Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19413 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19413 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 14/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16300/2023 R.G. proposto da:
NAPOLI avv. COGNOME, rappresentato e difeso in proprio;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 331/2023 depositata il 16/02/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
L’avvocato NOME COGNOME ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza n. 331/2023 con cui la Corte d’Appello di Palermo, nella contumacia del Ministero della Giustizia, in parziale
riforma dell’ordinanza ex art. 702 ter cpc emessa dal Tribunale di Palermo, ha elevato ad euro 2.604,75 oltre accessori il compenso per l’attività professionale svolta in favore di una sua cliente in un giudizio di appello in materia di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Con la pronuncia oggi impugnata, la Corte palermitana ha ritenuto fondate le doglianze con cui l’avvocato censurava la pronuncia del Tribunale: per non essersi adeguato ai valori tariffari indicati dal vigente decreto ministeriale; per non aver fatto corretta applicazione dei criteri previsti dagli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., avendo ravvisato nella contumacia del Ministero giusti motivi per limitare la condanna dell’amministrazione al solo rimborso delle spese vive documentate, pari a €. 173,50. Ha ritenuto che la soccombenza dell’amministrazione non discende dalla sua resistenza alle pretese del professionista, ma dal fatto oggettivo dell’accoglimento, integrale o parziale, della domanda dell’avvocato inizialmente respinta dall’autorità giudiziaria; riconosceva, quindi, il rimborso forfettario delle spese generali cpa e iva, con gli interessi legali sulle somme dovute a titolo di onorario, a far tempo dal 27.06.2018 fino al soddisfacimento del credito.
La Corte d’Appello ha rigettato , invece, la doglianza riguardante il mancato riconoscimento del compenso per la fase istruttoria osservando che che detta fase riguarda il merito della causa, cioè il perseguimento del successo della parte nella controversia, non l’attività strumentale all’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, come sostenuto da ll’appellante.
Ha rigettato, altresì, la doglianza relativa alla commisurazione dell’onorario alla complessità del contezioso, ritenendo che la prestazione dell’avvocato Napoli fosse stata resa in un giudizio di divorzio non connotato da particolare difficoltà.
Al ricorso per cassazione resiste il Ministero della Giustizia.
A séguito della proposta ex art. 380 bis cpc del Consigliere Delegato, il ricorrente ha chiesto la decisione ex art. 380bis, comma 2, cod. proc. civ. e ha depositato, nell’imminenza della camera di consiglio, una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Violazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 -5 cod. proc. civ. Violazione e falsa applicazione degli artt. 91-92 cod. proc. civ. , dell’art . 2233 c.c. e dell’art. 4 D.M.55/2014 -37/2018, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello erroneamente ha ritenuto che la «fase istruttoria» eseguita dal difensore sia consistita in attività strumentale all’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, anziché attività defensionale che, ai sensi dell’art. 4 del D.M. 55/2014, riguardi direttamente il merito della causa, cioè il perseguimento del successo della parte nella controversia. Osserva, invece, il ricorrente che il giudice del giudizio presupposto aveva ordinato la produzione documentale dei redditi della cliente e i documenti riguardanti l’istanza corredata di autocertificazione, a suo tempo prodotta al COA di Palermo, in funzione probatoria, cioè al fine di aumentare l’assegno divorzile a favore dell’assistita. Solo con decreto successivo lo stesso giudice invitava l’assistita a produrre l’autocertificazione finalizzata all’ammissione al patrocinio gratuito, atteso che la richiesta era stata rigettata dal COA di Palermo. Così decidendo, quindi la Corte d’Appello è incorsa nella violazione di legge (l’art. 2233 cod. civ., con rifermento al n. 3 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.), contestualmente omettendo di esaminare il fatto storico decisivo, cioè l’attività
istruttoria espletata nel corso del giudizio presupposto (con rifermento al n. 5 dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ.).
1.1.Il motivo è fondato.
Questa Corte ha già avuto occasione di precisare che il parametro tabellare di cui al D.M. n. 55 del 2014 -applicabile anche ai compensi del difensore del cliente ammesso al patrocinio a spese dello Stato – è riferito alla «fase istruttoria e/o di trattazione», discendendone che l’eventuale mancato svolgimento della fase istruttoria in sé e per sé considerata (ossia di alcuna delle attività che in tale fase sono da intendersi comprese secondo l’indicazione esemplificativa contenuta nel comma 5, lett. c, de ll’art. 4 D.M. n. 55 del 2014) non vale ad escludere il computo, ai fini della liquidazione giudiziale dei compensi, dell’importo spettante per la fase così come complessivamente considerata nelle tabelle, restando questo comunque riferibile anche solo alla diversa fase della trattazione, come dimostra l’uso, nella descrizione in tabelle della corrispondente voce, della congiunzione disgiuntiva «o», sia pure in alternativa alla congiunzione copulativa «e»: «e/o» (Cass. n. 28627/2023). Ne segue che va comunque riconosciuto in generale il compenso per la fase di istruttoria, poiché la fase di trattazione della causa è in ogni caso «ineludibile» (Sez. 2, Ordinanza n. 17579 del 26.06.2024; Sez. 2, Ordinanza n. 3242 del 05/02/2024, Rv. 669998 -02; Sez. 2, n. 7143 del 10.03.2023).
La Corte d’Appello si è discostata dal citato principio e quindi la sentenza va cassata sotto questo profilo.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. Violazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4-5. Violazione degli artt. 91-92 cod. proc. civ., dell’art. 2233 c.c. e del D.M.55/2014 -37/2018 ai sensi dell’art. 360, comma 1,
3. A giudizio del ricorrente, la Corte territoriale ha erroneamente sottostimato la complessità del procedimento presupposto ai fini della liquidazione dell’onorario, laddove ha reputato che la prestazione del difensore fosse stata resa in un giudizio di non particolare complessità. Osserva il ricorrente che la complessità del giudizio presupposto non può dipendere esclusivamente dal caso in cui ci siano situazioni patrimoniali ingenti e di laborioso accertamento, come affermato in motivazione, ma anche dal caso in cui il giudizio è lungo e difficoltoso, come nella fattispecie (assegni dell’ ex coniuge non pagati o pagati in ritardo, visite della figlia all’altro coniuge ostacolate, denunce e controdenunce, allontanamento forzoso della minore dalla casa familiare). Inoltre, il ricorrente osserva che la Corte d’Appello ha anche omesso di valutare fatti attestati e ampiamente documentati, relativi alla complessità e durata della controversia.
Il motivo è infondato.
Con esso, infatti, si critica ‘ l’errata e laconica motivazione conseguente ad una cognizione superficiale del procedimento presupposto, ritenuto erroneamente mancante di documentazione ‘.
Il ricorrente si sofferma ad elencare tutti gli elementi di fatto che invece deponevano per la complessità della causa.
Orbene, la valutazione sul livello di complessità del giudizio costituisce una valutazione di fatto, riservata al giudice del merito (Sez. 1, n. 19011 del 31 luglio 2017; Sez. 1, n. 16056 del 2 agosto 2016).
La critica, tutta di tipo fattuale, sollecita valutazioni precluse in questa sede, a meno di non voler stravolgere la natura del giudizio di legittimità.
Con il terzo motivo, infine, si deduce violazione degli artt. 91-92 cod. proc. civ. , dell’art. 2233 c.c. e del D.M.55/2014, del D.M. 37/2018- del D.M. 47/22 ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3) cod.
proc. civ. Violazione degli artt. 115-116 cod. proc. civ. ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4-5 cod. proc. civ. Il ricorrente censura la pronuncia per aver erroneamente rideterminato la liquidazione del compenso: a suo dire, tale rideterminazione è viziata ab origine, atteso che -come argomentato nei precedenti mezzi di impugnazione – nella stessa manca il riferimento alla fase istruttoria ed è stata valutata in maniera non corretta la complessità del giudizio presupposto. In ogni caso, per il ricorrente la diminuzione ex art. 4 del D.M. 55/2014 (come modificato dall’art. 1, comma uno del D.M. n. 37/20148) non poteva superare il 50% dei valori medi indicati nelle tabelle. Infine, quanto all’accoglimento della censura con la quale l’odierno ricorrente aveva impugnato la decisione del Tribunale che aveva compensato le spese riconoscendo solo quelle vive, ha errato il giudice di seconde cure per non aver applicato le nuove tariffe di cui al D.M. 13.08.2022, n. 147, cui invece si era attenuta la nota spese, con la quale peraltro la Corte territoriale non si è neanche confrontata.
Il motivo merita parziale accoglimento, mentre in parte va dichiarato assorbito.
Quanto alle tariffe professionali applicabili: questa Corte, nella sua composizione più autorevole, ha stabilito che i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, debbono essere applicati ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe abrogate, evocando l’accezione omnicomprensiva di compenso la nozione di un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente
prestata (Sez. U, n. 17405 del 12/10/2012, Rv. 623533 -01; conf.: Sez. L, n. 27233 del 26/10/2018, Rv. 651261 -01; Sez. 6 – 3, n. 17577 del 04/07/2018, Rv. 649689 – 01).
Spetterà, dunque, al giudice del rinvio valutare quali tariffe applicare, in funzione del periodo in cui l’attività difensiva è stata espletata.
E’ infondata , invece, la doglianza inerente l’ errata diminuzione della metà dei valori medi ex art. 4 del D.M. 55/2014.
La Corte d’ Appello ha applicato le tabelle di cui al D.M. n. 55/2014 secondo i criteri dettati dall’art. 82 D.P.R. n. 115/2002, in virtù del quale la tariffa professionale del patrocinante non deve, in ogni caso, risultare superiore ai valori medi delle tariffe professionali vigenti, purché non al di sotto delle tariffe minime (Cass. 4759/2022; Cass. 31404/2019; Cass. n. 26643/2011). Sul compenso così determinato, anche se nei valori minimi, si applica l’ ulteriore decurtazione di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 (art. 130).
E infatti: nel caso di specie, ottenuta la semisomma dei valori minimo e medio (€. 5.209,50), la Corte d’Appello l’ha poi dimezzata secondo quanto previsto dall’art. 130 D.P.R. n. 115/2002
La previsione dell’abbattimento nella misura della metà della somma risultante in base alle tariffe professionali non impone al professionista un sacrificio tale da risolvere il ragionevole legame tra l’onorario a lui spettante ed il relativo valore di mercato, trattandosi, semplicemente, di una, parzialmente diversa, modalità di determinazione del compenso medesimo, tale da condurre ad un risultato sì economicamente inferiore a quello cui si sarebbe giunti applicando il criterio ordinario, e tuttavia ragionevolmente proporzionato, e giustificato dalla considerazione dell’interesse generale che il legislatore ha inteso perseguire, nell’ambito di una
disciplina, mirante ad assicurare al non abbiente l’effettività del diritto di difesa in ogni stato e grado del processo, nella quale la liquidazione degli onorari professionali è suscettibile di restare a carico dell’erario (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 4048 del 2024; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9808 del 23/04/2013, Rv. 626252 -01; Cass. 9808/2013, Corte cost. 350/2005, Corte cost. 201/2006 e 270/2012).
Di contro, la nota spese presentata dall’avvocato patrocinante, ammontante a € . 9.563,00, superava di gran lunga detti valori medi, anche inserendo la fase istruttoria/trattazione, che avrebbe raggiunto la cifra massima di €. 4.995,50 a valle della dimidiazione ex art. 130 D.P.R. n. 115/2002.
In conclusione, il Collegio accoglie il primo e, in parte, il terzo motivo del ricorso, rigetta il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla medesima Corte d’Appello in diversa composizione, che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta il secondo, nonché in parte il terzo, che per il resto dichiara assorbito;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Palermo in diversa composizione, anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2024.