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Compenso avvocato: accordo tra le parti prevale

Una professionista legale ha citato in giudizio un Comune per il pagamento delle proprie competenze professionali, richiedendo 25.000 euro. Il Tribunale prima e la Corte di Cassazione poi hanno respinto la richiesta, limitando il compenso a 1.500 euro, ovvero la cifra specificamente pattuita nella delibera di conferimento dell’incarico. La Suprema Corte ha ribadito che l’accordo scritto tra le parti costituisce il criterio principale per la determinazione del compenso avvocato, prevalendo sui parametri ministeriali, e che la legge sull’equo compenso non ha efficacia retroattiva.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Avvocato: L’Accordo Scritto Prevale sui Parametri Ministeriali

La determinazione del compenso avvocato è una questione centrale nel rapporto tra professionista e cliente. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: l’accordo scritto tra le parti ha la precedenza su qualsiasi altro criterio, inclusi i parametri forensi stabiliti per decreto ministeriale. Questa decisione sottolinea l’importanza di definire chiaramente e per iscritto i termini economici dell’incarico professionale fin dall’inizio, per evitare future controversie.

I Fatti del Caso: La Controversia sul Compenso

Una professionista legale aveva assistito un Comune in una causa di lavoro tra il 2014 e il 2017. Al termine dell’incarico, l’avvocatessa richiedeva il pagamento di un compenso di 25.000 euro, calcolato in base ai parametri professionali vigenti.

Tuttavia, il Tribunale adito accoglieva la richiesta solo in minima parte, liquidando la somma di 1.500 euro. La motivazione risiedeva nel fatto che la delibera comunale di conferimento dell’incarico richiamava espressamente una precedente delibera che fissava un compenso forfettario di 1.500 euro per le cause di valore superiore a una certa soglia, come quella in oggetto. L’avvocatessa ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la violazione di diverse norme, tra cui quelle sui compensi professionali e sull’interpretazione del contratto.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Compenso Avvocato

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno chiarito che l’accordo tra le parti è il criterio prioritario per determinare il compenso avvocato, come stabilito dall’articolo 2233 del Codice Civile.

Le Motivazioni: La Gerarchia delle Fonti per il Compenso dell’Avvocato

La Corte ha ripercorso la gerarchia dei criteri per la liquidazione dei compensi professionali. Al primo posto si colloca la convenzione liberamente stipulata tra le parti. Solo in mancanza di un accordo, si ricorre in via subordinata ai parametri ministeriali (come il D.M. 55/2014) o, in ultima istanza, alla determinazione del giudice.

Nel caso specifico, la delibera comunale, che l’avvocatessa non ha contestato al momento del conferimento dell’incarico, costituiva a tutti gli effetti un accordo sulla quantificazione del compenso. La Corte ha specificato che la pattuizione di un compenso, anche in misura inferiore ai minimi tariffari, è pienamente legittima, poiché le tariffe non costituiscono norme imperative idonee a invalidare un accordo in deroga, ma rispondono a un interesse di decoro della categoria professionale.

Inapplicabilità dell’Equo Compenso

La ricorrente aveva inoltre invocato l’applicazione della normativa sull’equo compenso (introdotta con la L. 172/2017), che mira a tutelare i professionisti contro clausole vessatorie e compensi non proporzionati alla prestazione. La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, chiarendo che tale normativa non ha efficacia retroattiva (ratione temporis). Pertanto, non può essere applicata a un incarico professionale conferito e conclusosi prima della sua entrata in vigore.

Conclusioni: L’Importanza della Chiarezza Contrattuale

Questa ordinanza rafforza il principio dell’autonomia contrattuale nel rapporto tra avvocato e cliente. La lezione fondamentale è la necessità di formalizzare sempre per iscritto e in modo inequivocabile l’accordo sul compenso. Un patto chiaro e definito all’inizio dell’incarico previene malintesi e contenziosi, stabilendo con certezza i diritti e i doveri di entrambe le parti e prevalendo su qualsiasi altro criterio di determinazione del compenso. Per i professionisti, ciò significa che accettare un incarico tramite un atto che predetermina il compenso equivale a stipulare un contratto vincolante su quella cifra.

Un accordo scritto sul compenso di un avvocato può prevedere una somma inferiore ai parametri professionali stabiliti per legge?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che le parti possono liberamente pattuire un compenso, anche in misura inferiore ai limiti tariffari, in quanto l’accordo prevale sugli altri criteri di determinazione.

La legge sull’equo compenso si applica ai contratti professionali stipulati prima della sua entrata in vigore?
No, la Corte ha stabilito che la legge sull’equo compenso (art. 13 bis della L. 247/2012, introdotto nel 2017) non ha valore retroattivo e non può essere applicata a incarichi conferiti e conclusi prima della sua vigenza.

Qual è il criterio principale per la determinazione del compenso di un professionista legale?
Il criterio principale, secondo l’art. 2233 del Codice Civile e la giurisprudenza costante, è la convenzione stipulata tra le parti. Solo in assenza di un accordo si fa riferimento, in ordine successivo, alle tariffe o agli usi e, infine, alla determinazione del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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