Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 12406 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 12406 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/05/2025
OGGETTO:
compensi dell’avvocato per prestazioni giudiziali civili
RG. 21520/2023
C.C. 17-4-2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 21520/2023 R.G. proposto da:
COGNOME c.f. CODICE_FISCALE, in proprio ex art. 86 cod. proc. civ.
ricorrente
contro
COMUNE DI TRIPI, c.f. NUMERO_DOCUMENTO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME controricorrente
avverso l ‘ordinanza R.G. 1644/2022 rep. 348/2023 del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, depositata il 23-3-2023, udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17-42025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. NOME COGNOME ha adito ex art. 14 d.lgs. 150/2011 il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto al fine di ottenere la condanna del Comune di Tripi al pagamento di Euro 7.795,00 oltre accessori in ragione dell’attività professionale svolta a favore del Comune nel giudizio R.G. 857/2008 avanti il medesimo Tribunale.
Si è costituito il Comune di Tripi, sostenendo l’esistenza di un accordo perfezionatosi in data 19-1-2009, con il quale era stato pattuito il compenso di Euro 4.213,00, sulla base di progetto di parcella a firma dello stesso professionista e da questo inviato al Comune il 131-2009, contenente la precisazione che detto importo sarebbe stato ulteriormente decurtato del 15%, dati i rapporti professionali già intercorsi con il Comune.
Il Tribunale ha accolto la domanda come proposta, condannando il Comune convenuto al pagamento di Euro 7.795,00 oltre accessori e spese di lite, in applicazione delle tabelle per la liquidazione delle spese professionali.
Avverso l’ordinanza il Comune di Tripi ha proposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo proposto ex art. 360 co. 1 n. 5 cod. proc. civ., lamentando che il Tribunale non avesse esaminato le difese del Comune e non avesse considerato l’esistenza di accordo sul compenso vincolante tra le parti.
Con ordinanza n. 22267/2022 pubblicata il 14-7-2022 la Corte Suprema sesta sezione- sottosezione seconda ha accolto il ricorso, cassando l’ordinanza impugnata e rinviando la causa al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto anche per la pronuncia sulle spese di legittimità; l’ordinanza ha rilevato: « Benché il Comune avesse eccepito il perfezionamento di un accordo che contemplava un compenso ad Euro 4213,00 con ulteriore decurtazione del 15%, la liquidazione è stata effettuata in applicazione dei criteri tabellari, cui tuttavia il tribunale poteva far riferimento solo in mancanza di un eventuale accordo sul compenso, dato il carattere residuale del sistema tabellare secondo i criteri di priorità stabiliti dall’art. 2233 c.c. La norma prevede una gerarchia a carattere preferenziale dei criteri di liquidazione e quindi il ricorso ai criteri sussidiari (tariffe professionali, usi, decisione giudiziale) è precluso al giudice quando sussista uno specifico accordo
tra le parti, i cui patti risultano preminenti su ogni altro criterio di liquidazione (Cass. 14050/2021; Cass. 2631/2021; Cass. 17726/2018; Cass. 29837/2011).
E’ dunque sussistente l’omesso esame di fatto decisivo -consistente nel perfezionamento del contratto di incarico con cui erano stati determinati anche i criteri di calcolo del compenso del difensore -specificamente dedotto e idoneo a influire sulla decisione ».
Il Comune di Tripi e l’avv. NOME COGNOME hanno riassunto il giudizio, che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto ha deciso con ordinanza depositata il 21-3-2023.
L’ordinanza ha dichiarato che era stato dimostrato che tra le parti era intercorso accordo in forma scritta sui criteri di calcolo del compenso, sulla base della notula inviata dall’avv. COGNOME il 13 -12009 e recepita dal Comune il 19-1-2009; ha dichiarato che perciò la domanda doveva essere accolta nei termini sostenuti dal Comune, ponendo alla base il compenso pattuito di Euro 4.213,00 oltre oneri fiscali, d al quale detrarre l’acconto corrisposto di Euro 800,00, di cui Euro 653,59 di imponibile; sul residuo di Euro 3.559,41 doveva essere praticata la decurtazione del 15% prevista dall’accordo, per cui il saldo dovuto era pari a Euro 3.025,50, oltre iva e cpa; per l’effetto ha condannato il Comune a pagare tale importo e ha condannato l’avv. COGNOME alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità e del giudizio di rinvio.
2.Avverso l’ordinanza l’avv. NOME COGNOME in proprio ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il Comune di Tripi ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380bis.1 cod. proc. civ. e in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 17-4-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e segg. c.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. -Violazione dei canoni legali di interpretazione del contratto’; sostiene che l’ordinanza abbia violato il canone di interpretazione letterale, in quanto nel Patto di compenso sottoscritto dall’avvocato con il Capo Settore del Comune si usava l’espressione ‘il compenso sarà determinato’ e quindi il compenso non era stato convenuto nella misura fissa di Euro 4.213,00, come corroborato dall’aggiunta ‘rispetto al trattamento economico presuntivamente preventivato in Euro 4.213,00’; quindi sostiene che l’uso dell’avverbio ‘presuntivamente’ lasciava intendere che l’importo di Euro 4.213,00 era puramente indicativo e aggiunge che, se le parti avessero voluto concordare il compenso in misura fissa, non avrebbero fatto riferimento anche al valore della causa, alle misure minime di cui alle tariffe e all’ulteriore decurtazione del 15% . Aggiunge che, soltanto nel caso in cui il dato testual e non fosse stato sufficiente a individuare l’intenzione dei contraenti, l’indagine avrebbe dovuto essere ampliat a ex art. 1362 co. 2 cod. civ., considerando non solo la notula dell’avvocato di data 13-1-2009, ma anche il contenuto della delibera, nella quale si faceva riferimento al fatto che sarebbe stata redatta la parcella a saldo con riferimento alle tariffe di cui al D.M. 8-4-2004.
1.1.Il motivo è infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata non ha considerato soltanto il dato che l’accordo sul compenso era stato concluso sulla base della proposta proveniente dallo stesso avvocato COGNOME indicante l’importo di Euro 4.213,00, ma ha considerato che quella proposta era stata elaborata sulla base
di un valore della causa di Euro 178.000,00, notevolmente superiore a quello di Euro 76.315,00 riconosciuto dalla sentenza che aveva definito il giudizio; ha considerato altresì che il ‘patto di compenso professionale’ prevedeva che il compenso sarebbe stato determinato avuto riguardo al valore della causa con applicazione delle misure minime di cui alle tariffe del D.M. 8-4-2004 n. 127 e riduzione del 15%; a fronte di questi dati, ha dichiarato che non vi erano dubbi in ordine al fatto che la volontà delle parti era nel senso di ancorare la quantificazione dei compensi ai minimi tariffari con la decurtazione del 15%. In questo modo, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, l’ordinanza non ha ritenuto l’importo di Euro 4.213,00 un parametro concordato in misura fissa, in violazione dei dati letterali valorizzati dal ricorrente; ha considerato tale importo come corrispondente ai criteri oggetto di accordo tra le parti, riferiti alla quantificazione dell’importo del compenso negli importi minimi di cui alla tariffa prevista dal D.M. 8-4-2004 n.127 sulla base del valore della causa, con la decurtazione del 15%. L’interpretazione si sottrae a tutte le critiche del ricorrente, in quanto risulta rispettosa del canone di interpretazione letterale dell’accordo intercorso tra le parti e l’interpretazione del contratto, concretandosi in una operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito; la censura a tale indagine in sede di legittimità non può risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. Sez. 1 94-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-01).
2.Con il secondo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 11 delle Preleggi, dell’art. 9 comma 1, 2 e 3 del
D.L. n. 1/2012, convertito in L. n. 27/2012, dell’art. 1419 comma 2 c.c., nonché degli artt. 1 e 41 del D.M. 140/2012, dell’art. 13 della L. 247/2012 e del D.M. 55/2014, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. -ius superveniens nel contratto’; lamenta che il giudice del rinvio non abbia tenuto conto del fatto che, nelle more del giudizio, erano state abrogate le tariffe di cui al D.M. 127/2004 e sostiene che si sia verificata una ipotesi di nullità sopravvenuta, che ha travolto la clausola, con la conseguenza che il compenso doveva essere liquidato alla luce dei parametri emanati in attuazione dell’art. 9 D.L. 1/2012 che ha previsto l’abrogazione delle tariffe e perciò dei D.M. 140/2012 e 55/2014.
2.1.Il motivo è manifestamente infondato.
L’ordinanza impugnata ha accertato che l’accordo concluso dalle parti era nel senso della determinazione del compenso negli importi minimi di cui alle tariffe professionali previste dal D.M. 127/2004. La circostanza che, prima che l’attività professionale si fosse esaurita, quelle tariffe professionali fossero state abrogate non comportava che l’accordo, valido nel momento in cui era stato concluso, fosse affetto da nullità sopravvenuta: l’abrogazione in quanto tale -avendo efficacia per il futuro- non incideva automaticamente sugli accordi già conclusi, dipendendo piuttosto tale incidenza dal contenuto degli accordi medesimi. Nella fattispecie l ‘ordinanza impugnata ha accertato che le parti avevano voluto accordarsi in ordine compenso spettante al professionista sulla base dei valori delle tariffe dell’epoca, a prescindere dalle sopravvenienze; tale accertamento sul contenuto della volontà delle parti non è attinto in modo ammissibile dal ricorrente, il quale si limita, nel corpo del primo motivo di ricorso, a dichiarare che tale affermazione dell’ordinanza impugnata non sia comprensibile. Al contrario, l’affermazione è del tutto chiara nell’interpretare la volontà delle parti nel senso che le parti avevano voluto recepire nel loro
accordo i minimi della tariffa di cui al D.M. 127/2004, perciò divenuti parte fissa dell’accordo medesimo.
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce ‘ violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.’; censura l’ordinanza impugnata per averlo condannato alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio, in quanto la statuizione è stata eseguita in violazione del principio posto dalla Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 32061/2022, secondo il quale l’accoglimento anche in misura ridotta della domanda non comporta reciproca soccombenza e non consente la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali, ma può giustificare solo una compensazione totale o parziale.
3.1.Il motivo, da esaminare nei limiti nei quali è stato proposto e perciò con limitato riferimento alla statuizione sulle spese del giudizio di rinvio, è fondato.
L’ordinanza impugnata ha ritenuto di condannare l’avvocato alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio sulla base della considerazione che anche in sede di rinvio il professionista non aveva riconosciuto la piena vincolatività del patto sul compenso e quindi era a lui imputabile la protrazione del giudizio. La statuizione si è risolta nell’erro nea appli cazione dell’art. 91 cod. proc. civ. denunciata , in quanto non ha considerato che l’unica domanda proposta dal professionista, seppure in misura ridotta, è stata accolta; tale ipotesi, secondo l’indirizzo della Suprema Corte anche a Sezioni Unite, non configura una reciproca soccombenza e non consente la condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese processuali a favore della parte soccombente, ma può giustificare soltanto una compensazione totale o parziale delle spese medesime, nel ricorrere degli altri presupposti di cui all’art. 92 co. 2 cod. proc. civ. (Cass. Sez. U 31 -10-
2022 n. 32061 Rv. 666063-01, Cass. Sez. 2 17-5-2024 n. 13827 Rv. 671356-01).
Ne consegue che il motivo è accolto, il relativo capo dell’ordinanza impugnata è cassato e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, si decide nel merito ex art. 384 co. 2 cod. proc. civ. Non sussistendo i presupposti per la compensazione, in applicazione del principio della soccombenza il Comune deve essere condannato alla rifusione delle spese del giudizio di rinvio; tali compensi si liquidano, considerato il valore della causa e l’attività svolta, complessivamente in Euro 1.500,00, oltre accessori.
4.In applicazione del principio della soccombenza, devono essere riconosciute a favore del ricorrente anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo motivo , cassa l’ordinanza impugnata limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, condanna il Comune di Tripi alla rifusione a favore di NOME COGNOME delle spese del giudizio di rinvio, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre 15% per rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege;
condanna il controricorrente alla rifusione a favore del ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 1.000,00 per compensi, oltre 15% dei compensi per rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione