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Compenso amministratore: quando è illecito?

Un amministratore di S.r.l. si era autoliquidato un importo di 189.000,00 euro attraverso fatture emesse dalla sua ditta individuale verso la società da lui gestita. La Corte di Cassazione, confermando la decisione d’appello, ha ritenuto tale operazione una distrazione illecita di fondi, qualificandola come una forma di compenso amministratore non autorizzata. La sentenza sottolinea che la determinazione del compenso dell’amministratore richiede una specifica delibera assembleare, come previsto dallo statuto, e la sua assenza rende il pagamento illegittimo e fonte di responsabilità per l’amministratore, tenuto a restituire le somme.

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Pubblicato il 2 settembre 2025 in Diritto Societario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Amministratore: il Divieto di Autoliquidazione Senza Delibera

La corretta gestione di una società a responsabilità limitata impone regole precise, soprattutto per quanto riguarda la remunerazione degli organi amministrativi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: il compenso amministratore non può essere autoliquidato attraverso meccanismi surrettizi, come fatturazioni per prestazioni fittizie, ma deve necessariamente discendere da una formale delibera assembleare. In caso contrario, l’amministratore è tenuto a restituire le somme indebitamente percepite. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti di Causa: una fatturazione sospetta

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ex amministratore e socio unico di una S.r.l., il quale aveva percepito dalla società la cospicua somma di 189.000,00 euro. Tale somma era stata giustificata attraverso l’emissione di quattro fatture da parte della sua ditta individuale per presunte attività di “assistenza tecnica” e “consulenza tecnica” fornite alla società.

La nuova gestione societaria contestava la legittimità di tali pagamenti, sostenendo che le prestazioni non fossero mai state realmente eseguite o che, in ogni caso, rientrassero già nei doveri gestori dell’amministratore. Di fatto, l’operazione appariva come un modo per auto-attribuirsi un compenso senza passare dall’approvazione dell’assemblea dei soci.

La Decisione della Corte d’Appello

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dato ragione alla società. I giudici avevano accertato che le prestazioni di assistenza tecnica non erano provate, dato che la società si avvaleva di officine terze per la manutenzione dei propri mezzi. Le prestazioni di consulenza, invece, venivano fatte coincidere con l’attività gestoria tipica dell’amministratore.

Di conseguenza, la Corte territoriale ha qualificato l’operazione come una “surrettizia autoliquidazione dei compensi”, avvenuta in violazione delle norme statutarie e legali che impongono una delibera assembleare per la determinazione della remunerazione degli amministratori. L’amministratore veniva quindi condannato a restituire l’intera somma.

L’Analisi della Corte di Cassazione e il corretto compenso amministratore

L’ex amministratore ha proposto ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi, tutti ritenuti inammissibili dalla Suprema Corte.

Inammissibilità per violazione del principio di autosufficienza

Il primo motivo, con cui si lamentava la formazione di un giudicato parziale, è stato respinto perché il ricorrente non ha adeguatamente riprodotto nel suo atto i documenti processuali necessari a sostenere la sua tesi. La Corte ha ricordato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo cui l’atto deve contenere tutti gli elementi per consentire alla Corte di decidere senza dover esaminare altri documenti.

La responsabilità per il compenso amministratore non deliberato

I motivi secondo e terzo, relativi al merito della vicenda, sono stati giudicati inammissibili perché non si confrontavano con la vera ratio decidendi della sentenza d’appello. Il punto centrale non era se le prestazioni fossero state eseguite o meno, ma che il pagamento di 189.000,00 euro costituiva, in sostanza, un compenso amministratore erogato in assenza della necessaria delibera assembleare, richiesta esplicitamente dallo statuto sociale. La responsabilità dell’amministratore, quindi, discende dalla violazione di un dovere specifico imposto dalla legge e dallo statuto.

Inammissibilità del motivo sulla separazione delle cause

Infine, anche il quarto motivo, che criticava la scelta della Corte d’Appello di separare questa causa da altre domande di responsabilità, è stato dichiarato inammissibile. La Cassazione ha ribadito che la riunione o separazione dei giudizi è un provvedimento ordinatorio e discrezionale del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati del diritto societario. La responsabilità degli amministratori verso la società ha natura contrattuale. Ciò significa che la società deve allegare le violazioni e provare il danno, mentre spetta all’amministratore dimostrare di aver adempiuto ai propri doveri con la diligenza richiesta.

Nel caso di specie, a fronte di una fuoriuscita di denaro dalle casse sociali, l’onere di provare la legittimità di tale pagamento gravava sull’amministratore. Egli avrebbe dovuto dimostrare che la somma era destinata a estinguere debiti sociali legittimi o che era stata impiegata per lo svolgimento dell’attività sociale. Poiché la somma è stata qualificata come compenso, l’amministratore avrebbe dovuto provare l’esistenza di una valida delibera assembleare che lo autorizzasse, cosa che non è avvenuta. La violazione della norma statutaria che impone tale delibera costituisce un inadempimento che, avendo causato un pregiudizio patrimoniale alla società, obbliga l’amministratore al risarcimento, pari alla somma indebitamente sottratta.

Conclusioni: implicazioni pratiche

Questa ordinanza offre un importante monito per gli amministratori di società di capitali, incluse quelle con un unico socio. Le formalità previste dalla legge e dallo statuto non sono meri orpelli burocratici, ma presidi di legalità a tutela del patrimonio sociale, che è distinto da quello personale del socio, anche quando le due figure coincidono.

Qualsiasi forma di remunerazione per l’attività di amministratore deve essere trasparente e deliberata dall’organo competente, ovvero l’assemblea dei soci. Ricorrere a meccanismi alternativi, come la fatturazione per consulenze fittizie, espone l’amministratore a gravi responsabilità, con l’obbligo di restituire le somme e risarcire i danni arrecati alla società.

Un amministratore di S.r.l. può autoliquidarsi il proprio compenso tramite fatture per consulenze?
No. La Corte ha stabilito che questa pratica, se priva di una preventiva e formale delibera dell’assemblea che stabilisca il compenso, costituisce una distrazione illecita di fondi sociali, anche se l’amministratore è socio unico.

Cosa deve fare una società se scopre che un amministratore si è pagato compensi non deliberati?
La società può agire in giudizio per responsabilità contro l’amministratore (azione di mala gestio) per ottenere la restituzione delle somme indebitamente percepite, oltre al risarcimento dell’eventuale ulteriore danno.

Qual è l’onere della prova in un’azione di responsabilità contro un amministratore per distrazione di fondi?
La società deve allegare l’inadempimento (la fuoriuscita di denaro) e provare il danno. Spetta poi all’amministratore dimostrare che le somme sono state utilizzate per scopi sociali legittimi o che il pagamento era giustificato da un titolo valido, come una delibera assembleare.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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