Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 974 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11490/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresenta e difesa da sé medesima; -ricorrente- contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
-resistente- avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO di SALERNO SEZIONE LAVORO n. 964/2022 depositato il 9.5.2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con decreto n. 1114/2021 del 26.10.2022, il Consigliere delegato della Corte d’Appello di Salerno rigettava la domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata della procedura di opposizione agli atti esecutivi avanzata dall’avvocato NOME COGNOME nei confronti del Ministero della Giustizia, ritenendo ricorrere la causa di esclusione dell’indennizzo dell’art. 2 comma 2 quinquies lettera a) della L. n. 89/2001 e successive modificazioni, per avere la parte iscritto a ruolo la causa presso la cancelleria civile del Tribunale di Salerno, anziché presso quella delle esecuzioni, con conseguente improcedibilità dell’opposizione, con condotta connotata da colpa grave per la consapevolezza dell’infondatezza della sua pretesa.
Proponeva opposizione ex art. 5 ter L. 89/2001 nei confronti del Ministero della Giustizia l’avvocato NOME COGNOME che reiterava la richiesta di indennizzo, contestando la ritenuta sussistenza della colpa grave.
La Corte d’Appello di Salerno, sezione lavoro, col decreto n. 964/2022 RGV del 9.5.2023, nella resistenza del Ministero della Giustizia, accoglieva parzialmente l’opposizione, rilevando che per giurisprudenza consolidata della Suprema Corte (Cass. n. 12121/2018; Cass. n. 24409/2017; Cass. n. 3258/2017; Cass. n. 11206/2016) la compensazione delle spese processuali (nella specie disposta nel giudizio presupposto) era incompatibile con la sussistenza di un abuso del processo, per cui non era ravvisabile una colpa grave dell’avv. NOME COGNOME ostativa alla liquidazione dell’indennizzo per irragionevole durata del processo per avere iscritto l’opposizione agli atti esecutivi presso la cancelleria civile anziché presso quella delle esecuzioni, tanto più che il ricorso non risultava univocamente indirizzato, ed era stato
dichiarato improcedibile dopo molti anni, e che i contrasti giurisprudenziali esistenti sul punto erano stati fugati solo dalla sentenza n. 25179/2018 della Suprema Corte, intervenuta nel corso dell’opposizione agli atti esecutivi.
Nel merito, la Corte d’Appello di Salerno riconosceva una durata irragionevole del procedimento di opposizione agli atti esecutivi di cinque anni, applicava un moltiplicatore annuo di € 400,00, riduceva l’indennizzo così determinato di € 2.000,00 di 1/3 ex art. 2 bis comma 3° della L. n. 89/2001 per l’esito totalmente sfavorevole del giudizio presupposto e condannava il Ministero della Giustizia al pagamento in favore di NOME di un indennizzo di € 1.333,33 oltre interessi legali dal 29.11.2021 al saldo, nonché delle spese processuali, liquidate secondo la tariffa 12 allegata al DM n. 55/2014, come modificato dal DM n.147/2022, in € 89,92 per esborsi ed € 962,00 per compensi, con esclusione della fase istruttoria.
Avverso tale decreto ha proposto ricorso a questa Corte, notificato al Ministero della Giustizia il 29.5.2023, NOME affidandosi a due motivi e depositando memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c., ed il Ministero si è costituito ai fini dell’eventuale partecipazione alla discussione orale, e la causa è stata trattenuta in decisione nella camera di consiglio del 9.7.2024.
1) Col primo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, comma primo n. 3) c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91 c.p.c., 2233 cod. civ. e 4 del D.M. n. 55/2014 e successive modificazioni, tabelle 8 e 12, ed in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed alla violazione dell’art. 132 comma primo n. 4 c.p.c., la nullità dell’impugnato decreto, in quanto privo di una reale motivazione in ordine alla quantificazione delle spese di lite e dotato di una motivazione stereotipata.
Si duole la ricorrente dell’omessa liquidazione dei compensi sia per la fase monitoria, sia per la fase istruttoria e/o di trattazione del
giudizio di opposizione, asseritamente non tenutasi, ma in realtà emergente dalle note scritte di trattazione per l’udienza del 13.3.2023 (allegato 4), avendo la Corte d’Appello liquidato per i compensi solo i minimi della tariffa 12 allegata al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 147/2022, per causa ricompresa tra un valore di € 1.101,00 ed € 5.200,00 (€ 268,00 per fase di studio, € 268,00 per fase introduttiva ed € 426,00 per fase decisionale), che per le quattro voci avrebbe dovuto condurre ad una liquidazione di € 1.458,00 per compensi per l’opposizione, tenendo conto anche degli € 496,00 dovuti per la fase di trattazione, e spettando per il giudizio monitorio, in base alla tabella 8 allegata al D.M. n. 55/2014 e successive modificazioni, l’ulteriore importo di €284,00 per compensi.
Il primo motivo è parzialmente fondato e merita accoglimento per quanto di ragione.
Va anzitutto evidenziato che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, dev’essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (tra le varie Cass. sez. un. n. 2767/2023; Cass. sez. un. n. 8053/2014). Nel caso della motivazione apparente, la
motivazione pur graficamente presente, è totalmente inidonea ad illustrare le ragioni della decisione adottata (vedi Cass. n.16772/2006).
Nella specie non è ravvisabile il lamentato vizio di motivazione del decreto impugnato e la sua conseguente nullità ex art. 360 comma primo n. 4) c.p.c., in quanto la Corte d’Appello di Salerno, ha correttamente fatto applicazione della tabella 12 allegata alla tariffa del D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n.147/2022, valevole per le cause civili contenziose come appunto il giudizio di opposizione in materia di equa riparazione, e non era tenuta ad un’ulteriore liquidazione di compensi per la fase monitoria, dovendo compiere una liquidazione del compenso unitaria.
Per consolidato orientamento di questa Corte, infatti, l’opposizione di cui all’art. 5 -ter della L. n. 89 del 2001 non introduce un autonomo giudizio di impugnazione del decreto che ha deciso sulla domanda, ma realizza una fase a contraddittorio pieno di un unico procedimento, avente ad oggetto la medesima pretesa fatta valere con il ricorso introduttivo, per cui ove detta opposizione sia proposta dalla parte privata rimasta insoddisfatta dall’esito della fase monitoria e, dunque, abbia carattere pretensivo, le spese di giudizio vanno liquidate in base al criterio della soccombenza, a misura dell’intera vicenda processuale, in caso di suo accoglimento, senza la necessaria separazione della liquidazione dei compensi per la fase monitoria e per l’opposizione, e senza vincoli della liquidazione compiuta in fase monitoria (vedi Cass. ord. 26.4.2024 n. 11246; Cass. ord. n. 26398/2023; Cass. ord n. 26517/2023; Cass. ord. n. 23826/2023; Cass. ord. n. 16803/2023; Cass. ord. n. 9728/2020; Cass. ord. 26.5.2020 n. 9728).
Il decreto impugnato ha applicato il principio della soccombenza per l’accoglimento parziale del ricorso, ed inoltre ha fatto rinvio agli importi minimi previsti dalla tabella 12 citata, relativi alle cause civili di valore ricompreso tra € 1.101,00 ed € 5.200,00,
corrispondente all’indennizzo riconosciuto dovuto di € 1.333,33, per le voci di studio, introduttiva e decisionale, ed ha escluso la voce istruttoria ritenendo che le attività relative non fossero state svolte, per cui ha fornito una motivazione che è certamente idonea ad indicare, sia pure succintamente, le ragioni della decisione adottata.
Sussiste invece la lamentata violazione dell’art. 360 comma primo n. 3) c.p.c., in quanto il compenso complessivamente liquidato a seguito dell’opposizione, di € 962,00, è inferiore ai minimi liquidabili secondo la tariffa 12 allegata al D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 147/2022, per le quattro voci (studio di € 268,00, introduttiva di € 268,00, trattazione di € 496,00 e decisionale di €426,00), pari ad € 1.458,00.
La liquidazione del compenso per la fase istruttoria, o trattazione, nei giudizi di opposizione in tema di equa riparazione, infatti, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, è ineludibile (Cass. ord. 26.6.2024 n. 17602; Cass. ord. n.26608/2023; Cass. ord. n.164/2022; Cass. ord. n. 35373/2022), tanto più che dal documento richiamato dalla ricorrente emerge che un’effettiva trattazione, anche se scritta, della causa, vi è stata nel giudizio conseguente all’opposizione, avendo oltre tutto contrastato le richieste della opponente il Ministero della Giustizia.
Dal momento che la liquidazione dei compensi sotto il minimo tariffario deve ritenersi lesiva del decoro della professione di avvocato (vedi in tal senso Cass. 26.6.2024 n. 17613; Cass. ord. n. 28325/2022), il Ministero della Giustizia va quindi condannato al pagamento in favore della ricorrente, per i compensi spettanti a seguito dell’opposizione parzialmente accolta, dell’ulteriore importo di € 496,00 oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
Col secondo motivo la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 4) c.p.c. ed alla violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sulla formulata richiesta di liquidazione
dell’aumento fino al 30% del compenso per la redazione di atti navigabili ex art. 4 comma 1 bis del D.M. n. 55/2014, come modificato dal D.M. n. 37/2018 e successive modificazioni (che ha eliminato l’espressione ‘di regola’ utilizzata in precedenza dal legislatore a proposito di tale aumento), sia per la fase monitoria, che per il giudizio di opposizione, la nullità dell’impugnato decreto, contenente sul punto solo formule stereotipate.
Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto la ricorrente, limitandosi a richiedere l’aumento in questione nella nota spese del giudizio di opposizione, ha dato per scontato che lo stesso, dopo la riforma dell’art. 4 comma 1 bis del D.M. n. 55/2014 operata dal D.M. n.37/2018, debba essere concesso dal giudice in via automatica, e nulla di specifico ha dedotto circa le modalità di attuazione del collegamento ipertestuale concretamente seguite.
Secondo il nuovo testo dell’art. 4 comma 1 bis del D.M. n. 55/2014 introdotto dal D.M. n. 37/2018, qui applicabile, trattandosi di liquidazione di compensi successiva al 27.4.2018 ‘ Il compenso determinato tenuto conto dei parametri generali di cui al comma 1 é ulteriormente aumentato fino al 30 per cento quando gli atti depositati con modalità telematiche sono redatti con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, quando esse consentono la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto’.
Da tale disposizione si ricava che la ricorrente avrebbe dovuto allegare nell’atto introduttivo del giudizio di legittimità, e già prima nella richiesta di aumento, che gli atti erano stati da lei depositati telematicamente con tecniche informatiche idonee ad agevolarne la consultazione o la fruizione e, in particolare, in modo da consentire la ricerca testuale all’interno dell’atto e dei documenti allegati, nonché la navigazione all’interno dell’atto, mentre la ricorrente si è
limitata ad allegare del tutto genericamente di avere redatto gli atti in modalità ipertestuale richiamando la normativa vigente, non consentendo quindi a questa Corte di verificare se le modalità ipertestuali di redazione degli atti in concreto seguite fossero tali da agevolare concretamente l’esame separato degli atti processuali dalla stessa formati ed allegati richiamati nei suoi atti processuali.
Conclusivamente, va accolto parzialmente il primo motivo di ricorso, rigettato il secondo, con cassazione del decreto impugnato in relazione al motivo accolto e non essendo necessari ulteriori accertamenti, decidendo nel merito, condanna il Ministero al pagamento in favore della ricorrente di una somma aggiuntiva per le spese della fase avanti alla Corte di appello per la fase istruttoria pari ad € 496,00, oltre accessori.
Quanto alle spese del giudizio di legittimità, il Ministero della Giustizia, in base al principio della soccombenza prevalente, e tenuto conto del modestissimo importo aggiuntivo riconosciuto dovuto (€ 496,00) secondo il criterio del disputatum nei limiti del decisum, va condannato al pagamento di € 300,00 per compensi ed € 100,00 per spese, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, rigettato il secondo, cassa l’impugnato decreto in relazione al motivo accolto, e decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente dell’ulteriore compenso di €496,00 oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15% per il giudizio conseguente all’opposizione, e condanna il Ministero medesimo al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in €
300,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15% e di € 100,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda