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Compenso avvocati pubblici: il CCNL prevale sempre

La Corte di Cassazione, con la sentenza 21520/2024, ha negato il diritto al compenso professionale a tre avvocati dipendenti di un’azienda ospedaliera per le cause con spese compensate. La Corte ha stabilito la prevalenza del Contratto Collettivo Nazionale (CCNL) sugli accordi individuali. Poiché il CCNL di settore prevedeva il pagamento degli onorari solo in caso di recupero delle spese dalla controparte, le clausole dei contratti individuali che estendevano tale diritto anche ai casi di compensazione sono state dichiarate nulle. Questa decisione riafferma il principio di inderogabilità della contrattazione collettiva nel pubblico impiego per quanto riguarda il compenso avvocati pubblici.

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Pubblicato il 9 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Avvocati Pubblici: Perché il Contratto Collettivo Vince Sempre

La questione del compenso avvocati pubblici è un tema complesso, che si colloca al confine tra la disciplina della professione forense e le rigide normative del pubblico impiego. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 21520/2024) ha fatto chiarezza su un punto cruciale: la prevalenza della contrattazione collettiva nazionale (CCNL) su qualsiasi accordo individuale o regolamento aziendale che preveda trattamenti economici più favorevoli. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso: La Richiesta dei Legali Dipendenti

Tre avvocati, dipendenti di un’importante azienda ospedaliera pubblica, avevano citato in giudizio il loro datore di lavoro. La loro richiesta era semplice: ottenere il pagamento dei compensi professionali relativi a numerose cause in cui avevano difeso con successo l’ente, ma che si erano concluse con la compensazione delle spese di lite tra le parti.

I legali basavano la loro pretesa su contratti individuali stipulati con l’azienda e su un regolamento interno che, a loro dire, garantiva il diritto a percepire gli onorari anche in caso di spese compensate. L’azienda sanitaria, dopo aver corrisposto tali somme per un certo periodo, aveva interrotto i pagamenti, spingendo gli avvocati a rivolgersi al Tribunale.

L’Analisi della Corte: Il CCNL e il compenso avvocati pubblici

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le richieste dei legali. La questione è quindi approdata in Cassazione, che ha confermato le decisioni dei gradi precedenti, consolidando un principio fondamentale per il pubblico impiego.

Il cuore della controversia risiede nel contrasto tra due fonti normative: da un lato, gli accordi individuali e il regolamento aziendale; dall’altro, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del comparto Sanità. Quest’ultimo, infatti, prevedeva che i compensi professionali spettassero ai dirigenti avvocati solo se recuperati a seguito di condanna della parte avversa soccombente. Non era contemplata alcuna corresponsione in caso di compensazione delle spese.

La Prevalenza Inderogabile del Contratto Collettivo

La Cassazione ha ribadito che, nel settore del pubblico impiego privatizzato, vige il principio di parità di trattamento, sancito dall’art. 45 del D.Lgs. 165/2001. Questo principio vieta categoricamente che i contratti individuali possano stabilire trattamenti economici migliorativi (deroga in melius) rispetto a quanto previsto dalla contrattazione collettiva. L’obiettivo è garantire uniformità e trasparenza retributiva, evitando favoritismi e controllando la spesa pubblica.

Di conseguenza, la clausola presente nei contratti individuali degli avvocati, che estendeva il diritto al compenso anche alle ipotesi di spese compensate, è stata ritenuta nulla perché in diretto contrasto con una norma imperativa (il CCNL).

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha rigettato tutti i sei motivi di ricorso presentati dagli avvocati, basando la propria decisione su un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La motivazione centrale, la ratio decidendi, è che il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici, inclusi gli avvocati, è regolato in modo inderogabile dalla legge e dalla contrattazione collettiva. Qualsiasi patto individuale che attribuisca un trattamento economico non previsto da queste fonti è nullo. I giudici hanno chiarito che la disciplina speciale della professione forense non può trovare applicazione per scavalcare le norme imperative che regolano il rapporto di pubblico impiego.

Le Conclusioni

La sentenza 21520/2024 offre un’indicazione chiara e inequivocabile: per il compenso avvocati pubblici, la fonte primaria e insuperabile è il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro. Gli avvocati dipendenti di enti pubblici non possono fare affidamento su accordi individuali o regolamenti interni per ottenere benefici economici non previsti dal CCNL di riferimento. Questa decisione rafforza la centralità della contrattazione collettiva come strumento di regolazione del lavoro pubblico e come garanzia di parità di trattamento e controllo della spesa, confermando che la Pubblica Amministrazione è non solo autorizzata ma obbligata a disapplicare patti contrari e a recuperare eventuali somme indebitamente corrisposte.

Un contratto individuale può prevedere un trattamento economico migliore per un avvocato dipendente pubblico rispetto al contratto collettivo (CCNL)?
No, la Corte ha stabilito che nel pubblico impiego privatizzato vige il principio di parità di trattamento, che vieta trattamenti individuali migliorativi o peggiorativi rispetto a quelli previsti dalla contrattazione collettiva.

Agli avvocati dipendenti di un’azienda sanitaria spettano i compensi professionali se le spese di lite sono compensate?
Spettano solo se previsto espressamente dal CCNL di settore. Nel caso di specie, il CCNL permetteva il pagamento dei compensi solo qualora fossero stati recuperati dalla parte avversa soccombente, escludendo quindi i casi di compensazione delle spese.

Cosa succede se un accordo individuale o un regolamento aziendale viola il contratto collettivo nazionale?
La clausola in contrasto con il contratto collettivo è nulla e non può produrre effetti. La Pubblica Amministrazione è obbligata a non applicarla e, se ha già corrisposto delle somme sulla base di essa, deve agire per il recupero di quanto indebitamente pagato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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