Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 17125 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 17125 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 13298-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ Avvocato COGNOME per procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE quale società incorporante la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE rappresentate e difese dagli Avvocati COGNOME e COGNOME per procura in calce al controricorso;
– controricorrenti – avverso la SENTENZA n. 324/2021 della CORTE D ‘ APPELLO DI ANCONA, depositata il 22/3/2021;
udita la relazione della causa svolta dal Consigliere NOME COGNOME nell ‘ adunanza in camera di consiglio del 10/6/2025;
FATTI DI CAUSA
1.1. La corte d ‘ appello, con la sentenza in epigrafe, senza definire il giudizio, ha accolto l ‘ appello proposto da RAGIONE_SOCIALE e dal suo socio RAGIONE_SOCIALE ed, in parziale riforma della pronuncia appellata, ha condannato l ‘ appellato NOME COGNOME, già socio e amministratore della RAGIONE_SOCIALE (poi
incorporata dalla RAGIONE_SOCIALE, a pagare, in favore dell ‘ appellante, la somma di €. 189.000,00, oltre rivalutazione, interessi e spese.
1.2. La corte, in particolare, ha, innanzitutto, respinto le eccezioni di giudicato sollevate dall ‘ appellato sul rilievo che ‘ l ‘ appellante ha articolatamente censurato l ‘ intero impianto motivo della sentenza di primo grado su tutte le questioni di fatto e diritto riguardanti i profili di responsabilità ex art. 2467 cc ‘ ( rectius : art. 2476 c.c.) , ‘ in tal modo impedendo il formarsi del giudicato su tutte le questione comunque devolute al giudice del gravame ‘ .
1.3. La corte, poi, quanto al merito, ha ritenuto che: l ‘ appellante aveva dedotto l ‘ esistenza di un danno alla società per la somma complessiva di €. 189.000,00, in relazione a quattro fatture emesse l ‘ 1/10/2008 e il 31/12/2008 dal COGNOME nella qualità di titolare della ‘ ditta RAGIONE_SOCIALE nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, da lui amministrata e da quest ‘ ultima pagate; – l ‘ attribuzione di tali somme, in effetti, non è avvenuta per le causali esposte in tali fattur e, e cioè ‘ assistenza tecnica ai vs. automezzi ‘ e ‘ consulenza tecnica alla vs. società ‘; – il COGNOME, infatti, non ha provato che la RAGIONE_SOCIALE aveva effettivamente fruito di prestazioni di assistenza tecnica su automezzi da parte dello stesso, mentre ‘ le prestazioni di consulenza finiscono per coincidere con quelle gestorie ‘; – per l ‘ assistenza tecnica sugli automezzi, del resto, la RAGIONE_SOCIALE si è servita di officine terze, pagando, per le prestazioni ad essa fornite, l ‘ importo complessivo di € . 53.544,69; – il COGNOME, inoltre, ha formalizzato l ‘ incarico non solo quasi alla fine dell ‘ anno per il quale il compenso era dovuto ma addirittura dopo l ‘ emissione delle fatture; -il presunto contratto, infatti, risalirebbe al 27/11/2008 mentre le prime due fatture risultano
essere state emesse con data 1/10/2008 e, peraltro, per un ‘ attività espletata dal 1/4/2008; – di tale contratto, tuttavia, non v ‘ è traccia nella documentazione societaria, come confermato dalle testimonianze raccolte in giudizio; – NOME COGNOME, addetto alla contabilità di RAGIONE_SOCIALE ‘ nell ‘ era COGNOME ‘, ha riferito: ‘ non ho mai visto i contratti di cui in capitoli e che ora mi vengono mostrati ‘ ; – NOME COGNOME ha afferma to: ‘ non ero a conoscenza della attività di consulenza della ditta individuale in favore della srl; non ho rinvenuto, neppure successivamente, i dettagli delle fatture in questione (pezze di appoggio); ciò posso riferire in quanto pure non avendo registrato io le fatture, ho scorso la contabilità della srl per prendere cognizione della attività; non ho mai visto alcun contratto né di consulenza con la ditta individuale ‘ ; -‘ nessuno all’interno della società – dunque sapeva di quel contratto’; -le prove raccolte conducono ad una univoca conclusione, e cioè che ‘ il COGNOME (per illecite ragioni di ordine fiscale) si è autoliquidato un compenso come amministratore della RAGIONE_SOCIALE facendo fittiziamente risultare prestazioni a favore della propria ditta individuale in realtà non rese o rese da egli stesso ‘; -il COGNOME, in definitiva, ha proceduto ad una fittizia fatturazione: (a) per prestazioni di assistenza tecnica delle quali l ‘ appellato non ha provato (come suo onere) l ‘ esecuzione e l ‘ esatta corrispondenza con quelle fatturate, (b) per prestazioni rese dal COGNOME come amministratore della società; -l’attribuzione di tali somme, in altri termini, è avvenuta non per le causali di cui in fattura bensì ‘in sostituzione del compenso ‘ maturato quale amministratore della RAGIONE_SOCIALE
1.4. La corte, quindi, dopo aver evidenziato che: – l ‘ art. 2389, comma 1°, c.c., applicabile anche alle società a responsabilità limitata, prevede che i compensi spettanti ai
membri del consiglio di amministrazione e del comitato esecutivo sono stabiliti all ‘ atto della nomina o dell ‘ assemblea; l ‘ art. 15 dello statuto RAGIONE_SOCIALE, del resto, prevede la possibilità di attribuire un compenso all ‘ amministratore facendo chiaramente riferimento alla necessità di una delibera assembleare che lo stabilisca e ne fissi l ‘ ammontare; – l ‘ art. 2381, commi 3° e 5°, c.c. prevede, inoltre, che l ‘ organo amministrativo ha il dovere di predisporre un assetto organizzativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell ‘ impresa, sicché l ‘ inosservanza da parte della società di procedure contabili ex ante idonee alla ricostruzione a posteriori delle operazioni fatte determina responsabilità degli amministratori; ha, in sostanza, ritenuto che, nel caso in esame, l ‘ attribuzione del compenso non era stata decisa attraverso la forma della delibera assembleare della società (di cui il COGNOME era unico socio) ma attraverso un ‘ operazione fittizia e fiscalmente illecita deliberata dall ‘ amministratore stesso, e che, a fronte di fatture per ‘ prestazioni inesistenti ‘ e della ‘ surrettizia autoliquidazione dei compensi da parte dell ‘ amministratore in violazione di norme fiscali ed in violazione delle norme organizzative e contabili della società ‘, l ‘ appellato, in difetto di prova (gravante sull ‘ amministratore) degli elementi di fatto e dei parametri di riferimento necessari per quantificare un eventuale compenso, doveva essere, di conseguenza, condannato al risarcimento dei danni in misura pari alla somma illegittimamente pagata, pari ad €. 189.000,00, oltre accessori, interessi e spese.
1.5. La corte, infine, in ragione dell ‘ autonomia dei singoli titoli attributivi di responsabilità e dell ‘ opportunità di definire celermente il resto del contenzioso, ha ritenuto di procedure alla separazione dal giudizio così deciso delle residue domande di
responsabilità proposte nei confronti dell’appellato, rimettendo la causa sul ruolo relativamente alle stesse per i necessari accertamenti istruttori.
1.6. NOME COGNOME con ricorso notificato l ‘ 8/5/2021, ha chiesto, per quattro motivi, la cassazione della sentenza.
1.7. La RAGIONE_SOCIALE e l RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
1.8. Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2476 e 2909 c.c. e degli artt. 112, 273, 324 e 345 c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha escluso la formazione del giudicato in ordine all ‘ accertata insussistenza dell ‘ invocata responsabilità gestoria dell ‘ appellato sul rilievo che l ‘ appellante, sebbene avesse proposto l ‘ appello nei confronti soltanto di una causa riunita, aveva, in realtà, impugnato la sentenza di primo grado nella sua interezza, omettendo, tuttavia, di considerare che: – le cause riunite, pur se la sentenza è unica, rimangono autonome, per cui l ‘ impugnazione riferita, come quella proposta dall ‘ appellante, soltanto ad una di essa, e cioè la statuizione di l ‘ accoglimento della domanda di accertamento negativo che il COGNOME aveva proposto relativamente ai diritti risarcitori vantati dalla società nei suoi confronti (RG 2084/2010), ha comportato il passaggio in giudicato di quanto statuito nell ‘ altra, e cioè, nel caso in esame, il rigetto della domanda di condanna al risarcimento dei danni che la società aveva intrapreso nei confronti dello stesso COGNOME (RG 1115/2010), che è diventato, pertanto, incontrovertibile; – gli appellanti, del resto, hanno chiesto la riforma della decisione di primo grado assunta nel giudizio RG
2084/2010, formulando una domanda di condanna al risarcimento dei danni che, nel corso di tale giudizio, non era stata formulata, sicché, nel giudizio RG 2084/2010, nel quale RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE non hanno formulato domande risarcitorie, il gravame degli appellanti non poteva condurre ad una condanna al risarcimento dei danni.
2.2. Il motivo è inammissibile. Non v ‘ è dubbio, invero, che, in linea di principio: -il rapporto tra l ‘ azione di accertamento positivo e quella di accertamento negativo del medesimo diritto dev ‘ essere configurato come un rapporto di continenza, in quanto le cause hanno identità di elementi soggettivi e coincidenza soltanto parziale di elementi oggettivi, con la conseguenza che il passaggio in giudicato della pronuncia di accoglimento della domanda di accertamento negativo comporta, come logica conseguenza, il rigetto della domanda di accertamento positivo (cfr. Cass. n. 22830 del 2022); – il provvedimento discrezionale (qual è quello pronunciato in caso di cause non identiche ma solo connesse: artt. 273 e 274 c.p.c.) di riunione di più cause (e la conseguente trattazione congiunta delle stesse) lascia immutata l ‘ autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni, di modo che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise (cfr. Cass. n. 27295 del 2022), sicché l ‘ impugnazione proposta nei confronti di una soltanto di tali pronunce comporta (salvi gli effetti espansivi previsti dall’art. 336 c.p.c.) il passaggio in giudicato delle altre.
2.3. Resta nondimeno il fatto che, nel giudizio di legittimità, il ricorrente che censuri la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, sostanziali o processuali, ha l ‘ onere di specificare, ai fini del rispetto del principio di specificità
dei motivi, gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli ambiti di operatività delle denunciate violazioni (cfr. Cass. n. 9888 del 2016).
2.4. Il ricorrente, in particolare, anche in caso di deduzione di errores in procedendo , ha l’onere di procedere al la trascrizione , per la parte d’interesse, degli atti e dei documenti dei quali assume l’errata o l’omessa valutazione da parte del giudice di merito (cfr. Cass. n. 21346 del 2024).
2.5. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda (art. 366 n. 6 c.p.c.), dev’essere, peraltro, inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto (art. 369 n. 4 c.p.c.), poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile (Cass. n. 28184 del 2020).
2.6. Nel caso in esame, per contro, il ricorrente, pur lamentando la violazione delle norme previste dall ‘ art. 324 c.p.c. e dall ‘ art. 2909 c.c., per ciò che riguarda l’invocato passaggio in giudicato della pronuncia asseritamente non impugnata e la formazione tra le parti della conseguente preclusione, e delle norme previste dagli artt. 112 e 345 c.p.c., per quanto concerne la dedotta inammissibilità di domande nuove asseritamente proposte in grado d ‘ appello e il divieto di pronunciarsi sulle stesse, non ha in alcun modo adempiuto all ‘ indicato onere, riproducendo, cioè, in ricorso (specie a fronte della specifica resistenza sul punto da parte dei controricorrenti: v. il controricorso, p. 7 ss.), i passi dell ‘ atto d ‘ appello con il quale, a suo dire, gli appellanti avrebbero limitato il loro gravame alla sentenza con la quale il tribunale aveva accolto la domanda di
accertamento negativo e non anche (come ha, invece, affermato la corte d’appello ) a quella parte (della stessa sentenza) in cui il giudice di primo grado aveva a suo tempo rigettato la domanda risarcitoria proposta dalla società (e dal socio) asseritamente danneggiati, nonché il luogo in cui, nel giudizio di legittimità, tale atto processuale è stato depositato.
2.7. Con il secondo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2230, 2476, 2389 e 2475, comma 6°, c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2727 e 2729 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnato nella parte in cui la corte d ‘ appello, senza motivare in ordine alla ritenuta prevalenza di alcune risultanze testimoniali in luogo di altre pur se dotate di intrinseca attendibilità, nonché facendo uso di elementi presuntivi in realtà privi dei necessari requisiti dell ‘ univocità, precisione e concordanza, ha ritenuto la sussistenza dell ‘ invocata responsabilità gestoria in capo all ‘ appellato sul rilievo che quest ‘ ultimo aveva emesso e pagato fatture per prestazioni inesistenti, senza, per contro, considerare che: – il COGNOME ha svolto l ‘ attività di amministratore di RAGIONE_SOCIALE e non può dirsi, quindi, in fatto, che le fatture siano state emesse per prestazioni inesistenti ma, semmai, per prestazioni non esattamente descritte nei documenti fiscali; – l ‘ art. 2389 c.c., inoltre, contrariamente a quanto ipotizzato dal giudice di appello, non prevede o presuppone la previa delibera assembleare, specie in una società, come era RAGIONE_SOCIALE all ‘ epoca, gestita da un amministratore unico; – l ‘ art. 2381 c.c., infine, non è applicabile alle società a responsabilità limitata se non, in forza del richiamo operato dall ‘ art. 2475, comma 6°, c.c., a far data dal 15/4/2019, laddove i fatti contestati al COGNOME risalgono al 2008.
2.8. Con il terzo motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione dell ‘ art. 2476 c.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello ha ravvisato la sussistenza in capo all’appellato della responsabilità gestoria contestata allo stesso e l ‘ha, pertanto, condannato al pagamento della somma di €. 189.000,00, omettendo, tuttavia, di considerare che: -difettano, in realtà, tutti gli elementi costitutivi della fattispecie normativa applicata, e cioè tanto l ‘ inosservanza di obblighi legali e di diligenza, quanto l ‘ esistenza di un danno risarcibile e di un nesso causale tra il fatto e l ‘ evento; -in una società unipersonale, infatti, non viola di certo il parametro della diligenza se il compenso viene liquidato sotto la forma di corrispettivo per prestazioni intellettuali piuttosto che liquidarlo in sede di approvazione e di distribuzione degli utili di esercizio; – il COGNOME, del resto, non ha formalmente percepito alcun compenso nel 2008 come amministratore della RAGIONE_SOCIALE per cui la somma di €. 189.000,00, autoliquidata a tale fine, gli sarebbe comunque spettata a tale titolo e non costituisce, dunque, un danno risarcibile.
2.9. Il secondo e il terzo motivo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili.
2.10. Il ricorrente, invero, non si confronta realmente con la sentenza che ha impugnato: la quale, infatti, con statuizioni esplicitamente o implicitamente rimaste inoppugnate, ha, in sostanza, ritenuto, in fatto, che l ‘ appellato, in qualità di amministratore della RAGIONE_SOCIALE, aveva provveduto al pagamento, in proprio favore, della somma complessiva di €. 189.000,00, a titolo di compenso per l ‘ attività svolta dallo stesso quale amministratore della società pur in mancanza della
delibera dell ‘ assemblea dei soci imposta a tal fine dall ‘ art. 15 dello statuto sociale.
2.11. Ora, com ‘ è noto, la responsabilità degli amministratori sociali per i danni cagionati alla società amministrata ha natura contrattuale sicché la società è tenuta ad allegare le violazioni compiute dagli amministratori ai loro doveri, come pure a provare il danno e il nesso di causalità tra la violazione e il danno, mentre spetta agli amministratori la prova, con riferimento agli addebiti contestatigli, dell ‘ osservanza dei menzionati doveri.
2.12. In particolare, a fronte di disponibilità patrimoniali pacificamente fuoriuscite dall ‘ attivo (come la somma di €. 189.000,00), la società, lì dove agisce per il risarcimento del corrispondente danno nei confronti dell ‘ amministratore, può, dunque, limitarsi ad allegare l ‘ inadempimento, consistente nella distrazione delle dette risorse, mentre compete all ‘ amministratore convenuto in giudizio la prova del suo adempimento, consistente nella destinazione delle attività patrimoniali all ‘ estinzione di debiti sociali, come quelli eventi ad oggetto i compensi a lui spettanti, oppure il loro impiego per lo svolgimento dell ‘ attività sociale in conformità della disciplina normativa e statutaria (Cass. n. 12567 del 2021, in motiv.).
2.13. L ‘ amministratore di una società a responsabilità limitata (compresa quella che sia formata da un unico socio) che provveda al versamento, in proprio favore, di una somma a titolo di compenso nonostante la mancanza della deliberazione dell ‘ assemblea a tal fine richiesta dallo statuto sociale, non adempie, di conseguenza, al dovere, previsto dall ‘ art. 2476, comma 1°, c.c., di prestare la dovuta osservanza alle disposizioni contenute nell ‘ atto costitutivo (che comprende lo statuto sociale: arg. ex art. 2328, comma 3°, c.c.), con la
conseguenza che, ove tale inadempimento abbia arrecato (come nel caso in esame) un pregiudizio al patrimonio della società (in misura corrispondente, in difetto di emergenze contrarie, alle somme indebitamente distratte dallo stesso), l’amministratore inadempiente è tenuto, in forza dell ‘ art. 2476, comma 3°, c.c., al relativo risarcimento in favore della società danneggiata.
2.14. Con il quarto motivo, il ricorrente, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 273 e 274 nonché degli artt. 103, comma 2°, e 104, comma 2°, c.p.c., in relazione all ‘ art. 360 n. 3 c.p.c., ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d ‘ appello, dopo aver accertato la sussistenza della pretesa mala gestio per uno dei tre fatti addebitati all’appellato quale ex amministratore della società, ha condanna to quest’ultimo al risarcimento dei danni conseguenti, per la somma di € . 189.000,00, oltre alle spese del giudizio, ed ha, poi, provveduto alla separazione dal giudizio così definito le domande relative ai residui fatti contestati allo stesso, omettendo, tuttavia, di considerare che, così facendo, ‘ ha separato i fatti all ‘ interno di un ‘ unitaria domanda di accertamento di responsabilità gestoria e di condanna ai pretesi danni derivanti alla società ‘ e che , pur a fronte dell ‘ unicità della causa petendi , che aveva infatti comportato la riunione dei giudizi, la separazione disposta dalla corte ha determinato ‘ una duplicazione dei giudizi derivanti da un ‘ unica domanda giudiziale articolata su tre fatti specifici di contestato inadempimento ai doveri gestori imputabile all ‘ ex amministrator e’.
2.15. Il motivo è inammissibile. Nel procedere alla separazione delle cause e delle domande giudiziali, infatti, il giudice compie un atto meramente ordinatorio, non assoggettato ai mezzi d ‘ impugnazione propri delle sentenze, che si sottrae, come tale, a sindacato in sede di legittimità. Questa
Corte ha, sul punto, ripetutamente affermato che: -l ‘ impugnabilità dei provvedimenti giudiziali concerne soltanto quelli aventi contenuto decisorio e non anche quelli a carattere ordinatorio, per i quali la legge ammette, salvo eccezioni, la revocabilità; – il provvedimento di separazione delle cause riunite, ancorché contenuto in sentenza, a tale ultima categoria appartiene e non è, dunque, suscettibile di impugnazione davanti al giudice superiore, stante il suo carattere meramente ordinatorio e la mancanza in esso di ogni pronuncia di natura decisoria, anche implicita, su eventuali questioni pregiudiziali; l ‘ esercizio, in senso positivo o negativo, del potere discrezionale di cui tale provvedimento è espressione non è, pertanto, censurabile in sede di legittimità (Cass. n. 8446 del 2019; Cass. n. 11831 del 2003); – in caso di connessione di cause, il provvedimento di separazione, fondandosi su valutazioni di mera opportunità, costituisce esercizio del potere discrezionale del giudice e ha natura ordinatoria e non è, pertanto, suscettibile di impugnazione ed è insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 28539 del 2022; Cass. n. 8024 del 2018).
2.16. Nel caso in cui una parte (come la società) abbia proposto (nei confronti del suo amministratore) una domanda di risarcimento dei danni deducendo a sostegno della stessa una pluralità di fatti illeciti concorrenti, la facoltà del giudice di merito, ai sensi degli artt. 103, 104 e 279 c.p.c., di procedere alla separazione delle cause relative alle corrispondenti pretese risarcitorie e, quindi, di statuire, con sentenza non definitiva, su una o talune di esse e di rimettere al prosieguo, all ‘ esito dell ‘ ulteriore istruzione ritenuta necessaria, la decisione sulle altre, ha, dunque, natura discrezionale e, dunque, non è censurabile in sede di legittimità.
Il ricorso , per l’inammissibilità di tutti i suoi motivi, è, a sua volta, inammissibile: e come tale dev’essere, quindi, dichiarato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo
La Corte dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alle controricorrenti le spese del giudizio, che liquida in €. 8.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge; dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente , ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso a Roma, nella camera di consiglio della Prima