridotti neppure in considerazione dei risultati conseguiti. Inoltre, l’aumento previsto per la difesa di più parti è autonomo e va applicato solo dopo aver calcolato il compenso base, non potendo essere utilizzato per giustificare una liquidazione inferiore ai minimi.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Avvocato: La Cassazione Conferma l’Inderogabilità dei Minimi Tariffari

La corretta liquidazione del compenso avvocato è una questione centrale nel rapporto tra professionista e cliente, e assume contorni ancora più delicati nell’ambito delle procedure concorsuali. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è intervenuta per chiarire alcuni aspetti fondamentali riguardanti i parametri di calcolo, con particolare riferimento all’inderogabilità dei minimi tariffari e alla gestione degli aumenti per la pluralità di parti, offrendo spunti decisivi per gli operatori del diritto.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal reclamo di un avvocato contro un decreto del giudice delegato al fallimento di una società sportiva. Il giudice aveva liquidato un compenso ritenuto esiguo dal legale, giustificando la riduzione in base alle “modeste somme recuperate” rispetto all’ammontare del danno inizialmente preteso dalla curatela fallimentare. L’avvocato si era quindi rivolto al Tribunale, che aveva parzialmente accolto il suo reclamo, ricalcolando alcuni importi ma confermando un abbattimento del 50% sugli onorari medi previsti dalle tabelle ministeriali, sempre in virtù dei “risultati conseguiti”. Insoddisfatto, il professionista ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la violazione di diverse norme sulla determinazione dei compensi.

La Decisione del Tribunale e il Ricorso in Cassazione

Il legale ha articolato il suo ricorso in quattro motivi. In sintesi, ha contestato:
1. La riduzione del 50% degli onorari medi basata unicamente sulla modestia delle somme recuperate, senza considerare l’importanza e la complessità dell’opera prestata.
2. L’errata interpretazione dell’aumento del 30% per la pluralità di parti, considerato dal Tribunale come un correttivo interno al calcolo generale anziché una voce autonoma.
3. La conseguente liquidazione di un compenso inferiore ai minimi tariffari, resi inderogabili dal D.M. n. 37/2018.
4. L’applicazione errata dell’aumento previsto per la riunione di più procedimenti.

La Corte di Cassazione ha ritenuto inammissibile il primo motivo ma ha accolto i restanti tre, cassando il decreto del Tribunale e rinviando la causa per una nuova valutazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha fornito una chiara interpretazione delle norme che regolano il compenso avvocato, delineando principi di fondamentale importanza pratica.

L’inderogabilità dei minimi tariffari post D.M. 37/2018

Il cuore della decisione risiede nell’analisi degli effetti del D.M. n. 37/2018. La Corte ha stabilito che, a seguito di tale riforma, i minimi tariffari sono diventati inderogabili in sede di liquidazione giudiziale. Mentre in precedenza il giudice godeva di un potere discrezionale nel muoversi tra i minimi e i massimi, le modifiche hanno introdotto una soglia minima (pari al 50% dei valori medi) al di sotto della quale non è possibile scendere. Il Tribunale ha quindi errato nel ridurre il compenso oltre tale limite, basandosi unicamente sul criterio del “risultato conseguito”.

Il calcolo corretto dell’aumento per la pluralità di parti

Un altro punto cruciale riguarda l’aumento del 30% previsto dall’art. 4, comma 2, del D.M. n. 55/2014 in caso di difesa di più parti. La Cassazione ha chiarito che tale aumento rappresenta una voce autonoma, da applicare dopo aver determinato il compenso base (calcolato tra i valori medi e minimi). Il Tribunale aveva invece erroneamente inglobato questo aumento nel calcolo generale, utilizzandolo per sostenere che, nonostante la riduzione, il compenso finale fosse comunque superiore ai minimi. Questo ragionamento è stato giudicato errato, in quanto l’aumento per la pluralità di parti remunera la maggiore attività svolta dal difensore e non può essere usato per eludere il rispetto dei minimi tabellari.

L’applicazione dell’aumento per riunione di giudizi

Infine, la Corte ha censurato anche il calcolo relativo ai compensi per due giudizi cautelari che erano stati riuniti. Il Tribunale aveva applicato l’aumento previsto per le attività successive alla riunione anche alle fasi precedenti. La Cassazione ha precisato che la norma è chiara: l’aumento si applica solo “dal momento dell’avvenuta riunione”. Pertanto, le attività svolte autonomamente in ciascuna causa prima della riunione, come lo studio della controversia e la fase introduttiva, devono essere liquidate separatamente per ogni procedimento.

Le Conclusioni

Questa ordinanza della Corte di Cassazione rafforza la tutela del compenso avvocato, stabilendo tre principi cardine. Primo, i minimi tariffari, come modificati dal D.M. 37/2018, costituiscono un limite invalicabile per il giudice in sede di liquidazione. Secondo, gli aumenti specifici, come quello per la pluralità delle parti, sono autonomi e non possono essere assorbiti o usati come correttivi per giustificare liquidazioni al di sotto dei minimi. Terzo, le norme che prevedono aumenti specifici, come in caso di riunione, devono essere applicate in modo rigoroso secondo il loro tenore letterale. La decisione rappresenta un importante punto di riferimento per garantire l’adeguatezza e la dignità della retribuzione professionale forense.

Un giudice può liquidare un compenso inferiore ai minimi tariffari previsti dalla legge?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che, a seguito delle modifiche introdotte dal D.M. n. 37/2018, i minimi tariffari sono inderogabili e il giudice non può scendere al di sotto di tale soglia, neanche adducendo come motivazione la modestia dei risultati ottenuti dal legale.

Come si calcola l’aumento del compenso per la difesa di più parti?
L’aumento per la pluralità delle parti è una voce autonoma e va calcolato solo dopo aver determinato il compenso base (liquidato tra i valori medi e minimi). Non può essere utilizzato come un correttivo per far rientrare un compenso, altrimenti inferiore al minimo, entro i limiti di legge.

L’aumento del compenso previsto per la riunione di più cause si applica a tutta l’attività svolta?
No. La Corte ha specificato che l’aumento previsto dall’art. 4, comma 2, del D.M. 55/2014 si applica solo per l’attività svolta “dal momento dell’avvenuta riunione”. Le attività compiute in ciascuna causa prima della riunione (es. studio della controversia, fase introduttiva) devono essere liquidate autonomamente e separatamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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