Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15270 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15270 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/06/2025
Oggetto: Compensi al difensore – Accordo
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 06240/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;
-controricorrente – avverso l’ordinanza n. 299/2022 resa dal Tribunale di Napoli il 29/12/2022, depositata il 10/1/2023 e notificata il 10/1/2023, corretta come da ordinanza di correzione dell’errore materiale del 22/2/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/1/2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
Rilevato che:
1. Con ricorso ex art. 14 d.lgs. n. 150 del 2014, notificato il 19/7/2022, NOME COGNOME propose opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 8943/2021 emesso il 18/11/2021 e notificato il 30/11/2021, col quale il Tribunale di Napoli le aveva ingiunto il pagamento, in favore dell’avv. NOME COGNOME della somma di € 23.200,00 per compensi professionali maturati dal 2013.
Costituitosi in giudizio, NOME COGNOME chiese la declaratoria di inammissibilità e comunque il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Con ordinanza n. 118/2022 del 10/01/2023, il Tribunale di Napoli, in composizione collegiale, respinse il ricorso in opposizione, dichiarando esecutivo il decreto ingiuntivo.
I giudici di merito evidenziarono, in particolare, che non fosse in contestazione l’attività professionale svolta dal difensore nell’ambito di un procedimento di divisione ereditaria e di resa del conto, bensì il quantum della pretesa, ritenendo che fosse stata stipulata tra le parti una convenzione sul compenso, non soggetta a forma scritta, stante il disposto di cui all’art. 13, comma 3, legge n. 247 del 2012, e dimostrata dalla produzione in giudizio di due documenti del 14/10/2021, qualificati il primo in termini di promessa unilaterale di pagamento ex art. 1988 cod. civ., atteso che l’opponente si era con esso obbligata al saldo dell’onorario spettante al difensore per l’importo di € 9.621,00, e il secondo in termini di delegazione di pagamento ex art. 1269 cod. civ., atteso che l’opponente aveva incaricato, con esso, il custode del patrimonio relitto, l’avv. COGNOME a intestare al difensore l’importo di € 13.579,00, risultante dalla divisione del compendio ereditario intervenuta con la sentenza n. 7839/2021 e a lei attribuito.
Contro la predetta ordinanza COGNOME NOME propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. COGNOME NOME si difende con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che :
Con il primo motivo di ricorso è lamentata la violazione degli artt. 2233, 1350, 1418, 2279, 1988 e 1269 cod. civ., la legge n. 247 del 2012, art. 13, nonché degli artt. 1321 e 1326 cod. civ., e d.m. n. 55 del 2014, art. 1, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito affermato che l’art. 13, comma 3, legge n. 247 del 2012 non sanzionasse con la nullità la convenzione sul compenso stipulata tra cliente e avvocato non in forma scritta e avesse fatto riferimento, ai fini della prova della stessa, alla promessa unilaterale di pagamento per € 9.621,00 e alla delegazione di pagamento ex art. 1269 cod. civ. per la somma di € 13.579,00, peraltro pacificamente revocata, senza considerare il contenuto dell’art. 2233, terzo comma, cod. civ., e l’interpretazione offerta dalla Corte di legittimità, che aveva affermato la necessità della forma scritta ad substantiam a pena di nullità. Ad avviso della ricorrente, dunque, i giudici avrebbero dovuto rilevare il venir meno dell’astrazione processuale della causa debendi prevista dall’art. 1988 cod. civ. e l’inesistenza del debito di valuta tra delegante e delegatario con riguardo alla delegazione di pagamento e provvedere alla liquidazione delle competenze sulla base dei parametri ministeriali.
Col secondo motivo di ricorso è dedotta l’erronea applicazione degli artt. 2233, 1325, 1350, 1418, 2279, 1988 e 1269 cod. civ, 13, legge n. 247 del 2012, 1321 e 1326 cod. civ., e 1, d.m. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito sostenuto la sussistenza di un accordo sul compenso tra avvocato e cliente, ancorché non scritto,
e fondato perciò la decisione sulle dichiarazioni unilaterali del 14/10/2021, che però non integravano gli estremi di un accordo, senza considerare che l’accordo scritto, a pena di nullità, esigeva la sussistenza di una proposta contrattuale scritta, avente ad oggetto la determinazione del compenso, e l’accettazione da parte dell’oblato, derivando soltanto da esso l’obbligazione, gravante su entrambe le parti, di attenersi a quanto pattuito. Pertanto, i giudici di merito avrebbero dovuto revocare il decreto ingiuntivo e determinare il compenso sulla base dei vigenti parametri ministeriali.
3.1 Il primo e il secondo motivo, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono fondati.
Preliminarmente occorre rigettare le eccezioni di inammissibilità delle censure sollevate dal controricorrente sul presupposto che le stesse non colgano la ratio decidendi dell’ordinanza impugnata (non essendo questa fondata sulla sussistenza di un accordo verbale e sulla non necessità della forma scritta), non illustrino specifici errori di diritto in relazione alle plurime norme richiamate in rubrica e sollecitino una revisione in fatto del compendio probatorio.
In proposito, si osserva come la ricorrente abbia perfettamente colto il fondamento della decisione, nella parte in cui, a fronte del motivo che evidenziava l’invalidità del patto di quota lite per difetto di forma scritta, ha espressamente affermato che detto requisito non fosse prescritto dall’art. 13, comma 3, legge n. 247 del 2012, a pena di nullità, e abbia spiegato la correlazione tra le norme richiamate nelle rubriche e le asserite violazioni contenute nell’ordinanza, sia con riguardo alla forma richiesta in caso di patto di quota lite, sia con riguardo al meccanismo di operatività della promessa unilaterale di pagamento ex art. 1988 cod. civ. e della delegazione di pagamento ex art. 1269 cod. civ. e alle conseguenze
derivanti dalla caducazione del rapporto contrattuale ad esse correlato e costituito, per l’appunto, dal patto di quota lite, sicché deve escludersi che le censure manchino di argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità (in questi termini Cass., Sez. 1, 5/8/2020, n. 16700) e che si risolvano nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, come noto, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, 14/01/2019, n. 640; Cass., Sez. 1, 27/3/2024, n. 8272), come invece evidenziato.
3.2 Venendo al merito, deve osservarsi come, a norma dell’art. 2233, ult. comma, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 2 del d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modif., dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, applicabile ratione temporis , l’accordo di determinazione del compenso professionale tra l’avvocato e il suo cliente debba rivestire la forma scritta a pena di nullità.
Infatti, come già osservato da questa Corte (Cass., Sez. 2, 12/1/2023, n. 717), la norma indicata non può ritenersi abrogata con l’entrata in vigore dell’art. 13, comma 2, della l. n. 247/2012, nella parte in cui ha stabilito che ‘ il compenso spettante al professionista è pattuito di regola per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale ‘, poiché la novità legislativa, lasciando impregiudicata la prescrizione contenuta nell’art. 2233, ult. comma, cod. civ., ha inteso disciplinare non la forma del patto, che resta quella scritta a pena di nullità, ma solo il momento in cui stipularlo, che di regola è quello del conferimento dell’incarico professionale (cfr. Cass., Sez. 2, 4/6/2015, n. 11597; Cass., Sez. 6-2, 8/9/2021, n. 24213; Cass., Sez. 2, 16/5/2022, n.
15563), avendo, in effetti, espressamente disposto che il contratto con il quale l’avvocato e il cliente stabiliscono il compenso professionale spettante al primo, dev’essere redatto, a pena di nullità, in forma scritta.
Ciò comporta, come ulteriormente chiarito dalla citata Cass., Sez. 2, 12/1/2023, n. 717, innanzitutto che la formazione di tale accordo può avvenire tanto in un unico documento recante la contestuale sottoscrizione di entrambe le parti, quanto attraverso la proposta di una delle parti redatta in forma solenne, seguita dall’accettazione conforme rivestita della medesima forma richiesta dalla legge (in questi termini anche Cass., Sez. 2, 16/5/2022, n. 15563, in motiv.; vedi anche Cass., Sez. 2, 7/6/2011, n. 12297; Cass., Sez. 2, 15/5/2018, n. 11828, sulla irrilevanza del mero comportamento, precedente o successivo alla presunta conclusione del contratto assunto dalle parti), e che, conseguentemente, trovano applicazione le norme che disciplinano in generale la prova dei contratti per i quali la forma scritta è richiesta ad substantiam (Cass., Sez. 62, 8/9/2021, n. 24213, in motiv.), e cioè, tra l’altro, che: a) la scrittura non può essere sostituita da mezzi probatori diversi (Cass., Sez. 1, 18/1/2019, n. 1452), come una dichiarazione di quietanza (Cass., Sez. L, 15/12/1997, n. 12673; Cass., Sez. 2, 30/3/2012, n. 5158; Cass., Sez. 2, 18/4/2019, n. 10846) ovvero una fattura (Cass., Sez. 1, 22/1/2009, n. 1614; Cass., Sez. 1, 17/3/2015, n. 5263), e che b) la prova per presunzioni semplici (art. 2729 c.c.) è ammissibile, al pari della testimonianza (Cass., Sez. 3, 9/6/2006, n. 13459; Cass., Sez. 1, 7/7/2016, n. 13857), soltanto nell’ipotesi, prevista dagli artt. 2725 e 2724 n. 3 cod. civ., di perdita incolpevole del documento (Cass., Sez. 6-2, 8/9/2021, n. 24213, in motiv., che ha cassato la pronuncia con la quale il giudice di merito aveva ritenuto ‘raggiunta la prova dell’accordo per la determinazione del
compenso sulla base di una presunzione, non tenendo conto che l’esistenza del requisito di forma non può essere sostituito da mezzi probatori diversi’).
Alla stregua di tali principi, hanno dunque errato i giudici di merito allorché hanno affermato che l’art. 13, comma 3, legge n. 247 del 2012 non sanzionava con la nullità la convenzione sul compenso stipulata tra cliente e avvocato non in forma scritta, sostenendo che l’accordo sul compenso emergesse, nella specie, dagli atti e dalle note versati in atti, senza che tale statuizione possa definirsi un mero obiter dictum , come suggerito nel controricorso, posto che con essa i giudici di merito hanno dato risposta all’obiezione, frapposta dall’opponente, secondo cui la promessa di pagamento, da essi presa in esame, costituiva una mera astrazione processuale in ragione della invalidità del rapporto sottostante.
3.3 L’erroneità della premessa non ha fatto altro che produrre, a cascata, ulteriori errori nella decisione, avendo i giudici tratto convincimento dell’esistenza dell’accordo, nonostante la mancata deduzione e prova della perdita del relativo documento, dai contenuti delle due scritture del 14/10/2021, qualificate rispettivamente come promessa unilaterale di pagamento ex art. 1988 cod. civ. e come delegazione di pagamento ex art. 1269 cod. civ.
Quanto alla prima, deve osservarsi come la ricognizione di debito non costituisca un’autonoma fonte di obbligazione, ma abbia solo effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, che determina, ai sensi dell’art. 1 988 cod. civ., un’astrazione meramente processuale della causa debendi , da cui deriva una semplice relevatio ab onere probandi , che dispensa il destinatario della dichiarazione dall’onere di provare quel rapporto, presunto fino a prova contraria, ma dalla cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, venendo, così, meno ogni
effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto suddetto non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione o un altro elemento ad esso attinente che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento (Cass., Sez. 3, 10/12/2024, n. 31818; Cass., Sez., 1, 13/10/2016, n. 20689).
Ciò comporta che, quantunque la ricognizione di debito possa offrire elementi di prova anche nei confronti di un soggetto diverso da quello dal quale proviene ove contenga un espresso riferimento al rapporto fondamentale, del quale il primo sia parte (Cass., Sez. 1, 13/10/2016, n. 20689; Cass., Sez. 2, 06/12/1988, n. 6625), deve escludersi che, nonostante la caducazione del suo effetto vincolante dovuto all’accertamento della nullità del rapporto sottostante, continui a residuare una sua valenza probatoria proprio in relazione a quel rapporto ormai accertato come invalido, specie quando, come nella specie, la nullità derivi dal difetto di forma prescritta ad substantiam e manchi la deduzione e prova della perdita incolpevole del documento.
Quanto alla delegazione di pagamento, intesa come rapporto con pluralità di soggetti nel quale il delegante impartisce ad un terzo, il delegato, l’ordine di eseguire il pagamento a favore del creditore (Cass., Sez. 1, 03/02/1969, n. 305; Cass., Sez. 1, 15/3/1971, n. 724), senza necessità dell’estensione dell’accordo anche al creditore, potendo detta evenienza essere addirittura espressamente esclusa dal delegante ai sensi dell’art. 1269 cod. civ. (in tema di delegatio solvendi , vedi Cass., Sez. 2, 20/4/2020, n. 7945; anche Cass., Sez. 2, 23/3/1991, n. 3179), deve escludersene la rilevanza ai fini voluti, innanzitutto perché la delega non era diretta al creditore, ma ad un terzo, il custode dei beni, sicché non poteva essere equiparata ad una proposta contrattuale da accettarsi anche soltanto con la sua esibizione in giudizio.
In secondo luogo, quand’anche l’accordo intercorso tra delegante e delegato avesse coinvolto il delegatario e fosse stato, dunque, diretto anche nei confronti di quest’ultimo – aspetto questo non emerso, peraltro, dalla sentenza -, avrebbe avuto comunque valenza dirimente la portata ex nunc dell’accettazione, giacché l’intervento, nelle more, della revoca della proposta, avrebbe comunque impedito la formazione dell’accordo.
Nei contratti soggetti alla forma scritta ad substantiam , infatti, l’operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone non soltanto che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, ma altresì che tale volontà non sia stata revocata dal proponente (Cass., Sez. 2, 26/1/2024, n. 2558), atteso che l’effetto del perfezionamento del contratto si produce ex nunc e non ex tunc (Cass., Sez. 1, 24/3/2016, n. 5919), sicché se è vero che, in siffatti casi, la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l’ha sottoscritta può considerarsi equivalente alla sottoscrizione, è altrettanto vero che la produzione ex nunc degli effetti del perfezionamento del contratto, in ragione della necessità della formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, fa sì che tale meccanismo non possa operare se l’altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l’atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l’estinzione automatica della proposta (art. 1329 cod. civ.), non più impegnativa per gli eredi (Cass., Sez. 1, 24/3/2016, n. 5919).
Ciò comporta l’erroneità del ragionamento dei giudici di merito, allorché hanno considerato indicativa di un patto di quota lite la delegazione di pagamento, senza neppure accertare se il creditore fosse stato parte del rapporto delegatorio o la delega fosse stata conferita nel solo interesse del delegante e senza neppure valutare quando ci fosse stata l’accettazione da parte del delegatario e se questa, ove individuabile nella proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, fosse intervenuta prima della revoca della delega da parte del delegante.
4. In conclusione, dichiarata la fondatezza delle due censure, il ricorso deve essere accolto e l’ordinanza cassata, con rinvio al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l ‘ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda