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Compenso attività ambulatoriale: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’Azienda Sanitaria Locale, confermando il diritto di un medico di continuità assistenziale a ricevere un compenso aggiuntivo per l’attività ambulatoriale svolta. La decisione si basa sulla constatazione che le sedi di servizio funzionavano di fatto come ambulatori di medicina generale, un’attività che, secondo gli accordi regionali, prevede una remunerazione specifica e distinta dal compenso orario base.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso per attività ambulatoriale: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha consolidato un importante principio riguardante il compenso per l’attività ambulatoriale svolta dai medici di continuità assistenziale. La vicenda chiarisce quando l’attività prestata in ambulatorio eccede i compiti ordinari e dà diritto a una remunerazione aggiuntiva, basandosi non sulla denominazione formale ma sulla natura effettiva del servizio erogato.

I fatti di causa

Un medico di continuità assistenziale ha citato in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di competenza per ottenere il pagamento di differenze retributive, pari a oltre 22.000 euro, maturate in un biennio. Il professionista sosteneva che, durante i suoi turni, le sedi di servizio non si limitavano a gestire le emergenze territoriali, ma funzionavano a tutti gli effetti come ambulatori di medicina generale, con orari di apertura al pubblico e un’organizzazione strutturata.

Questa attività, a suo dire, rientrava in una specifica previsione dell’Accordo Integrativo Regionale (AIR) che stabiliva un compenso maggiore per tale funzione. Sia il Tribunale che la Corte di Appello hanno dato ragione al medico, condannando l’ASL al pagamento. L’Azienda Sanitaria ha quindi proposto ricorso per cassazione, contestando la decisione.

L’importanza del compenso per l’attività ambulatoriale specifica

Il ricorso dell’ASL si basava su tre motivi principali. In primo luogo, l’Azienda sosteneva che le visite ambulatoriali rientrassero già nell’attività ordinaria del medico di continuità assistenziale, remunerata con il compenso orario standard previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale (ACN). In secondo luogo, contestava l’applicabilità dell’Accordo Regionale, affermando di non aver mai formalmente istituito un Ambulatorio di Medicina Generale in quelle sedi. Infine, l’ASL criticava la valutazione delle prove da parte dei giudici di merito, in particolare delle fotografie che mostravano i cartelli con gli ‘orari ambulatorio’.

La decisione della Corte di Cassazione sul ricorso

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’ASL interamente inammissibile, confermando di fatto la condanna al pagamento delle differenze retributive in favore del medico. La decisione non è entrata nel merito della quantificazione del compenso, ma ha rigettato le argomentazioni dell’Azienda per ragioni prevalentemente procedurali, che tuttavia illuminano la sostanza della questione.

Le motivazioni

La Corte ha ritenuto i motivi del ricorso inammissibili per diverse ragioni.
1. Il primo motivo non si confrontava adeguatamente con la ratio della sentenza d’appello, la quale aveva sottolineato la contraddizione interna all’ACN se le prestazioni territoriali (domiciliari) e quelle ambulatoriali fossero considerate la stessa cosa.
2. Il secondo motivo è stato giudicato inammissibile perché la Corte di Cassazione non può interpretare direttamente i contratti collettivi di livello regionale (come l’AIR), a meno che non vengano violati i canoni legali di ermeneutica contrattuale, cosa che nel caso di specie non era stata adeguatamente dedotta.
3. Il terzo motivo, relativo alla valutazione delle prove, è stato respinto perché la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti del processo. I giudici di merito avevano accertato, sulla base di prove documentali e della mancata contestazione iniziale da parte dell’ASL, che le sedi operavano di fatto come ambulatori. Questo accertamento di fatto è insindacabile in sede di legittimità.

In sintesi, la Corte ha stabilito che i giudici di merito avevano correttamente concluso che l’attività del medico aveva superato i compiti ordinari, prevalendo l’attività ambulatoriale strutturata su quella domiciliare, e che tale snaturamento delle funzioni giustificava il compenso aggiuntivo previsto dall’accordo regionale.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: nell’ambito del rapporto di lavoro con il Servizio Sanitario Nazionale, la retribuzione deve corrispondere alla natura effettiva delle mansioni svolte, al di là delle qualificazioni formali. Se una sede di continuità assistenziale opera stabilmente come un ambulatorio di medicina generale, con orari e accesso al pubblico, scatta il diritto al compenso per l’attività ambulatoriale previsto dagli accordi integrativi regionali. La decisione sottolinea inoltre il rigore dei requisiti di ammissibilità dei ricorsi in Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sui fatti della causa.

Un medico di continuità assistenziale ha sempre diritto a un compenso aggiuntivo per le visite in ambulatorio?
No, non automaticamente. Il diritto a un compenso specifico sorge quando l’attività ambulatoriale non è meramente residuale o occasionale, ma diventa la prestazione prevalente e strutturata, secondo quanto disciplinato dagli Accordi Integrativi Regionali, che possono prevedere una remunerazione ad hoc per questo tipo di servizio.

Perché il ricorso dell’Azienda Sanitaria è stato dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per motivi procedurali. In particolare, non contestava in modo specifico le ragioni della decisione d’appello, chiedeva alla Corte di interpretare un contratto collettivo regionale (compito che non le spetta) e tentava di ottenere un riesame dei fatti e delle prove, attività preclusa in sede di legittimità.

Qual è la differenza tra attività domiciliare e ambulatoriale per un medico di continuità assistenziale?
L’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) definisce come compiti tipici del medico di continuità assistenziale gli interventi domiciliari o territoriali. Le prestazioni ambulatoriali sono considerate residuali, da svolgersi solo in particolari situazioni. La sentenza chiarisce che se l’attività ambulatoriale diventa prevalente e strutturata, con orari fissi e una sede adibita, essa si distingue dall’attività ordinaria e può dare diritto a un compenso diverso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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