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Compenso avvocato: accordo scritto e spese legali

La Corte di Cassazione chiarisce due principi fondamentali sul compenso dell’avvocato: l’accordo scritto tra le parti prevale sempre sulle tariffe professionali e la successiva abrogazione di tali tariffe non invalida l’accordo. Inoltre, la Corte stabilisce che la parte che ottiene un accoglimento anche solo parziale della propria domanda è considerata vincitrice e non può essere condannata al pagamento delle spese legali della controparte.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Avvocato: Accordo Scritto Prevale su Tariffe e Regole sulle Spese Legali

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce principi cruciali in materia di compenso avvocato e di ripartizione delle spese di lite. La decisione chiarisce in modo definitivo la preminenza dell’accordo tra cliente e professionista rispetto alle tariffe legali e fissa un paletto invalicabile sulla condanna alle spese in caso di accoglimento parziale della domanda. Analizziamo nel dettaglio questa importante pronuncia.

I Fatti: La Controversia sul Compenso dell’Avvocato

La vicenda ha origine dalla richiesta di pagamento di un avvocato nei confronti di un Comune per l’attività professionale svolta in un precedente giudizio. Il legale richiedeva il pagamento di circa 7.800 Euro, basando la sua pretesa sull’applicazione delle tabelle per la liquidazione delle spese professionali. Il Comune, tuttavia, si opponeva, sostenendo l’esistenza di un accordo specifico che fissava il compenso in una cifra nettamente inferiore, circa 4.200 Euro, da cui detrarre un ulteriore sconto del 15% in virtù dei pregressi rapporti professionali.

L’Iter Giudiziario: Dal Tribunale alla Cassazione

Inizialmente, il Tribunale aveva dato ragione all’avvocato, condannando l’ente pubblico al pagamento della somma maggiore. A seguito del ricorso del Comune, la Corte di Cassazione aveva annullato questa decisione, rinviando la causa al Tribunale e sottolineando che l’accordo tra le parti prevale su ogni altro criterio di liquidazione. Il Tribunale, nel giudizio di rinvio, si è adeguato a tale principio, accertando l’esistenza dell’accordo e condannando il Comune al pagamento della somma minore. Sorprendentemente, però, ha condannato l’avvocato a rimborsare al Comune le spese del giudizio di rinvio. Contro questa statuizione sulle spese, il legale ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Suprema Corte

L’avvocato ha basato il suo ricorso su tre motivi principali, ma è stato l’ultimo a trovare accoglimento, rivelandosi decisivo per l’esito della controversia sulle spese legali.

L’Interpretazione dell’Accordo sul Compenso Avvocato

Il primo motivo contestava l’interpretazione del patto sul compenso. Secondo il ricorrente, l’uso di termini come ‘presuntivamente’ indicava che la cifra pattuita fosse solo indicativa e non fissa. La Cassazione ha respinto questa tesi, affermando che l’interpretazione del contratto è un’attività riservata al giudice di merito e, nel caso di specie, la conclusione che le parti avessero voluto ancorare il compenso a parametri certi (minimi tariffari dell’epoca con uno sconto) era logica e ben motivata.

La Rilevanza delle Tariffe Abrogate

Con il secondo motivo, il legale sosteneva che l’abrogazione delle tariffe professionali a cui l’accordo faceva riferimento (il cosiddetto ius superveniens) avesse reso nulla la clausola sul compenso. Anche questo motivo è stato rigettato. La Corte ha spiegato che l’abrogazione non ha effetti retroattivi su accordi validamente conclusi, nei quali le parti avevano deciso di ‘cristallizzare’ il valore del compenso facendo riferimento a quei specifici parametri, a prescindere da future modifiche normative.

La Regola sulla Soccombenza e le Spese Legali

Il terzo motivo, risultato vincente, riguardava l’errata applicazione delle norme sulle spese di lite (artt. 91 e 92 c.p.c.). Il Tribunale aveva condannato l’avvocato a pagare le spese del giudizio di rinvio, pur avendogli riconosciuto il diritto a un compenso. La Cassazione ha accolto il motivo, richiamando un principio consolidato, anche a Sezioni Unite: l’accoglimento anche solo parziale della domanda rende la parte attrice vittoriosa. In un caso del genere, non si configura una ‘soccombenza reciproca’ e il giudice non può mai condannare la parte vittoriosa a pagare le spese della controparte. Al massimo, può disporre una compensazione totale o parziale delle spese.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione in modo chiaro e lineare. Sui primi due motivi, ha ribadito la prevalenza della volontà contrattuale e l’autonomia delle parti nel determinare il compenso, anche tramite il rinvio a parametri esterni come le tariffe vigenti al momento del patto. L’abrogazione di tali tariffe non può travolgere un accordo che le ha incorporate come mero criterio di calcolo. La motivazione cruciale, però, è quella relativa al terzo motivo. La Corte ha spiegato che il principio della soccombenza è un pilastro del sistema processuale. Chi agisce in giudizio e ottiene, anche in misura ridotta, il bene della vita che richiedeva, non può essere considerato ‘soccombente’. Di conseguenza, la condanna alle spese a suo carico è illegittima. Annullando la decisione del Tribunale su questo punto, la Cassazione ha applicato direttamente il principio e, decidendo nel merito, ha condannato il Comune a rimborsare all’avvocato non solo le spese del giudizio di rinvio, ma anche quelle del giudizio di legittimità.

Le Conclusioni

L’ordinanza esaminata offre due importanti lezioni pratiche. La prima è un monito per i professionisti: la pattuizione scritta del compenso è vincolante e prevale sui parametri professionali, rendendo fondamentale una redazione chiara e inequivocabile degli accordi con i clienti. La seconda è una fondamentale garanzia processuale: anche se una richiesta viene accolta solo in parte, la parte attrice è considerata vittoriosa ai fini delle spese legali. Questa regola impedisce che la parte parzialmente vincitrice sia paradossalmente penalizzata con la condanna a pagare i costi legali di chi, in ultima analisi, è stato condannato a soddisfare, seppur parzialmente, la sua pretesa.

Un accordo scritto sul compenso dell’avvocato prevale sulle tariffe professionali?
Sì, la Corte di Cassazione conferma che un accordo specifico e validamente concluso tra le parti per la determinazione del compenso professionale prevale su ogni altro criterio sussidiario, come le tariffe professionali o gli usi.

Se le tariffe professionali a cui un accordo fa riferimento vengono abrogate, l’accordo diventa nullo?
No. Se l’intento delle parti era quello di utilizzare i valori previsti da una determinata tariffa come parametro fisso per calcolare il compenso, l’accordo resta valido ed efficace anche se quella tariffa viene successivamente abrogata.

Se un attore ottiene una somma inferiore a quella richiesta, può essere condannato a pagare le spese legali della controparte?
No. Secondo un principio consolidato della Suprema Corte, l’accoglimento anche solo parziale della domanda qualifica l’attore come parte vittoriosa. Pertanto, egli non può essere condannato a pagare le spese legali della parte soccombente; al massimo, il giudice può disporre la compensazione (parziale o totale) delle spese.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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