Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 24978 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 24978 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 22720-2022 proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
principale –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 1536/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 07/07/2022 R.G.N. 1202/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Lavoro subordinato
R.G.N. 22720/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 09/07/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2333/2019 il Tribunale di Napoli rigettava il ricorso proposto da NOME COGNOME con il quale questa chiedeva accertarsi l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze dell’avv. NOME COGNOME dal maggio 2006 al dicembre 2015, dapprima presso il Bed and Breakfast ‘Napoli RAGIONE_SOCIALE sito in INDIRIZZO e – successivamente -presso lo studio legale dello stesso, sito in INDIRIZZO e condannarsi l’COGNOME al pagamento delle differenze retributive spettanti, TFR, indennità di ferie non godute.
Con sentenza n. 1536/2022 pubblicata il 07/07/2022 la Corte d’appello di Napoli, in integrale riforma della sentenza di primo grado ed in parziale accoglimento delle domande della COGNOME, dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la COGNOME e l’Albanesi intercorso da aprile 2009 a dicembre 2012 e condannava quest’ultimo al pagamento della somma di € 32.568,35 di cui € 4.188,35 a titolo di trattamento di fine rapporto, oltre rivalutazione secondo gli indici ISTAT ed interesse al saggio legale sulle somme via via rivalutate dalla maturazione al saldo nonché al pagamento delle spese del doppio grado che, previa compensazione del 50%, ha liquidato nella parte residua in € 1.200 per il primo grado ed in € 950,00 per il grado di appello da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME difensore dell’appellante, dichiaratosi distrattario.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per cassazione la COGNOME affidato ad un unico motivo.
Si difende con controricorso contenente ricorso incidentale NOME COGNOME affidato a dodici motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso NOME COGNOME lamenta, in relazione all’art. 360 c.p.c. n.3, violazione e falsa applicazione dell’art. 4 del DM 55/2014 e delle relative tabelle allegate, per la omessa liquidazione delle spese di causa in misura media ed in assenza di adeguata motivazione. Deduce che la Corte d’appello nel liquidare il 50% delle spese di lite, previa compensazione del restante 50%, in € 1.200 per il primo grado ed in € 950 per il grado d’appello, era andata al di sotto dei minimi tabellari previsti ex DM 55/2014, come modificato dal DM 37/2018 il quale, tenuto conto del valore della causa con riguardo al decisum (€ 32.568,35) prevedeva un compenso tabellare nei valori minimi di € 4.766 per il primo grado e di € 3.513 per il grado d’appello e che, dunque, al netto della compensazione al 50% la liquidazione non poteva essere inferiore rispettivamente a € 2.383 per il primo grado e € 1.756,50 per il grado d’appello. Lamentava l’assenza di motivazione in ordine ad una liquidazione inferiore ai minimi.
2. Con il primo motivo di ricorso incidentale l’COGNOME deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza nonché violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in quanto resa una motivazione solo apparente ovvero meramente assertiva ovvero contraddittoria. In particolare, deduce che la motivazione sarebbe apparente o meramente assertiva in quanto, in relazione al punto 12, evocherebbe ‘ l’erronea suggestione secondo cui la pretesa attività di ‘segretaria’ sia da intrinsecamente da ricondurre ad un rapporto di lavoro subordinato ‘; in relazione ai punti nn. 13, 14, 15 e 17 nonché in merito ai capi n. 23 e 24 avrebbe omesso l’indicazione degli elementi di prova dai quali avrebbe tratto la prova dell’esercizio di un potere direttivo, gerarchico e disciplinare in capo al datore di lavoro nonché delle ‘mansioni di segretaria eterodiretta’ e della ‘doppia alienità’ ed anche di indicare in cosa si siano concretizzate le ‘mansioni esecutive’; in relazione ai capi
16, 18, 19, 25 e 27 nella misura in cui desume la subordinazione dalla mera qualificazione quale ‘segretaria’ operata da un teste, senza dar conto delle dichiarazioni rese da altri testi, illogicamente prospettando che un testimone non possa riferire circostanze di cui è a conoscenza a meno che non abbia avuto un rapporto diretto con il soggetto a cui la circostanza stessa si riferisca; per aver contraddittoriamente riconosciuto che la sig.ra COGNOME aveva curato anche pratiche del patronato ed aver espresso l’erronea suggestione secondo cui la pretesa attività di ‘segretaria’ sia da intrinsecamente da ricondurre ad un rapporto di lavoro subordinato; in merito al capo n. 26 la motivazione, oltre che meramente assertiva ovvero apparente sarebbe contradditoria in quanto esclusa la prova del ‘costante esercizio di un potere direttivo’; infine in merito al capo n. 27 la motivazione sarebbe meramente assertiva.
Con secondo motivo si lamenta violazione ovvero falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., degli art. 2094 c.c. e 2697 c.c. sia per aver escluso la necessità, ai fini dell’accertamento della natura subordinata del rapporto, della emanazione di ordini specifici, oltre che dell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione delle prestazioni lavorative, sia per aver ritenuto che l’attività di ‘segretaria’ comporti di per sé la qualificazione del relativo rapporto come di natura subordinata.
4. con il terzo motivo si lamenta omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., del fatto, decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’avere la COGNOME, in data 3.2.2012, iniziato l’attività imprenditoriale, dalla stessa gestita in prima persona, di vendita al dettaglio di detersivi e casalinghi in Napoli alla INDIRIZZO. Deduce che il fatto è stato oggetto di discussione tra le parti e provato da documenti prodotti dall’avv. COGNOME all’atto della costituzione nel procedimento di primo grado e singolarmente indicati in ricorso. La decisività è costituita dalla evidente incompatibilità tra il
preteso (e dichiarato dalla Corte di merito) rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno, quantomeno dal 3.2.2012 e sino al dicembre 2012, e l’attività commerciale.
Con il quarto motivo si deduce omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., dei fatti, decisivi per il giudizio e che sono stati oggetto di discussione tra le parti, costituiti sia dall’attività resa dalla sig.ra COGNOME in favore del patronato RAGIONE_SOCIALE dal maggio 2010 al dicembre 2011 sia dalla condivisione dell’immobile tra il patronato, lo studio dell’avvocato COGNOME ed altri soggetti. Espone che detti fatti sono provati dai documenti prodotti dall’avv. COGNOME all’atto della costituzione nel procedimento di primo grado singolarmente indicati in ricorso. La decisività dei fatti è costituita dalla incompatibilità tra il preteso (e dichiarato dalla Corte di merito) rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno con l’avv. COGNOME e l’attività espletata dalla sig.ra COGNOME in favore del patronato.
Con il quinto motivo l’COGNOME deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto resa una motivazione solo apparente ovvero meramente assertiva in merito alla esclusione della rilevanza della testimonianza del sig. NOME COGNOME
Con il sesto motivo deduce violazione ovvero falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 115 c.p.c. in quanto esclusa, in modo aprioristico, la rilevanza della deposizione del teste NOME COGNOME
Con il settimo motivo si lamenta l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., del fatto, decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla deposizione del teste NOME COGNOME
Con l’ottavo motivo deduce nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nonché violazione dell’art. 115 c.p.c., in quanto resa una motivazione solo apparente ovvero meramente assertiva in merito al recepimento dei conteggi della sig.ra COGNOME e, quindi, al riconoscimento della natura a tempo pieno del preteso rapporto.
Con il nono motivo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., degli art. 36 Cost., 115 c.p.c. e 2697 c.c. in quanto recepiti i conteggi della sig.ra COGNOME sull’erroneo e non provato presupposto che il preteso rapporto di lavoro fosse stato a tempo pieno.
Con il decimo motivo l’COGNOME lamenta l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., del fatto, decisivo per il giudizio e che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla contestazione dei conteggi in quanto negata la sussistenza del rapporto di lavoro.
Con l’undicesimo motivo si lamenta violazione ovvero falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 91 e 92 c.p.c. laddove compensate le spese di lite per la metà e non integralmente.
Con il dodicesimo motivo, infine, deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c., nonché violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in quanto resa una motivazione solo apparente ovvero meramente assertiva ovvero contraddittoria nella parte in cui ha compensato solo parzialmente le spese.
Va esaminato per ragioni di pregiudizialità logica il ricorso incidentale.
Va premesso che i giudici territoriali, nel motivare la conclusione in ordine alla natura subordinata del rapporto intercorso tra l’odierno ricorrente e la COGNOME, hanno ritenuto che ‘ le risultanze istruttorie emerse nel corso della prova testimoniale espletata in primo grado
consentono, infatti, di ritenere – diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale -la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto mansioni di segretaria alle dipendenze dell’avv. COGNOME nel periodo da aprile 2009 a dicembre 2012 ‘ e che, in particolare, fosse ‘ emersa la prova di una eterodirezione da parte dell’avv. COGNOME nei confronti della Sig.ra COGNOME dalle dichiarazioni testimoniali. La teste COGNOME la quale svolgeva attività di segreteria sempre per l’Albanesi sin dal 2009, aveva, infatti, confermato tanto ‘ la soggezione della Sig.ra COGNOME alle disposizioni organizzative impartite dall’appellato ‘ quanto la circostanza che la COGNOME ‘ era presente in tale periodo lavorando ‘tutto il giorno’ dal lunedì al venerdì’, precisando, altresì, che ‘ all’interno dello studio vi erano due segretarie’. ‘L’assoggettamento a direttive viene confermato anche dalla teste NOME COGNOME della cui attendibilità non vi è motivo di dubitare, che afferma di avere visto dare disposizioni dall’avv. COGNOME alla COGNOME per il disbrigo di pratiche estranee a quelle del patronato e riconducibili alla sua attività professionale’. La Corte, infine, ha rilevato che ‘ Le dichiarazioni della teste COGNOME sono ritenute sufficienti in quanto, non solo coerenti con quanto affermato dalla teste COGNOME, ma anche in ragione delle mansioni semplici e ripetitive che per loro natura, non richiedono, in linea di massima, l’esercizio di un puntuale potere gerarchico’. La Corte d’appello ha, dunque, valorizzato l’intero quadro probatorio, concludendo per il raggiungimento da parte della COGNOME della prova ‘ di avere svolto mansioni di segretaria eterodiretta dall’appellato dall’aprile 2009 al dicembre 2012 ‘, tenuto altresì conto sia della ‘ natura ripetitiva e semplice delle prestazioni lavorative che della cd. doppia alienità (C. Cost. 6 febbraio 1996 n. 30) che connota il rapporto di lavoro’.
Ciò posto, quanto al secondo motivo, premesso che per giurisprudenza costante di questa Corte (Cass. n. 26769 del 2018, Rv. 650892 -01) nel ricorso per cassazione, la violazione dell’art. 2697 cod.
civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, va rilevato che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Lav. n. 23846 del 2017) esprime un consolidato orientamento in tema di poteri riconosciuti al giudice del merito nella qualificazione del rapporto. Si afferma che l’esistenza del vincolo di subordinazione va concretamente apprezzata con riguardo alla specificità dell’incarico conferito dal lavoratore e al modo della sua attuazione, fermo restando che ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto di un rapporto di lavoro sia autonomo sia subordinato. In sede di legittimità quello che è censurabile è unicamente la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, mentre costituisce accertamento di fatto, incensurabile in tale sede se sorretta da motivazione adeguata e immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Tra le numerose decisioni si vedano Cass. n.224/2001; Cass. n. 16697/2002; Cass. n.9251/2010). Nel caso di specie parte ricorrente, lungi dal denunciare un errore di diritto, domanda sostanzialmente a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del materiale probatorio alla luce del quale i giudici di merito hanno ricondotto le prestazioni della COGNOME in favore dell’Albanese nell’alveo della prestazione di lavoro subordinato.
Per quanto, poi, attiene ai motivi primo, quinto e ottavo, da trattarsi congiuntamente in considerazione dell’intima connessione delle censure, essi sono infondati.
È noto che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 commi 2 e 4 cpc e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice
alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico -giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr Cass. Sez. Lav. n. 3819 del 2020, Rv. 656925 -02, Cass n. 25866 del 2010; Cass. n. 12664 del 2014). In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono, peraltro, più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022, Rv. 664120 -01) non essendo consentita al giudice di legittimità la verifica della sufficienza o razionalità della motivazione stessa in ordine alle questioni di fatto, la quale comporterebbe un raffronto tra le ragioni del decidere espresse nella sentenza impugnata e le risultanze istruttorie sottoposte al vaglio del giudice del merito.
19. Nel caso di specie, quanto al motivo n. 1 non può dirsi in alcun modo sussistente la denunciata violazione dell’art. 132 c.p.c. atteso che l’iter logico seguito è del tutto percepibile, né le affermazioni motivazionali presentano profili di contraddittorietà che possano far ipotizzare per tale via un difetto di motivazione rilevante ex art. 132 n 4 c.p.c.. La motivazione, seppur concisa, dà conto del fondamento della decisione costituito dal riscontro, quale emergente dalle singole dichiarazioni testimoniali raccolte, analiticamente e singolarmente
esaminate, della sussistenza degli indici di subordinazione rapportabili alla cd. doppia alienità.
Quanto, poi, alla dedotta apparenza di motivazione in relazione alla rilevanza attribuita alla testimonianza del Parente, oggetto del motivo n. 5 e, sotto il profilo della violazione di legge (art. 115 c.p.c.), dal motivo n. 6 e dell’omesso esame di un fatto decisivo con il motivo n. 7, va premesso che sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento. È, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass. n. 21187 del 2019, Rv. 655229 -01).
Nel caso di specie la Corte distrettuale ha fondato la sua insindacabile valutazione di non rilevanza della deposizione del COGNOME, ex collaboratore dell’appellato, sulla base della duplice motivazione di non significatività delle sue affermazioni -alla luce del rilievo che lo stesso teste aveva dichiarato di aver intrattenuto rapporti esclusivamente con l’COGNOME e non con la segretaria -e di contraddittorietà delle affermazioni del COGNOME rispetto a quanto emergente dalle convergenti dichiarazioni della collega dell’appellante, Sig.ra COGNOME e dalla cliente, Sig.ra NOME COGNOME
Rispetto al sesto motivo, va ulteriormente osservato che per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri
officiosi riconosciutigli. Nella specie nessuno di detti oneri è stato compiutamente assolto nella prospettazione del motivo di ricorso, che si limita a chiedere un diverso apprezzamento del materiale probatorio raccolto, e omette di confrontarsi con la costante affermazione di questa Corte secondo la quale (Cass. n. 37382 del 21/12/2022, Rv. 666679 -05) la valutazione del materiale probatorio -in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante -costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C., con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito, restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le già menzionate valutazioni discrezionali.
Quanto all’ottavo motivo, relativo all’asserita apparenza di motivazione circa il recepimento dei conteggi delle spettanze economiche riconosciute alla COGNOME, ed ai motivi 9 e 10, da esaminarsi congiuntamente -attenendo tutti al quantum delle spettanze riconosciute alla COGNOME -va rilevato che sul punto la Corte d’appello ha espressamente motivato rilevando che il conteggio allegato non è stato ‘puntualmente contestato dall’appellato, che si limita a negare la sussistenza del rapporto’ e che, quanto all’orario di lavoro, in mancanza di una specifica contestazione e prova in proposito offerta dal datore di lavoro, deve presumersi che il rapporto sia a tempo pieno. La motivazione oltre che sussistente é, altresì, conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, ciò che vale ad escludere la ricorrenza della dedotta violazione di legge, secondo la quale il convenuto ha l’onere di contestare specificamente i conteggi elaborati dall’attore, ai
sensi degli artt. 167, comma 1, e 416, comma 3, c.p.c., occorrendo a tal fine una critica precisa, che involga puntuali circostanze di fatto -risultanti dagli atti ovvero oggetto di prova -idonee a dimostrare l’erroneità dei conteggi (Cass. Sez. Lav. n. 5949 del 12/03/2018, Rv. 647513 -01), ravvisando, di conseguenza, un difetto di specifica contestazione dei conteggi elaborati dall’attore per la quantificazione del credito oggetto di domanda di condanna, allorché il convenuto si limiti a negare in radice l’esistenza del credito avversario. Tali ultime considerazioni rilevano, peraltro, ai fini di escludere il vizio di omesso esame lamentato con il decimo motivo.
I motivi terzo, quarto e settimo, possono essere congiuntamente esaminati e sono inammissibili ed in ogni caso infondati.
25. In primo luogo, essi si muovono al di fuori del paradigma dettato dall’art. 360 comma 1 n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Va, poi, rammentato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo ove risulti comunque un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base delle prove acquisite nel corso del relativo giudizio, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 17005 del 2024, Rv. 671706 -01; Cass. n. 10525 del 2022; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 5795 del 2017). Inoltre, il fatto storico di cui si lamenti l’omesso esame deve essere decisivo. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che “In tema di ricorso per cassazione costituisce fatto (o punto)
decisivo ai sensi del’art.360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (Cass. n.18368/2013; Cass. n. 17761/2016, Cass. n.23238/2017) La decisività del “fatto” omesso assume, nel vizio considerato dalla disposizione richiamata, rilevanza assoluta poiché determina lo stretto nesso di causalità tra il fatto in questione e la differente decisione, non solo eventuale ma certa. Tale condizione deve dunque essere chiaramente allegata dalla parte che invochi il vizio, onerata di rappresentare non soltanto l’omissione compiuta ma la sua assoluta determinazione a modificare l’esito del giudizio (Cass. sez. lav. n. 29954 del 13/10/2022). Il mancato esame di un documento può, peraltro, essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. (Cass. n. 16583 del 13/06/2024).
26. Ciò premesso va evidenziato, in primo luogo, che né la deposizione del teste Parente né la deduzione dello svolgimento di attività lavorativa in favore del patronato costituiscono ‘fatti’, nel senso sopra chiarito, il cui omesso esame può essere censurato e che, in ogni caso, dalla lettura della sentenza emerge che sia la deposizione del teste, come già evidenziato rispetto ai motivi nn. 5 e 6, che la circostanza dedotta sono state esaminate dalla Corte d’appello e valutate, seppur in senso difforme da quanto auspicato dal ricorrente (vd pag. 3 punto 23). In secondo luogo, si rileva che viene lamentato l’omesso esame di una pluralità di fatti nessuno dei quali singolarmente decisivi, se pur accertati.
I motivi undicesimo e dodicesimo, da esaminarsi congiuntamente attenendo entrambi alla compensazione delle spese, sono inammissibili. Nel giudizio di legittimità, infatti, il sindacato sulle pronunzie dei giudici del merito riguardo alle spese di lite è diretto solamente ad evitare che possa risultare violato il principio secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, restando del tutto discrezionale -e insindacabile -la valutazione di totale o parziale compensazione (Cass. n. 26912 del 2020, Rv. 659925 -01). La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (così Cass. n. 30592 del 2017, Rv. 646611 -01).
28. Il ricorso incidentale va, in conclusione, rigettato.
Passando, dunque, all’esame del ricorso principale esso è, invece, fondato. Al riguardo va richiamato quanto da questa Corte di recente precisato (Cass. n. 9815 del 2023, Rv. 667534 -01), in tema di derogabilità dei valori tabellari minimi fissati per ciascuna fase processuale dal nuovo testo dell’art. 4, comma primo, D.M. 55/2014, come modificato dal D.M. 37/2018, che ora dispone che, ai fini della liquidazione del compenso, il giudice tiene conto dei valori medi di cui alle tabelle allegate, che, in applicazione dei parametri generali possono essere aumentati di regola sino all’80 per cento, ovvero possono essere diminuiti in ogni caso non oltre il 50 per cento. Per la fase istruttoria l’aumento è di regola fino al 100 per cento e la diminuzione in ogni caso non oltre il 70 per cento. Si è osservato, infatti, che ‘L’art. 13, comma sesto, L. 247/2012 rimette, com’è noto, ad un apposito decreto del
Ministero della Giustizia, l’aggiornamento con cadenza biennale dei parametri medi, provvedimento da adottare d’intesa con in Consiglio nazionale forense, ai sensi dell’art. 1, comma 3, precisando che i nuovi parametri <>. La novellata previsione dell’art. 4, comma primo, è difforme dal punto di vista letterale dalle precedenti disposizioni regolamentari, che non contemplavano un vincolo espresso in ordine alla massima riduzione applicabile, limitandosi a disporre che detta riduzione non poteva di regola essere superiore al 50%. Sulla scorta di tale ultimo elemento testuale e alla luce del ritenuto carattere non vincolante dei parametri di liquidazione, questa Corte era giunta a sostenere che la quantificazione del compenso e delle spese processuali fosse espressione di un potere discrezionale riservato al giudice, e che la liquidazione, se contenuta entro i valori tabellari minimi e massimi, non richiedeva un’apposita motivazione e non era sottoposta al controllo di legittimità, dovendosi invece giustificare la scelta del giudice di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, fatto salvo l’obbligo di non attribuire somme simboliche, lesive del decoro professionale (Cass. 28325/2022; Cass. 14198/2022; Cass. 19989/2021; Cass. 89/2021; Cass. 10343/2020). A tale approdo interpretativo, tuttora valido per le spese processuali e i compensi professionali regolati dal D.M. 55/2014, non può darsi continuità anche per quelli sottoposti al regime introdotto dal D.M. 37/2018: non è più consentita la liquidazione di importi risultanti da una riduzione superiore alla percentuale massima del 50% dei parametri medi e ciò per effetto di una scelta normativa intenzionale, volta a circoscrivere il potere del giudice di quantificare il compenso – o le spese processuali -e a garantire, attraverso una limitata flessibilità del
parametri tabellari, l’uniformità e la prevedibilità delle liquidazioni a tutela del decoro della professione e del livello della prestazione professionale’. In assenza di diversa convenzione tra le parti, dunque, il giudice, ove la liquidazione dei compensi professionali e delle spese di lite avvenga in base ai parametri di cui al d.m. n. 55/2014, come modificato dal d.m. n. 37/2018, non può scendere al di sotto dei valori minimi, in quanto aventi carattere inderogabile.
30. La censura è quindi fondata, avendo la Corte d’appello riconosciuto a titolo di spese processuali, in relazione alla valore della causa (pari ad € 32.568,35), somme inferiori a quelle risultanti dalla massima riduzione percentuale consentita dal citato art. 4, comma primo, D.M. 55/2014, nel testo novellato dal D.M. 37/2018. L’impugnata sentenza va, dunque, cassata e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa decisa nel merito disponendo la riliquidazione delle spese dei precedenti gradi di giudizio in complessivi € 4.766 per il primo grado ed in complessivi € 3.518 per il grado d’appello, per l’intero e ferma restando la compensazione nella misura già applicata del 50%, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge e attribuendo le spese del presente giudizio secondo il criterio della soccombenza liquidate come da dispositivo con distrazione in favore dell’avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13
La Corte rigetta il ricorso incidentale, accoglie il ricorso principale e, decidendo nel merito, liquida le spese giudiziarie per l’intero, ferma restando la compensazione del 50% per entrambi i gradi di merito, in € 4.766 per compensi e € 200,00 per esborsi quanto al primo grado, ed in € 3.518 per compensi e € 200,00 per esborsi quanto al grado d’appello oltre spese generali al 15% e accessori di legge con distrazione a favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario;
condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione a favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002 pari a quello per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Quarta Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 9 luglio 2025
La Presidente NOME COGNOME