Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 1265 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 1265 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 19/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso 14859 – 2022 proposto da:
avv. COGNOME elettivamente domiciliato in Bari, presso il suo studio, rappresentato e difeso da sé stesso ex art 86 cod. proc. civ., con indicazione dell’indirizzo pec;
– ricorrente –
contro
Condominio in Bari al INDIRIZZO, in persona del suo amministratore pro tempore
– intimato – avverso l’ordinanza del TRIBUNALE DI BARI n. rep. 3036/2022, depositata il 27/05/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/11/2024 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 14 d.lgs. 250/2011, depositato il 9/11/2021, l’avv. NOME COGNOME convenne in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Bari, il Condominio INDIRIZZO chiedendone la condanna al pagamento di Euro 4.264,71, oltre oneri accessori, a titolo di compenso per l’attività di difesa svolta, in suo favore, dinnanzi al Giudice di pace di Bari in primo grado e, in grado di appello, dinnanzi al Tribunale di Bari.
Nella contumacia del Condominio, con ordinanza n. rep. 3036/20222, il Tribunale di Bari liquidò la minor somma di Euro 770,00, individuando il valore della controversia secondo il criterio del decisum , cioè della somma di Euro 800,00 stabilita infine dalla Corte d’appello come dovuta dal Condominio e applicando i parametri medi, tenuto conto della scarsa complessità delle questioni in fatto e in diritto oggetto della prestazione; liquidando le spese, non impose a carico del soccombente l’IVA, considerando che l’avvocato si era difeso in proprio, ex art. 86 cod. proc. civ..
Avverso questa ordinanza l’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a tre motivi; il Condominio non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo , l’avv. COGNOME ha denunciato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione de ll’ art. 2233 cod. civ. , dell’art. 13 della legge n. 247/2012 e degli artt. 4 e 5 del d.m. n. 55/2014: il Tribunale di Bari avrebbe applicato il criterio del decisum in riferimento alla sentenza delle Sezioni Unite n. 19014 dell’11/09/2007, senza considerare che il principio è stato fissato per la liquidazione delle spese a carico del soccombente, ma non è utilizzabile nella liquidazione a carico del cliente.
1.1. Il primo motivo è fondato. L’art. 5 d.m. 55/2014 prevede, al secondo comma, che nella liquidazione dei compensi a carico del cliente si abbia riguardo al valore corrispondente all’entità della domanda; il valore effettivo e, dunque, il decisum è considerato soltanto se risulti manifestamente diverso da quello presunto (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 32265 del 2022; Sez. 2 – , Ordinanza n. 28885 del 18/10/2023): nei rapporti tra avvocato e cliente, infatti, sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito; pertanto, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata (Sez. 2 – , Ordinanza n. 18507 del 12/07/2018).
Decidendo in applicazione diretta del criterio del decisum , invece individuato per la liquidazione delle spese a carico della parte soccombente, la Corte non ha correttamente applicato i suesposti principi.
Con il secondo motivo il ricorrente ha lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1224 cod. civ., degli artt. 2, 4 e 5 del d.lgs. n. 231 del 9/10/2002 e dell’art. 1284 co. 4 cod. civ. e, per diverso profilo, in riferimento al n. 4 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ, la violazione dell’art 132 co. 2 cod. proc. civ. e 111 della Costituzione per omessa motivazione della quantificazione degli interessi riconosciuti
nella misura legale. In particolare, il ricorrente ha sostenuto che la Corte d’appello avrebbe dovuto fissare il termine di decorrenza degli interessi sugli importi dovuti non alla data della pronuncia, ma alla data della richiesta stragiudiziale di adempimento o, al più, di proposizione della domanda giudiziale, perché la mora non può essere esclusa soltanto perché il Giudice opera una liquidazione in misura inferiore al preteso; ha sostenuto, inoltre, che il Tribunale avrebbe dovuto riconoscere gli interessi cosiddetti ultralegali, ex l. 231/2002 a partire dall’invio delle parcelle o, quanto meno, a partire dalla domanda introduttiva.
2.1. Anche il secondo motivo è fondato.
Questa Corte ha già stabilito che nel caso di richiesta avente ad oggetto il pagamento di compensi per prestazioni professionali rese dall’esercente la professione forense, gli interessi di cui all’art. 1224 cod. civ. competono a far data dalla messa in mora (coincidente con la data della proposizione della domanda giudiziale ovvero con la richiesta stragiudiziale di adempimento) e non anche dalla successiva data in cui intervenga la liquidazione da parte del giudice, eventualmente all’esito del procedimento sommario di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, non potendosi escludere la mora sol perché la liquidazione sia stata effettuata dal giudice in misura inferiore rispetto a quanto richiesto dal creditore (Cass. Sez. 2, n. 24973 del 19/08/2022)
Quanto all’applicabilità del 1284 comma 4 cod. civ. (certamente operante, ratione temporis , ex art. 17 d.l. 12 settembre 2014 n. 132, e modificato, in sede di conversione, dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, per essere il procedimento iniziato dopo il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione), è stato pure puntualizzato che ciò che rileva, a tal fine, è che il pagamento venga effettuato nel contesto di una «transazione commerciale», caratterizzata quest’ultima dalla presenza di prestazioni consistenti –
anche non esclusivamente, purché prevalentemente – nella consegna di merci o nella prestazione di servizi. Il sintagma «transazione commerciale» riassume, dunque, il genus dei contratti ai quali la disciplina degli interessi ex art. 1284 comma IV cod. civ. trova applicazione e deve essere riferito, perciò, non soltanto a contratti tipici come la compravendita e l’appalto, ma anche a tutti quei contratti tipici quali la somministrazione, il contratto d’opera, la mediazione, il trasporto, il deposito, la commissione, la spedizione, l’agenzia, oltre che a quei contratti atipici che prevedono una prestazione di dare o di facere contro il pagamento di un prezzo.
All’interno del codice civile, invero, l’espressione «prestazione di servizi», si rinviene ad esempio nella disciplina del lavoro domestico (art. 2240 cod. civ.) ed è altresì richiamata nella definizione del contratto d’opera (compimento di un servizio, art. 2222 cod. civ.), in alternativa al compimento di un’opera; ugualmente, nella definizione dell’appalto (art. 1655 cod. civ.), l’oggetto del contratto è descritto come compimento di un’opera o di un servizio, ma deve ritenersi, in adesione alla prevalente dottrina, che l’espressione prestazione di servizi nella norma in esame sia stata usata dal legislatore in senso non tecnico e stia ad indicare tutte le prestazioni di fare (e, quindi, anche di non fare) che trovano il loro corrispettivo in un pagamento, così che nella stessa espressione va compresa la generalità dei contratti (tra “imprese”) caratterizzati da un pagamento in denaro quale corrispettivo di prestazioni della più varia natura (di dare, di consegnare, di fare, di non fare, etc.). L’espressione consegna di merci o prestazione di servizi indica in generale tutto ciò che viene fornito contro il pagamento di un prezzo. In definitiva, la categoria di contratti (transazioni commerciali) cui si applica la normativa sul ritardo di pagamento, è costituita dai contratti di scambio che operano la creazione o circolazione della ricchezza, stipulati da soggetti qualificati
e caratterizzati dal pagamento di un prezzo (così Cass. Sez. 2, n. 10528 del 31/03/2022). Per queste considerazioni, la misura degli interessi cosiddetti ultr alegali è pure applicabile ai contratti d’opera professionale.
2.2. In accoglimento dei primi due motivi l’ ordinanza impugnata deve, perciò, essere cassata.
Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha, con un primo profilo, prospettato, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2233 cod. civ., dell’art. 13 della L.247/2012 e, per altro profilo, degli artt. 4 e 5 del D.M. 55/2014 e dell’art. 3 co. 3 del D.P.R. 633/1972, in relazione alla motivazione della decisione sulla regolamentazione delle spese di giudizio: anche con riferimento alle spese di giudizio, invero, il parametro applicabile avrebbe dovuto essere individuato in base al valore della domanda, ai sensi dell’art. 5 co. 2 del d.m. 55/2014 e non del decisum ; per altro profilo, il ricorrente ha lamentato che erroneamente la Corte d’appello abbia negato il riconoscimento dell’ I.V.A. sui compensi professionali liquidati in Euro 220,00, in quanto rappresentanti ipotesi di autoconsumo, perché l’art. 3 co. 3 del d.P.R. n. 633/1972, comunque assoggetta a I.V.A. anche le prestazioni di servizi effettuate per uso personale purché l’operazione abbia un valore superiore ad Euro 50.
3.1. I n conseguenza della cassazione dell’ordinanza, il primo profilo concernente la statuizione sulle spese è assorbito.
3.2. Infondato è, invece, il secondo profilo che ha una sua autonoma rilevanza in diritto. Nel ricorso ex art. 14 d.lgs. n.150/2011, l’avv. NOME COGNOME si è difeso in proprio; liquidando le spese del procedimento, il Tribunale ha escluso l’importo dell’IVA dalle somme dovute dalla resistente cliente a titolo di spese, ricorrendo «un’ipotes i di autoconsumo di servizi di professionista».
Così decidendo, il Tribunale ha correttamente applicato il principio, già stabilito da questa Corte, secondo cui è esclusa dall’applicazione dell’IVA la prestazione professionale dell’avvocato svolta per difesa personale, ai sensi dell’art. 86 cod. proc. civ., stante la coincidenza in un unico soggetto delle qualità di prestatore e di fruitore del servizio; pertanto, detta imposta indiretta non è dovuta dalla parte soccombente, estranea al rapporto, al legale risultato vittorioso, comunque tenuto, all’atto del ricevimento delle spese liquidate, a rilasciare una quietanza, anche per giustificare l’incasso assoggettato all’imposta (diretta) sul reddito (così Cass. Sez. L, n. 7356 del 19/03/2024).
Il ricorso è perciò accolto limitatamente al primo e al secondo motivo, assorbito il primo profilo e rigettato il secondo profilo del terzo motivo.
In questi limiti l’ordinanza impugnata è cassata, con rinvio al Tribunale di Bari in diversa composizione perché provveda all’esame della domanda dell’avv. COGNOME in applicazione dei principi suesposti.
Statuendo in rinvio, il Tribunale deciderà anche sulle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei limiti fissati in motivazione, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bari in diversa composizione anche per le spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda