Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 23444 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 23444 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 14418/2024
promosso da
COGNOME NOME e COGNOME COGNOME che si difendono in proprio ex art. 86 c.p.c., nonché rappresentati e difesi dall’avv. COGNOME NOMECOGNOME in virtù di procura speciale in atti, e COGNOME NOME in proprio ex art. 86 c.p.c.;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa da ll’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME in virtù di procure speciali in atti;
– controricorrente –
nonché nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore (già RAGIONE_SOCIALE), NOME COGNOME , NOME COGNOME ;
– intimati –
Roma n. 7978/2023, pubblicata avverso la sentenza della Corte d’appello di il 12/12/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
letta la memoria del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
RAGIONE_SOCIALE ha citato n giudizio COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME e RAGIONE_SOCIALE davanti al tribunale di Roma, esponendo quanto segue: sorgeva controversia e veniva proposto procedimento arbitrale tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE; veniva emesso lodo parziale e lodo definitivo; nel corso del procedimento, la RAGIONE_SOCIALE versava la somma di € 130.000,00 oltre accessori pari alla propria quota del 50% fondo onorari autoliquidato dal Collegio arbitrale; la stessa RAGIONE_SOCIALE versava la ulteriore somma di € 130.000,00 pari alla quota del 50% a carico di Roma Gas RAGIONE_SOCIALE s.p.a. per il vincolo di solidarietà disposto dal Collegio arbitrale; l’importo liquidato dal Collegio arbitrale doveva ritenersi eccessivo ed errato in base alla normativa delle tariffe forensi in vigore al momento della liquidazione; RAGIONE_SOCIALE non accettava detta liquidazione; la stessa RAGIONE_SOCIALE, nel corso dell’udienza arbitrale del 22/02/2012, deduceva che con il suo mancato pagamento delle spese era intervenuta l’automatica estinzione della convenzione arbitrale e che non vi era accettazione circa il compenso del Collegio arbitrale, ribadendo ciò nelle memorie del 20/02/2012 e del 06/03/ 2012; in mancanza dell’accettazione delle parti non era nato il credito degli arbitri e la liquidazione del compenso doveva essere, su domanda di parte, determinata giudizialmente; era interesse di RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE chiedere al Tribunale l’accertamento degli onorari spettanti a gli arbitri, a cui doveva partecipare anche l’altra parte del
procedimento arbitrale, RAGIONE_SOCIALE , citata anch’essa in giudizio; la quantificazione del compenso degli arbitri andava effettuata sulla base del d.m. n. 140 del 2012, applicabile in relazione alla emissione del lodo definitivo in data 27/02/2014.
L ‘attrice ha, quindi, chiesto che , accertato giudizialmente l’importo dovuto agli arbitri, i convenuti venissero condannati alla restituzione delle somme pagate in eccesso.
Hanno chiesto il rigetto della domanda i convenuti COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME i quali, nel costituirsi, hanno dedotto: che avevano svolto la funzione di arbitri, mentre l’COGNOME era stato Segretario del Collegio arbitrale; che l’azione proposta era inammissibile per carenza di interesse dell’attrice , la quale aveva effettuato i pagamenti, dando esecuzione all’ordinanza del Collegio di autoliquidazione del compenso , anche in relazione alla quota della controparte, in adempimento della chiamata in solidarietà; che l’attrice aveva così manifestato l’accettazione al compenso liquidato, rinunciando ad ogni eccezione o contestazione; che l’attrice non aveva specificato nell’atto introduttivo la causa petendi dell’azione proposta , sussistendo indeterminatezza della domanda; che erroneamente l’attrice aveva sostenuto che RAGIONE_SOCIALE non aveva accettato la liquidazione del compenso, avendo detta parte avanzato l’eccezione ex art. 816 septies c.p.c. di estinzione del procedimento; che RAGIONE_SOCIALE, nel procedimento arbitrale, non aveva avanzato alcuna critica ai criteri di liquidazione del fondo onorari e spese degli arbitri; che la liquidazione effettuata dagli arbitri era congrua in relazione al valore della controversia; che era infondato anche il rilievo in relazione al compenso del segretario.
Si è costituito anche COGNOME COGNOME deducendo che la domanda dell’attrice era inammissibile, perché il lodo arbitrale conteneva anche la statuizione sulle spese, per cui sussisteva ipotesi di giudicato in assenza di
impugnazione del lodo sul punto; che erano infondati i rilievi in ordine all’applicabilità del d.m. n. 140 del 2012, tenuto conto del valore della controversia.
Si è costituita RAGIONE_SOCIALE, deducendo che il giudizio introdotto non la riguardava, avendo essa, in qualità di convenuta nel giudizio arbitrale, eccepito l’estinzione del procedimento arbitrale ex art. 816 septies c.p.c.
COGNOME NOME non si è costituito restando contumace.
L’adito Tribunale ha respinto la domanda dell’ attrice, condannandola al pagamento delle spese di lite nei confronti delle controparti costituite.
Con l’atto di appello RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la riforma della sentenza di primo grado, formulando le seguenti conclusioni: a) accertare e dichiarare che il compenso complessivo del Collegio arbitrale e della Segretaria per l’attività svolta in occasione del procedimento arbitrale dedotto in narrativa è pari alla somma complessiva di € 68.849,90 oltre c assa previdenziale ed IVA , di cui € 24.300,00 oltre I VA e CPA per il Presidente avv. NOME COGNOME, di cui € 20.250,00 oltre I VA e CPA per il Componente avv. NOME COGNOME di cui € 18.433,47 oltr e IVA e CPA per il Componente avv. NOME COGNOME, di cui € 1.816,43 oltre I VA e CNPADC per il Componente dott. NOME COGNOME e di cui € 4.050,00 oltre I VA e CPA per il Segretario avv. NOME COGNOME; b) determinare l’ammontare delle spese e degli onorari del Collegio arbitrale e della Segretaria in misura maggiore o minore rispetto agli importi sopra indicati al punto a) per l’attività svolta in occasione del procedimento arbitrale dedotto in narrativa; c) per l’effetto: accertato e dichiarato che l’Avv. NOME COGNOME ha ricevuto a titolo di onorari dalla Natuna s.p.a. la somma di € 130.873,60 mentre avrebbe avuto diritto alla minore somma di € 30.831,84 di cui € 24.300,00 per onorari, € 972,00 per CPA ed € 5.559,84 per I VA, condannarlo a restituire alla Natuna s.p.a. la somma di € 100.041,76, ovvero condannarlo a restituire la diversa somma che
dovesse risultare quale differenza tra gli onorari incassati e quelli che verranno determinati nel presente giudizio; accertato e dichiarato che l ‘a vv. NOME COGNOME ha ricevuto a titolo di onorari dalla Natuna s.p.a. la somma di € 98.155,20 mentre avrebbe avuto diritto alla minore somma di € 25.693,20 di cui € 20.250,00 per onorari, € 810,00 per CPA ed € 4.633,20 per Iva, condannarlo a restituire alla Natuna s.p.a. la somma di € 72.462,00, ovvero condannarlo a restituire la diversa somma che dovesse risultare quale differenza tra gli onorari incassati e quelli che verranno determinati nel presente giudizio; accertato e dichiarato che l’ avv. NOME COGNOME ha ricevuto a titolo di onorari dalla Natuna S.p.A. la somma di € 89.832,46 mentre avrebbe avuto diritto alla minore somma di € 23.388,38 di cui € 18.433,47 per onorari, € 737,34 per CPA ed € 4.217,58 per I VA, condannarlo a restituire alla Natuna s.p.a . la somma di € 66.444,08 ovvero condannarlo a restituire la diversa somma che dovesse risultare quale differenza tra gli onorari incassati e quelli che verranno determinati nel presente giudizio; accertato e dichiarato che il Dott. NOME COGNOME ha ricevuto a titolo di onorari dalla Natuna S.p.A. la somma di € 7.000,00 mentre avrebbe avuto diritto alla minore somma di € 2.216,04 di cui € 1.816,43 per onorari ed € 399,61 per I VA, condannarlo a restituire alla Natuna s.p.a. la somma di € 4.783,96 ovvero condannarlo a restituire la diversa somma che dovesse risultare quale differenza tra gli onorari incassati e quelli che verranno determinati nel presente giudizio; accertato e dichiarato che l’Avv. NOME COGNOME ha ricevuto a titolo di onorari dalla RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE la somma di € 12.584,00 mentre avrebbe avuto diritto alla minore somma di € 5.138,64 di cui € 4.050,00 per onorari, € 162,00 per CPA ed € 926,64 per I VA, condannarla a restituire alla RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE la somma di € 7.445,36 ovvero condannarla a restituire la diversa somma che dovesse risultare quale differenza tra gli onorari incassati e quelli che verranno determinati nel presente giudizio; d) il tutto oltre interessi ex
d.lgs. n. 231 del 2002 e successive modifiche e rivalutazione monetaria dal dì del dovuto al dì del saldo, con vittoria di spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio da distrarre a favore degli avvocati antistatari COGNOME e COGNOME
COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, nel costituirsi con comparsa del 12.4.2019 hanno dedotto l’inammissibilità o comunque l’infondatezza dell’appello.
Anche COGNOME Matteo, nel costituirsi , ha formulato le stesse conclusioni. Con ordinanza del 07/05/2019 è stata dichiarata la contumacia di RAGIONE_SOCIALE, che non si è costituita nonostante rituale notificazione. Con ordinanza del 14/10/2020 è stata dichiarata la nullità della notificazione in rinnovazione dell’atto di appello a Cornaggia NOME Maria. Con ordinanza del 27/11/ 2020 è stata rigettata l’istanza di sospensione ex art. 295 c.p.c., stante la pendenza dell’impugnazione del lodo.
In data 28/03/ 2023 è stata dichiarata l’interruzione del processo stante il decesso del difensore di COGNOME NOMECOGNOME
Con ricorso depositato in data 05/06/2023 il processo è stato riassunto dall’appellante e si sono costitui te le parti precedentemente costituite.
Precisate le conclusioni, la Corte d’appello ha statuito come segue: «accoglie l’appello e per l’effetto, in riforma dell’appellata sentenza: A) liquida per l’attività svolta i seguenti compensi: € 56.170,58, oltre accessori di legge, per NOME COGNOME; € 42.127,93, oltre accessori di legge, per NOME COGNOME; € 38.627,93, oltre accessori di legge, per NOME COGNOME; € 8.425,58, oltre accessori di legge, per COGNOME NOME; B) condanna al pagamento a favore di RAGIONE_SOCIALE delle seguenti somme: NOME COGNOME di € 47.829,42, oltre accessori di legge; NOME COGNOME di € 35.872,07, oltre accessori di legge; NOME COGNOME di € 32.372,07, oltre accessori di legge; COGNOME NOME di € 1.574,00, oltre accessori di legge; il tutto oltre gli interessi legali dalla domanda al saldo. ; compensa tra l’appellante e NOME
COGNOME le spese dei due gradi per la metà, condannando NOME COGNOME alla refusione a favore di RAGIONE_SOCIALE s.p.a. della rimanente metà che liquida: quanto al primo grado in € 7.051,50 per compensi, € 94,87 per spese, oltre spese generali, IVA e CPA; quanto al secondo grado in € 6.077,00 per compensi, € 1138,00 per spese, oltre spese generali, IVA e CPA; con distrazione a favore degli avvocati COGNOME e COGNOME antistatari.» La stessa Corte ha, poi, compensato per metà le spese del giudizio, condannando per il resto ciascuno degli appellati costituiti, per quanto di spettanza, con distrazione a favore degli avvocati COGNOME e COGNOME dichiaratisi antistatari.
Rigettata l’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 c.p.c., la Corte di merito ha escluso la fondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’ impugnazione ex art. 331 c.p.c., sollevata dagli appellati, in ragione della nullità della notificazione in rinnovazione nei confronti di COGNOME NOME, pur accertata, ma senza necessità di adozione di ordine di rinnovo, in ragione del decorso del tempo dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado.
La Corte distrettuale ha ritenuto che ogni arbitro aveva diritto al compenso per l’attività svolta, senza che vi fosse tra gli stessi un litisconsorzio necessario, come pure si evinceva dal fatto che gli stessi si erano liquidati il compenso indicando specificamente le somme spettanti a ciascuno di essi.
Affermando, pertanto, la presenza di cause scindibili, la menzionata Corte ha escluso che l’omessa notificazione nei confronti di un o degli arbitri potesse comportare l’inammissibilità dell’appello anche nei confronti delle altre parti , ritenendo, invece, l’inammissibilità dell’appello unicamente nei confronti del Carnaggia.
La stessa Corte ha ritenuto fondato il primo motivo d’appello (con il quale la sentenza del Tribunale era stata censurata, nella parte in cui aveva ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avesse accettato i compensi
autoliquidati dal Collegio arbitrale ) ed anche il secondo motivo d’appello (con il quale la medesima sentenza era stata censurata, nella parte in cui aveva dato rilievo alla mancata impugnazione, con il lodo, della quantificazione dei compensi agli arbitri, ivi operata).
In primo luogo, la Corte ha evidenziato che il rapporto che si instaura tra le parti e l’arbitro è qualificabile come un contratto d’opera intellettuale, dal quale deriva il diritto al compenso, aggiungendo che, quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione dello stesso, a i sensi dell’art. 814, comma 2, c.p.c., detta liquidazione diviene vincolante solo se viene accettata da tutte le parti.
In tale quadro, secondo la Corte d ‘appello , l’accettazione non poteva essere desunta dal mero silenzio serbato sulla quantificazione delle spese richieste dagli arbitri, venendo in rilievo un comportamento neutro non significativo di una volontà contrattuale. Peraltro, il fatto RAGIONE_SOCIALE non avesse dedotto nulla in ordine alla quantificazione delle spese richieste da parte degli arbitri, pacificamente da lei non pagate, ed, anzi, avesse sostenuto che, per effetto dell’art. 816 septies c.p.c., il procedimento arbitrale si fosse estinto, per mancato pagamento del compenso agli arbitri entro il termine dagli stessi indicato, portava ulteriormente ad escludere che alla condotta della stessa potesse essere attribuita valenza di comportamento concludente di accettazione della proposta degli arbitri. Inoltre, la ritenuta condotta di RAGIONE_SOCIALE di non contestazione degli acconti sul compenso era precedente all’autoliquidazione definitiva, ovvero alla proposta degli arbitri di compenso in relazione all’attività in concreto svolta fino alla deliberazione del lodo. Era pertanto da escludere che il pagamento degli acconti potesse assumere un significato negoziale riguardo alla volontà della parte di accettare la successiva autoliquidazione definitiva, non essendo valida un’accettazione preventiva della liquidazione.
In secondo luogo, con riferimento alla mancata impugnazione da parte di RAGIONE_SOCIALE del lodo, in relazione al compenso liquidato, la Corte d’appello ha escluso che a tale circostanza potesse darsi alcun rilievo, ai fini della dimostrazione dell’ accettazione della liquidazione operata, poiché, come sopra evidenziato, tale liquidazione ha il valore di una mera proposta contrattuale, che diviene vincolante solo se accettata da tutti i contendenti, con la conseguenza che la parte che non ha accettato tale proposta non ha interesse ad impugnare il capo del lodo arbitrale riguardante tale liquidazione.
Statuendo sul terzo motivo di appello – con il quale la RAGIONE_SOCIALE ha censurato la statuizione del primo giudice nella parte in cui ha escluso che potesse configurarsi il diritto alla ripetizione per indebito oggettivo – la Corte d’appello ha ritenuto che , se non era in discussione la debenza di un qualsiasi compenso, l’assenza di accordo sull’ammontare dell’importo dovuto portava ad escludere che fossero spettanti le somme come autoliquidate dagli arbitri, sicché, avendo la RAGIONE_SOCIALE proposto domanda diretta ad accertare le somme effettivamente dovute e la ripetizione delle somme corrisposte in eccesso, la medesima Corte poteva procedere al relativo accertamento.
Trattandosi di un Collegio misto, composto per un certo tempo anche da un commercialista, il Cornaggia ( sino alla rinuncia dell’incarico da parte dello stesso con nota del 29/11/2011 e alla sua sostituzione con l’avv. COGNOME con ordinanza del 16/01/2012) , la Corte d’appello ha ritenuto di poter applicare il disposto dell’a rt. 814, comma 2, c.p.c., che consente di scegliere, secondo un prudente apprezzamento, i criteri equitativi di valutazione più adeguati all’oggetto ed al valore della controversia, nonc hé alla natura ed all’importanza dei compiti attribuiti agli arbitri, anche attraverso il ricorso, ma solo come utile parametro di riferimento, alle tariffe di alcune categorie professionali. La stessa Corte ha, quindi, considerato
che l’arbitro commercialista è stato presto sostituito da un avvocato, sicch é il compenso poteva essere determinato sulla base delle tariffe forensi, utilizzabili quanto meno quale parametro equitativo.
La Corte di merito ha precisato che, e ssendosi l’attività esaurita in data 27/02/2014, con il lodo definitivo, trovava applicazione la tariffa di cui al d.m. n. 140 del 2012, sicché, dal momento che si trattava di arbitrato rituale, doveva tenersi conto del disposto del l’art. 6, d.m. cit., in quale prevedeva che «per i procedimenti davanti agli arbitri, nel caso di arbitrato rituale, è dovuto il compenso stabilito per le controversie davanti ai giudici competenti a conoscere sulle stesse. In ogni altro caso di arbitrato o fattispecie analoga, per la liquidazione dei compensi si applicano i parametri previsti per l’attività stragiudiziale» .
La stessa Corte ha ritenuto che, per quanto concerne l’attività svolta dagli arbitri, la stessa dovesse essere qualificata, ai sensi del comma 2 dell’ art. 6 d.m. cit. come attività “stragiudiziale”, precisando che per la determinazione del valore della controversia non si poteva guardare all’art. 5 dello stesso d.m., che si riferiva all’attività giudiziale svolta dagli avvocati, ma neppure all’art. 6, comma 1, d.m. cit. che, nel fare riferimento ai procedimenti dinanzi agli arbitri, si riferiva inequivocabilmente a coloro che svolgevano la funzione di difensore nei procedimenti arbitrali.
Ad opinione della menzionata Corte, dunque, doveva applicarsi l’art. 3 del d.m. n. 140 del 2012, che prevedeva i compensi per l’attività stragiudiziale e, quindi, del valore e della natura dell’affare sulla base del disputatum , e non del decisum (come viceversa sostenuto da ll’ appellante), tenendo in particolare conto del valore e della natura dell’affare, del numero e dell’importanza delle questioni trattate, del pregio dell’opera prestata, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, dell’eventuale urgenza della prestazione, oltre che delle ore complessive
impiegate per la prestazione, valutate anche secondo il valore di mercato attribuito alle stesse.
Secondo la Corte, l’art. 3 non prevede va tariffe in materia di attività stragiudiziale e, pertanto, richiamando la relazione ministeriale, ha ritenuto che si era trattato di una scelta determinata dalla volontà di applicare analogicamente le tariffe previste per i commercialisti e dei revisori contabili, tenuto conto del criterio analogico interno di cui all’art. 1 del decreto, ma anche la sezione relativa ai commercialisti non prevedeva alcun criterio per la determinazione del compenso agli arbitri.
In assenza di parametri normativi, la Corte ha, quindi, ritenuto congruo assumere come parametro di liquidazione il d.m. n. 127 del 2004, che viceversa prevedeva espressamente alla tabella D, punto 9, l’attività stragiudiziale svolta dal collegio arbitrale, stabilendo la spettanza al presidente del 40% del compenso e agli altri due componenti del 30%, tenuto conto dell’ art. 24 d.l. n. 223 del 2006 (a tenore del quale, per qualsivoglia arbitrato, anche se disciplinato da leggi speciali, la misura del compenso spettante agli arbitri, di cui al punto 9 della tabella D allegata al regolamento di cui al decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, si applica inderogabilmente a tutti i componenti dei collegi arbitrali rituali, anche se non composti in tutto o in parte da avvocati). Per quanto atteneva al valore della controversia, la Corte – rilevando che RAGIONE_SOCIALE, in relazione al contratto stipulato con RAGIONE_SOCIALE per la fornitura di gas naturale, aveva dedotto l’inadempimento di controparte, chiedendo il pagamento di € 659.058,81 e il risarcimento dei danni, mentre RAGIONE_SOCIALE s.p.a. aveva dedotto in via riconvenzionale l’inadempimento dell’altra , chiedendo il risarcimento dei danni, determinati in € 5.024.944,20 -ha ritenuto che il valore della causa fosse pari a € 5.024.944,20, considerato il disputatum in base anche alla domanda riconvenzionale.
La Corte ha, poi, affermato che si trattava di una controversia di una significativa rilevanza, che si era caratterizzata per una attività complessa – tenuto conto che: l’attività complessiva degli arbitri si era articolata dal 10/11/2011 sino al 27/02/2014 (con la sostituzione del COGNOME con il COGNOME in data 16 /01/2012); vi era stato prima in un lodo parziale, che aveva esaminato alcune questioni pregiudiziali ( relative all’applicabilità dell’art. 816 septies c.p.c.) e preliminari (relative alla compromettibilità in arbitri della controversia), e poi in un lodo definitivo, che aveva deciso la controversia; si erano tenute molteplici riunioni; gli arbitri avevano tentato, durante la fase istruttoria, la conciliazione; era stata espletata una CTU ed erano stati sentiti testi; nel lodo, il Collegio arbitrale aveva scrutinato le rispettive condotte delle parti ai fini delle rispettive domande di inadempimento e di condanna -e che, pertanto, era congrua la liquidazione di un compenso nell’importo massimo (tenuto conto dello scaglione da € 2.582.300,01 a 25.822.900,00, oltre all’1% della differenza tra il valore della controversia e € 2.582.300,01), e quindi pari a € 116.200,00 + 24.426,44 (1% di 2.442.644,20), cioè a complessivi € 140.426,44, di cui € 56.170,58 per il P residente ed € 42.127,93 per gli altri due arbitri, oltre accessori di legge. Per quanto atteneva alla posizione del l’avv. COGNOME che era subentrato al Corneggia in data 16/01/2012, e che quindi non aveva posto in essere tutta l’attività, la Corte ha ridotto tale importo di € 3.500,00, pervenendosi ad € 38.627,93. Per quanto atteneva, infine, alla posizione del Segretario del Collegio, quale consulente degli arbitri, anche se il rapporto si era instaurato tra arbitri e consulenti, rimaneva, comunque, fermo che il compenso era a carico delle parti litiganti, che potevano, dunque, contestare l’autoliquidazione comprensiva di tale compenso, rilevando anche sotto tale profilo la mancata accettazione ex art. 814 c.p.c., sicché, in assenza di parametri, a fronte del fatto che veniva in rilievo una attività funzionale allo svolgimento della complessa attività posta in essere
dal Collegio, il compenso veniva liquidato nella misura del 20% di quanto previsto per ciascuno dei due arbitri pari a € 8.425,58 (20% di 42.127,93).
Risultando corrisposte somme superiori a quelle dovute, la Corte ha condannato le parti alla restituzione della differenza.
Avverso tale sentenza, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a nove motivi di doglianza.
Si è difesa con controricorso solo RAGIONE_SOCIALE
Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME con memoria depositata il 26/02/2025, ha chiesto il parziale accoglimento del sesto motivo e il rigetto del ricorso per il resto.
Solo i ricorrenti hanno depositato memoria difensiva.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza e/o del procedimento di appello per violazione degli artt. 331 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 4 c.p.c., per aver i Giudici di merito dichiarato l’inammissibilità dell’appello solo nei confronti del Cornaggia, malgrado la declaratoria di nullità della notificazione in rinnovazione dell’atto di appello, così violando l’unitarietà soggettiva del gi udizio di impugnazione e l’unicità della domanda giudiziale , non avendo la Corte tenuto conto della ricorrenza di una ipotesi di litisconsorzio processuale.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza e/o del procedimento di appello per violazione degli artt. 331 e 811 c.p.c., in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per avere i Giudici di merito, sulla base di una erronea interpretazione della disciplina relativa alla sostituzione degli arbitri, indebitamente escluso il litisconsorzio necessario processuale e sostanziale, in ragione della ritenuta esistenza di cause scindibili.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 814 e 816 septies c.p.c., in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3 c.p.c., per aver e la Corte d’appello erroneamente interpretato le disposizioni di legge che prevedono l’anticipazione delle spese di funzionamento della procedura arbitrale e la liquidazione diretta da parte degli arbitri delle spese e degli onorari, impropriamente traendo conseguenze giuridiche in contrasto con la corretta interpretazione delle norme a causa di una erronea percezione delle interpretazioni fornite dai precedenti giurisprudenziali.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza e/o del procedimento di appello per violazione degli artt. 112 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 2909 c.c. , in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c., per aver la Corte di appello omesso di rilevare il giudicato esterno, derivante dalla mancata impugnazione del capo del lodo arbitrale contenente la statuizione sulla liquidazione dei compensi arbitrali, malgrado l’eccezione proposta dai convenuti/appellati.
Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 814 c.p.c. in combinato disposto con l’art 100 c.p.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per non aver la sentenza impugnata ritenuto sussistente la legittimazione esclusiva degli arbitri in ordine ai compensi arbitrali e il conseguenziale difetto di legittimazione passiva e di titolarità passiva del segretario del Collegio Arbitrale, con errore di diritto per violazione della disciplina relativa al ruolo e alle funzioni del segretario del Collegio arbitrale.
Con il sesto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 d.l. n. 223 del 2006 (c.d. Decreto Bersani), nonché dei parametri di cui alla Tabella D, allegata al d.m. n. 127 del 2004, dell’art. 3 del d.m. n. 140 del 2012, in combinato disposto con l’art. 814 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. per non aver la Corte di Appello correttamente determinato il compenso del Collegio arbitrale, con errore di diritto per
violazione della disciplina in materia di applicazione dei parametri per la liquidazione dei compensi arbitrali e di aumento del compenso del Collegio arbitrale in ipotesi di pratiche di particolari importanza, complessità e difficoltà.
Con il settimo motivo di ricorso è dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12 disp. prel. c.c. e dell’art. 12 d.m. n. 127 del 2004, in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3 c.p.c., per non aver la Corte di appello correttamente determinato il compenso del Collegio arbitrale, con errore di diritto per violazione della disciplina in materia di rimborso forfettario delle spese.
Con l’ottavo motivo di ricorso è dedotta la v iolazione e/o falsa applicazione degli artt. 12 e 11 disp. prel. c.c. e del d.m. n. 140 del 2012 in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3, c.p.c., per non aver la Corte di appello correttamente determinato il compenso del Collegio arbitrale, con errore di diritto per violazione della disciplina in materia di applicazione analogica, applicazione ratione temporis del d.m. n. 140 del 2012, in particolare in tema di aggiornamento dei compensi in relazione alla svalutazione monetaria.
Con il nono motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 4 d.m. n. 55 del 2014, come modificato dal d.m. n. 147 del 2022, in relazione all’art. 360, co mma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte di appello erroneamente operato la liquidazione delle spese di giudizio relative alla fase di appello.
2. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Occorre prima di tutto rilevare che gli argomenti fondati sul tenore della domanda formulata si rivelano evidentemente privi di rilievo, poiché dalle chiare conclusioni della RAGIONE_SOCIALE s.p.a., sopra richiamate e riportate alle pp. 8 e 9 del ricorso per cassazione, si evince che la richiesta dell’accertamento dell’importo complessivamente indicato come dovuto a titolo di compenso
spettante agli Arbitri e al Segretario del Collegio arbitrale è servente rispetto alla determinazione degli importi specificati come dovuti a ciascuno, tant’è che anche la domanda di restituzione delle somme asseritamente pagate in eccesso è rivolta a ciascuno dei percettori delle stesse.
Né può ritenersi fondata la doglianza nella parte in cui ha prospettato l’ esistenza di un litisconsorzio processuale, che avrebbe dovuto comportare l’integrazione del contraddittorio in appello, ai sensi dell’art. 331 c.p.c., in ragione del fatto che l ‘accertamento del debito nei confronti di ciascuno degli Arbitri e del Segretario del Collegio arbitrale dipendeva da una valutazione unitaria.
La Corte d’appello ha ritenuto che ogni arbitro ha diritto al compenso per l’attività svolta , senza che sia ravvisabile tra gli stessi un litisconsorzio necessario, aggiungendo che, nella specie, gli arbitri si erano liquidati il compenso indicando specificamente le somme spettanti a ciascuno, con la conseguenza che, vertendosi in cause scindibili, era da escludere che l’omessa notificazione nei confronti di un o degli arbitri comportasse l’inammissibilità dell’appello nei confronti delle altre parti.
Tale soluzione si pone in linea con la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha più volte affermato che, nel caso in cui il lodo sia pronunciato da più Arbitri, è legittima sia la liquidazione di un unico compenso complessivo per tutti gli arbitri, sia la liquidazione del compenso partitamente per ciascun componente del collegio arbitrale, fermo restando che, nell’uno e nell’atro caso, ciascun arbitro è comunque titolare di un autonomo diritto di credito per aver adempiuto, con l’espletamento dell’incarico, alla prestazione richiesta (v. in motivazione Cass., Sez. 3, Sentenza n. 10676 del 24/04/2008; Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2972 del 29/03/1999; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4722 del 27/05/1987).
Nel caso di specie, dunque, deve senza dubbio escludersi il litisconsorzio necessario degli Arbitri, attesa la natura solidale dell’obbligazione a parte
debitoris e la parziarietà della stessa a parte creditoris , poiché il rapporto di prestazione d’opera professionale si costituisce, non tra le parti litiganti ed il Collegio arbitrale nel suo complesso, inesistente come soggetto dotato di personalità giuridica, bensì tra le stesse parti litiganti e i singoli componenti del Collegio. Ciascun Arbitro è titolare d’autonomo diritto di credito, per aver adempiuto, con l’espletamento dell’incarico, all’assunta obbligazione di rendere la prestazione richiestagli, ed è conseguentemente legittimato a perseguire in via giudiziale, e in ogni fase e grado di essa, la realizzazione del diritto stesso, indipendentemente dalla congiunta proposizione o meno da parte degli altri componenti del Collegio (v. in motivazione Cass., Sez. U, Sentenza n. 15586 del 03/07/2009).
Esclusa perciò l’applicazione dell’art. 331 c.p.c., deve riconoscersi che correttamente la Corte di appello ha fatto applicazione dell ‘art. 332 c.p.c. , riconducendo la fattispecie al fenomeno delle cause scindibili e indipendenti (v. con riferimento ad altre tipologie di obbligazioni scindibili, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 4805 del 09/11/1977 e, da ultimo, Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 3142 del 07/02/2025).
3. Anche il secondo motivo è infondato.
Secondo i ricorrenti, la disciplina della sostituzione degli arbitri, contenuta nell’art. 81 1 c.p.c., dimostra che il ‘nuovo’ arbitro succede nell’obbligo che faceva capo a quello precedente, proseguendo nella funzione di giudizio dell’arbitro venuto a mancare, non verificandosi, pertanto, l’ estinzione del precedente incarico e la nascita di un nuovo rapporto con l’arbitro subentrato , ma la perdita e l’acquisto dell o stesso obbligo originario, che circola da uno ad un altro soggetto, in una visione unitaria della prestazione.
Ad opinione dei ricorrenti, dunque, una corretta analisi della disciplina codicistica, avrebbe consentito alla Corte d ‘a ppello di rilevare che, nella specie -avendo il Collegio arbitrale, con lodo definitivo, determinato i
compensi arbitrali, mediante la conferma di una liquidazione unica e comprensiva dei diritti di tutti gli arbitri, e avendo RAGIONE_SOCIALE articolato le domande restitutorie anche nei confronti dell’arbitro dimissionario – il litisconsorzio era necessario ab origine , trattandosi di posizioni giuridiche interdipendenti, ove la sentenza avrebbe proiettato i suoi effetti su una situazione giuridica unica e comune a più persone, stante l’unicità della fonte del rapporto obbligatorio.
Tale argomento non si rivela, tuttavia, calzante, poiché, come sopra evidenziato, una cosa è l’esecuzione della prestazione da parte degli arbitri e altra cosa è il titolo costitutivo di detta prestazione e del corrispondente diritto al compenso. Se è, infatti, vero che l’es ecuzione della prestazione viene effettuata in modo necessariamente congiunto da parte degli Arbitri e che a un Arbitro può succedere un altro Arbitro, tuttavia, il titolo costitutivo di detta prestazione e del compenso spettante per la sua esecuzione è sempre e comunque il singolo contratto stipulato da ciascun arbitro con le parti litiganti.
Il terzo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.
4.1. Secondo i ricorrenti, la Corte d’appello non ha colto l’autonomia della previsione regolante l’anticipazione delle spese arbitrali ex art. 816 septies c.p.c. rispetto alla previsione della liquidazione diretta dei compensi al termine della procedura arbitrale ex art. 814, comma 2, c.p.c.
In particolare, i menzionati ricorrenti hanno evidenziato che, salvo il caso in cui le parti abbiano diversamente pattuito, sono gli arbitri a dover determinare la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte , aggiungendo che l ‘anticipazione delle spese arbitrali , ai sensi dell’art. 816 septies c.p.c. -a differenza dell’adempimento dell’obbligazione di pagamento del compenso, definita espressamente dall’art. 814 c.p.c. come solidale -rappresenta per le parti un’obbligazione parziaria. Al termine della prestazione -nel lodo o in atto separato -gli arbitri liquidano le spese e gli
onorari del procedimento dovuti dalle parti , come previsto dall’art. 814, comma 2, c.p.c. ed è quest’ultima liquidazione ad assumere il valore di una proposta per le parti che, a loro volta, possono accettarla e provvedere al pagamento, ovvero non accettarla.
In tale ottica, per i ricorrenti, la Corte di appello ha assunto una decisione non conforme alla disciplina richiamata, perché (i) ha alterato la combinazione sistematica delle norme dettate in tema di compensi arbitrali, cancellando l’effettività del comportamento delle parti compromettenti; (ii) per l’effetto, ha ritenuto inefficace la liquidazione diretta dei compensi compiuta dagli arbitri nel lodo arbitrale, malgrado nessuna delle parti avesse formulato censure nel corso del procedimento arbitrale, laddove era stata dagli arbitri disposta l’anticipazione delle spese ex art. 816 septies c.p.c., e neppure in sede di gravame; (iii) ha affermato l’irrilevanza della mancata impugnazione del lodo arbitrale nel capo contenente il regolamento sui compensi, alla stregua di una impropria applicazione dell’interpretazione data da un precedente giurisprudenziale, attribuendo un contenuto giuridico diverso al principio di diritto in esso enunciato.
4.2. Com’è noto, l’art. 816 septies c.p.c. stabilisce che «1. Gli arbitri possono subordinare la prosecuzione del procedimento al versamento anticipato delle spese prevedibili. Salvo diverso accordo delle parti, gli arbitri determinano la misura dell’anticipazione a carico di ciascuna parte. 2. Se una delle parti non presta l’anticipazione richiestale, l’altra può anticipare la totalità delle spese. Se le parti non provvedono all’anticipazione nel termine fissato dagli arbitri, non sono più vincolate alla convenzione di arbitrato con riguardo alla controversia che ha dato origine al procedimento arbitrale.»
L’art. 814 c.p.c., invece, stabilisce quanto segue: «1. Gli arbitri hanno diritto al rimborso delle spese e all’onorario per l’opera prestata, se non vi hanno rinunciato al momento dell’accettazione o con atto scritto successivo.
Le parti sono tenute solidalmente al pagamento, salvo rivalsa tra loro. 2. Quando gli arbitri provvedono direttamente alla liquidazione delle spese e dell’onorario, tale liquidazione non è vincolante per le parti se esse non l’accettano …omissis .»
4.3. Questa Corte ha precisato che la liquidazione delle spese e del proprio compenso, effettuata direttamente dagli arbitri, ha valore di una mera proposta contrattuale, che diviene vincolante solo se accettata da tutti i contendenti (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7772 del 27/03/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20371 del 26/09/2014), con la conseguenza che la parte che non accetta la proposta non ha interesse ad impugnare il capo del lodo arbitrale riguardante la liquidazione delle spese legali e degli onorari del giudizio, nonché degli onorari degli Arbitri, del compenso del Segretario e delle spese di funzionamento del Collegio, poiché la previsione non è vincolante in assenza di accettazione di tutte le parti litiganti (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20371 del 26/09/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17034 del 23/06/2008).
Nel caso di specie, la Corte d’appello ha rilevato che dagli atti non emergeva la prova dell’accettazione da parte del la RAGIONE_SOCIALE del compenso autoliquidato dagli arbitri, escludendo che assumesse rilievo il silenzio serbato da detta società sulle somme richieste a titolo di anticipazione (che, peraltro, non aveva neppure pagato, invocando anche l’estinzione del vincolo di procedere all’arbitrato ) e ha aggiunto che, comunque, il contegno tenuto prima dell’autoliquidazione non poteva valere per dimostrare l’accettazione della stessa , escludendo, poi, ogni rilievo alla mancata impugnazione del lodo sul punto, in conformità alla giurisprudenza sopra richiamata.
La Corte ha operato un giudizio in fatto, valutando se determinate condotte potessero valere come accettazione tacita dell’autoliquidazione,
operata dagli arbitri ex art. 814 c.p.c., e ha escluso tale evenienza, con un giudizio di merito non validamente sindacato in sede di legittimità.
La stessa Corte ha, poi, escluso l’irrilevanza della mancata impugnazione del lodo, in base ad un giudizio in diritto, pienamente conforme all’orie ntamento interpretativo di questa Corte, sopra riportato, condiviso dal Collegio, secondo il quale, in assenza dell’accettazione della liquidazione operata dagli arbitri, la parte non ha interesse ad impugnare, con il lodo, anche tale liquidazione, che, non essendo stata accettata, non è vincolante.
Il quarto motivo di ricorso è conseguentemente infondato.
Nessun giudicato esterno si è, infatti, formato in ordine alle spese autoliquidate con il lodo, in ragione della mancata impugnazione del capo del lodo che conteneva tale statuizione, poiché, come sopra più volte evidenziato, in assenza di accettazione della liquidazione da parte di tutte le parti, tale liquidazione non è vincolante e, dunque, la parte non ha alcun interesse ad impugnarla.
6. Il quinto motivo è inammissibile.
I ricorrenti hanno censurato la statuizione della Corte d’appello nella parte in cui ha deciso anche sui compensi spettanti al Segretario del Collegio arbitrale.
Sul punto la Corte d’appello ha statuito come segue: «Per quanto attiene poi alla posizione del segretario del collegio, va osservato come il codice di rito non regolamenta i compensi di eventuali “ausiliari” degli arbitri, come segretari del procedimento o consulenti tecnici, che non sono legittimati al pro cedimento ex art. 814 c.c. … Gli appellati sostengono che non si tratta di un compenso ma di un costo per il funzionamento del collegio arbitrale, accettato da controparte, rilevando come il rapporto di prestazione d’opera è unicamente con gli arbitri. L’affermazione degli appellanti non è condivisibile. Va infatti rilevato come la somma di € 10.000,00 è stata
corrisposta in via anticipata quale onorario e spese del segretario e quindi come compenso per l’attività svolta, non quale semplice costo di funzionamento del collegio. Inoltre, anche se il rapporto si instaura tra arbitri e consulenti, rimane fermo che il compenso è a carico delle parti, che possono contestare l’autoliquidazione comprensiva di tale compenso, rilevando anche sotto tale profilo la mancata accettazione ex art. 814 c.p.c.»
Nel formulare il motivo di ricorso per cassazione, i ricorrenti hanno ribadito la tesi secondo la quale non è raffigurabile un rapporto obbligatorio diretto tra il Segretario del Collegio arbitrale e le parti in lite, ma non hanno contraddetto la statuizione adottata, e sul punto decisiva, secondo la quale, comunque, il compenso al Segretario è posto a carico delle parti, le quali possono contestare l’autoliquidazione comprensiva di tale compenso, che non sia stata accettata.
La censura non ha, quindi attinto, la ratio della decisione, dovendo pertanto ritenersi inammissibile per violazione dell ‘art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
Il sesto motivo è infondato.
7.1. I ricorrenti hanno prima di tutto dedotto che la Corte di Appello ha erroneamente applicato i parametri previsti dalla Tabella ‘D’ del d.m. n. 127 del 2004, giacché ha rideterminato i compensi arbitrali rinviando alle modalità di calcolo stabilite al punto 8) della Tabella -regolante i diritti e gli onorari dell’Arbitro Unico anziché al suo punto 9) -regolante i diritti e gli onorari del Collegio arbitrale, nella specie ritenuto applicabile.
La Corte d’appello ha determinato il valore della controversia in € 5.024.944,20 in base al disputandum , tenendo conto delle domande principali e di quelle riconvenzionali formulate nel giudizio arbitrale. Nel quantificare il compenso spettante , la stessa Corte d’appel lo ha, poi, statuito come segue: «Deve quindi ritenersi congrua la liquidazione di un
compenso nell’importo massimo (tenuto conto dello scaglione da € 2.582.300,01 a 25.822.900,00, oltre all’1% della differenza tra il valore della controversia e € 2.582.300,01), e quindi pari a € 116.200,00 + 24.426,44 (1% di 2.442.644,20) pari complessivam ente ad € 140.426,44, di cui € 56.170,58 per il presidente ed € 42.127,93 per gli altri due arbitri, oltre accessori di legge. Per quanto attiene alla posizione del COGNOME, che è subentrato al Corneggia in data 16.1.2012 e che quindi non ha posto in esse re tutta l’attività, pare congruo ridurre tale importo di € 3.500,00, tenuto conto di come ha rinunciato all’incarico poco dopo la costituzione del collegio arbitrale, pervenendosi ad € 38.627,93.»
Contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti, la Tabella ‘D’ al legata al d.m. cit., prevede al n. 9), relativo agli onorari spettanti al Collegio arbitrale, per lo scaglione di rilievo il valore massimo di € 116.200,00, oltre all’1% della differenza tra il valore della controversia e € 2 .582.300,00, come appunto computato dalla Corte d’appello.
7.2. I ricorrenti hanno, poi, censurato la statuizione della Corte d’appello, nella parte in cui ha previsto una riduzione per il componente del Collegio arbitrale che ha sostituito il precedente arbitro e che, quindi, ha svolto una minore attività rispetto agli altri.
Secondo i ricorrenti, la Corte di merito ha accollato sul nuovo arbitro le conseguenze dell’inammissibilità dell’appello nei confronti dell’arbitro sostituito, ma si tratta di una non condivisione di una motivata valutazione di merito, operata dalla Corte, da ritenersi pertanto inammissibile.
7.3. I ricorrenti hanno, infine, dedotto che la sentenza impugnata diverge insanabilmente anche dalla ratio dell’art. 3 del d.m. n. 140 del 2012, ma poi non hanno specificato in che modo tale divergenza si è concretizzata, risolvendosi la doglianza in una generalizzata censura di merito.
Anche il settimo motivo di ricorso è infondato.
I ricorrenti hanno lamentato il mancato rimborso forfettario delle spese generali previsto dall’art. 14 del d.m. n. 127 del 2004 nella misura del 12,5% dell ‘importo determinato per diritti ed onorari , poiché il ricorso all’analogia con la disciplina contenuta in tale d.m. avrebbe dovuto comportare anche il computo di tale rimborso.
Dalla lettura della sentenza impugnata, tuttavia, si evince chiaramente che la Corte d’appello ha fatto riferimento al criterio di computo fornito dal d.m. indicato, non in ragione di un’applicazione analogica dello stesso, ma nell’e sercizio di quel prudente apprezzamento (riferito ad un Collegio arbitrale che solo per un breve periodo iniziale è stato misto, perché composto da due avvocati ed un dottore commercialista, ma che presto è divenuto un Collegio di soli avvocati) che ha portato a ritenere congruo l’impiego dell a Tabella D delle tariffe forensi del 2004, perché prevedevano espressamente i compensi per lo svolgimento dell’attività di componenti di Collegi arbitrali (pp. 13-15 della sentenza impugnata).
D’altronde, questa Corte ha espressamente evidenziato che l’art. 814 c.p.c. prevede il diritto al rimborso delle sole spese cd. borsuali (quelle, cioè, effettivamente sopportate e documentabili), senza che possano ritenersi applicabili tout court i principi in tema di tariffe professionali forensi quanto alle spese cd. forfettarie, attesa la non assoluta equiparazione dell’arbitro all’esercente la professione forense, in relazione alla peculiarità dell’opera rispettivamente prestata (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 1673 del 05/02/2003).
9. L’ottavo motivo di ricorso è inammissib ile.
Secondo il ricorrente, la Corte di merito, procedendo alla determinazione dei compensi, avrebbe dovuto aggiornare l’importo liquidato sulla base della tabella di cui al d.m. n. 127 del 2004 per prestazioni terminate nel 2014, tenuto conto della svalutazione monetaria intercorsa.
La censura introduce una questione che non risulta trattata nella sentenza impugnata e che la parte non ha esplicitato di avere già sottoposto al giudice di merito, sicché, in assenza di specifiche allegazioni sul punto, deve ritenersi inammissibile per novità.
Il nono motivo di ricorso è infondato.
10.1. Secondo i ricorrenti, la Corte di merito è incorsa in grave errore nella determinazione delle spese di lite del giudizio di appello, poiché, una volta individuato lo scaglione di riferimento, la misura dei compensi ha tenuto conto anche dell’ attività istruttoria, nell’ambito della quale la Corte ha incluso la richiesta di sospensione del giudizio presentata da RAGIONE_SOCIALE s.p.a, ma, ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, nella specie applicabile, l’attività istruttoria rilevante ai fini della liquidazione del compenso è solo quella prevista dall’art. 4, co mma 5, lett. c), che non comprende l’attività come sopra espletata dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE
Ad opinione dei ricorrenti, a nche la voce relativa alle ‘spese’ è stata computata in violazione delle previsioni di legge e dei parametri ministeriali, essendo liquidata in misura irragionevole, in assenza di specificazioni della parte vittoriosa, risultando l’unica effettiva spesa documentata quella riferita al contributo unificato pagato per l’iscrizione a ruolo.
10.2. Con riferimento alla doglianza relativa alla liquidazione delle spese per la fase istruttoria, occorre tenere conto del disposto dell’art. 4 , comma 5, d.m. n. 55 del 2014, ove vengono descritte le quattro fasi del giudizio (fase di studio della controversia, fase di introduzione della causa, fase istruttoria e fase decisionale) e, per quanto di rilievo, è stabilito quanto segue: «5. Il compenso è liquidato per fasi. Con riferimento alle diverse fasi del giudizio si intende esemplificativamente: … c) per fase istruttoria: le richieste di prova, le memorie illustrative o di precisazione o integrazione delle domande o dei motivi d’impugnazione, eccezioni e conclusioni, l’esame degli scritti o documenti delle altre parti o dei provvedimenti giudiziali
pronunciati nel corso e in funzione dell’istruzione, gli adempimenti o le prestazioni connesse ai suddetti provvedimenti giudiziali, le partecipazioni e assistenze relative ad attività istruttorie, gli atti necessari per la formazione della prova o del mezzo istruttorio anche quando disposto d’ufficio, la designazione di consulenti di parte, l’esame delle corrispondenti attività e designazioni delle altre parti, l’esame delle deduzioni dei consulenti d’ufficio o delle altre parti, la notificazione delle domande nuove o di altri atti nel corso del giudizio compresi quelli al contumace, le relative richieste di copie al cancelliere, le istanze al giudice in qualsiasi forma, le dichiarazioni rese nei casi previsti dalla legge, le deduzioni a verbale, le intimazioni dei testimoni, comprese le notificazioni e l’esame delle relative relate, i procedimenti comunque incidentali comprese le querele di falso e quelli inerenti alla verificazione delle scritture private. Al fine di valutare il grado di complessità’ della fase rilevano, in particolare, le plurime memorie per parte, necessarie o autorizzate dal giudice, comunque denominate ma non meramente illustrative, ovvero le plurime richieste istruttorie ammesse per ciascuna parte e le plurime prove assunte per ciascuna parte.»
In argomento, questa Corte ha precisato che, ai fini della liquidazione del compenso spettante al difensore, il d.m. n. 55 del 2014 non prevede alcun compenso specifico per la fase istruttoria, ma prevede un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 8561 del 27/03/2023).
E, in effetti, tra le attività comprese nell’attività istruttoria sono indicati gli accertamenti incidentali, cui senza dubbio deve essere, nella specie, ricondotta la trattazione della questione relativa alla richiesta di sospensione del processo nell’attesa della definizione dell’impugnazione del lodo, su cui la Corte di merito ha statuito con ordinanza, ed anche della
questione relativa alla nullità della rinnovazione della notificazione all’appellato C ornaggia, oggetto di una ulteriore ordinanza della Corte territoriale.
10.3. Con riferimento alle spese forfettarie, poi, occorre tenere conto del disposto dell’art. 2 , comma 2, d.m. n. 55 del 2014, nel testo attualmente vigente, il quale prevede che «2. Oltre al compenso e al rimborso delle spese documentate in relazione alle singole prestazioni, all’avvocato è dovuta – in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale – una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso totale per la prestazione, fermo restando quanto previsto dai successivi articoli 5, 11 e 27 in materia di rimborso spese per trasferta.»
Questa Corte ha, in proposito, evidenziato che il provvedimento giudiziale di liquidazione delle spese processuali, che non contiene la statuizione circa la debenza o anche solo la determinazione della specifica percentuale delle spese forfettarie rimborsabili ai sensi dell’art. 13, comma 10, l. n. 247 del 2012 e dell’art. 2 d.m. n. 55 del 2014, è titolo per il riconoscimento del rimborso stesso nella misura del quindici per cento del compenso totale, quale massimo di regola spettante, potendo tale misura essere soltanto motivatamente diminuita dal giudice (Cass., Sez. 2, Ordinanza n. 9385 del 04/04/2019).
Il rimborso c.d. forfetario delle spese generali costituisce, infatti, una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge, e compete automaticamente al difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, che deve ritenersi implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13693 del 30/05/2018 e Cass., Sez. 3, Sentenza n. 4209 del 22/02/2010).
Nella specie, dunque, correttamente la Corte d’appello ha previsto anche tale voce di spesa.
In conclusione il ricorso deve essere respinto.
La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese di lite sostenute dalla controricorrente, che liquida in € 6.000,00 per compenso, oltre € 200 ,00 per esborsi ed accessori di legge;
dà atto della sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato di cui all’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile