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Compenso avvocato conciliazione: la Cassazione chiarisce

Un avvocato ha fatto ricorso per ottenere il corretto pagamento dei suoi compensi professionali dopo aver concluso un giudizio con una conciliazione. Il Tribunale aveva liquidato un importo ridotto. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, chiarendo che il corretto compenso avvocato conciliazione prevede il riconoscimento del pagamento per la fase decisionale, anche se non svolta, aumentato di un quarto. Questo principio incentiva la risoluzione amichevole delle controversie.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso avvocato conciliazione: come si calcola? La parola alla Cassazione

Il calcolo del compenso avvocato conciliazione rappresenta un tema di grande importanza pratica, poiché incentiva la risoluzione alternativa delle controversie. Quando una causa si chiude con un accordo tra le parti, come viene remunerata l’attività del legale che ha reso possibile tale risultato? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 8576/2024, offre un chiarimento fondamentale, interpretando la normativa in un’ottica premiale per il difensore che riesce a evitare una sentenza.

I fatti di causa

Un avvocato si rivolgeva al Tribunale per ottenere il pagamento dei compensi professionali dovuti dai suoi ex clienti, per i quali aveva prestato attività difensiva in un giudizio civile conclusosi positivamente con una conciliazione. Il Tribunale, pur accogliendo la domanda, liquidava il compenso per la fase di conciliazione in una misura pari al 25% di quanto previsto per quella stessa fase. Insoddisfatto, il legale decideva di impugnare tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un’errata applicazione della normativa di riferimento.

La corretta interpretazione del compenso avvocato conciliazione

Il fulcro del ricorso verteva sull’interpretazione dell’articolo 4, comma 6, del D.M. 55/2014, che disciplina i parametri per i compensi professionali. Secondo il ricorrente, il Tribunale aveva errato nel calcolare l’aumento del 25%. La norma, a suo avviso, non andava interpretata nel senso di riconoscere solo una frazione del compenso previsto per la fase di conciliazione, ma in modo ben più favorevole.

L’avvocato sosteneva che, in caso di esito conciliativo, gli spettasse non solo il compenso per le fasi effettivamente svolte (studio, introduttiva), ma anche il compenso integrale previsto per la fase decisionale, sebbene questa non avesse avuto luogo. Oltre a ciò, su tale importo andava applicato un ulteriore aumento del 25% a titolo di premio per il successo della negoziazione. In sostanza, una doppia remunerazione: il compenso per una fase non svolta più un bonus su di esso.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso, accogliendo pienamente la tesi del legale. Gli Ermellini hanno ribadito un principio già consolidato nella loro giurisprudenza, fondato sul cosiddetto “favor” normativo per le definizioni conciliative delle controversie. La norma in questione (art. 4 del D.M. 55/2014) deve essere letta come uno strumento per incentivare gli avvocati a perseguire la via dell’accordo.

Secondo la Corte, limitarsi a riconoscere una piccola percentuale del compenso sarebbe contrario a questa finalità. La corretta interpretazione, dunque, è la seguente: all’avvocato che conclude una conciliazione spetta un compenso aggiuntivo rispetto a quello per l’attività già svolta. Tale compenso è pari a quello liquidabile per la fase decisionale (che, grazie all’accordo, non si è tenuta) e, di regola, tale importo va aumentato fino a un quarto. Si tratta di un vero e proprio “premio” che riconosce il valore dell’attività conciliativa, la quale produce un beneficio per le parti (che evitano le incertezze e i tempi di una sentenza) e per il sistema giudiziario (che viene alleggerito).

Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione è di notevole importanza pratica. Essa stabilisce in modo inequivocabile che l’attività dell’avvocato volta a conciliare la lite merita una remunerazione significativa. Il principio affermato è che l’avvocato non solo non viene penalizzato per aver evitato la fase decisionale, ma viene premiato con il compenso che gli sarebbe spettato per quella fase, maggiorato di un quarto. La Corte ha quindi cassato l’ordinanza del Tribunale di Torino e ha rinviato la causa allo stesso Tribunale, in diversa composizione, affinché proceda a una nuova liquidazione del compenso in base al principio di diritto enunciato.

Come si calcola il compenso dell’avvocato se la causa si conclude con una conciliazione?
In caso di conciliazione, all’avvocato spetta il compenso per le fasi di studio e introduttiva effettivamente svolte, più un ulteriore compenso pari a quello previsto per la fase decisionale (anche se non avvenuta), aumentato fino a un quarto.

L’aumento per la conciliazione si aggiunge o sostituisce il compenso per la fase decisionale?
L’aumento non sostituisce nulla, ma si configura come un premio. All’avvocato viene riconosciuto sia il compenso per la fase decisionale non svolta, sia un aumento su tale importo, fino a un massimo del 25%.

Perché la legge prevede un compenso aggiuntivo per l’avvocato che ottiene una conciliazione?
La normativa, come interpretata dalla Cassazione, intende incentivare la risoluzione amichevole delle liti. Premiare l’avvocato che raggiunge un accordo riconosce il valore della sua attività, che porta benefici alle parti e alleggerisce il carico del sistema giudiziario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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