Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6924 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6924 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 15/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35032/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, MINISTERO RAGIONE_SOCIALE, domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che li rappresenta e difende ex lege
-controricorrenti-
avverso ORDINANZA di TRIBUNALE CATANZARO n. 4369/2018 depositata il 08/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/11/2024 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il giudizio trae origine dall’opposizione proposta ex art.170 del DPR n.115 del dall’Avv. NOME COGNOME e dal dott. NOME Giuseppe COGNOME in qualità rispettivamente di amministratore giudiziario e coadiutore dei beni aziendali della RAGIONE_SOCIALE, sottoposti a sequestro penale dal 15.12.2009 al 18.1.2017, avverso il decreto di liquidazione emesso dal Tribunale di Catanzaro, che aveva rigettato la richiesta di liquidazione dei loro compensi perché l’intera attività espletata risultava coperta dagli acconti.
Il Tribunale di Catanzaro rigettò il ricorso.
Per quel che ancora rileva in questa sede, il Tribunale ritenne applicabile l’art.3 del DPR 177/2015, vigente al momento della liquidazione, determinò il valore dei beni sulla base della stima effettuata dall’amministratore e liquidò il compenso secondo i minimi tariffari, determinato in € 183.000,00; accertò, quindi, che il Tribunale aveva liquidato la somma di € 307.640,19, coperta dagli acconti ed ampiamente remunerativa dell’attività svolta.
L’Avv. NOME COGNOME e il dott. NOME COGNOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale sulla base di cinque motivi.
Il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ.
Il Sostituto Procuratore Generale nella persona del dott. NOME COGNOME ha concluso per il rigetto del ricorso
In prossimità della camera di consiglio, parte ricorrente ha depositato memorie illustrative ed ha chiesto la remissione della causa alla pubblica udienza
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 158 c.p.c. e dell’art. 15, d.lgs. 1.9.2011, n. 150, in relazione all’art.360, comma 1, n.4 c.p.c., in quanto l’ordinanza impugnata sarebbe stata emessa non dal Presidente del Tribunale ma dal Presidente di sezione privo di delega.
Il motivo è infondato.
Per costante orientamento di questa Corte, nel giudizio di opposizione alla liquidazione del compenso degli ausiliari del giudice, l’ordinanza emessa dal giudice monocratico anziché dal presidente del tribunale non è affetta da nullità, non essendo configurabili all’interno dello stesso ufficio questioni di competenza tra il suo presidente ed i giudici che sono in servizio, ma solo di distribuzione degli affari in base alle tabelle di organizzazione (Cassazione civile sez. VI, 15/10/2020, n.22292; Sez. I, 18080/2013. Sez. II, 15940/2015; 9879/2012. Sez. III, 4884/2001).
La giurisprudenza di legittimità invocata dai ricorrenti concerne la diversa problematica della attribuzione al tribunale in composizione collegiale di funzioni che la legge attribuisce, invece al tribunale in composizione monocratica, ipotesi nella quale si ha un vizio di costituzione del giudice e costituisce, alla stregua del rinvio operato dall’art. 50quater c.p.c. al successivo articolo 161, comma 1, un’autonoma causa di nullità della decisione (Cass. Sez. VI-2, 18343/2017. Sez. II, 4362/2015; 4714/2016)
Il mancato rilascio di una delega all’uopo da parte del capo dell’ufficio giudiziario al presidente di sezione, non può, quindi, comportare nullità della decisione da quest’ultimo assunta, vertendosi sempre in tema di organizzazione interna dell’ufficio (Cass. Sez. III, 18355/2010; 7745/1993).
2 Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 134c.p.c., per apparenza della motivazione; sostengono i ricorrenti che l’ordinanza è nulla per difetto motivazionale assoluto dal momento che è priva dei requisiti minimi di completezza e logicità, che consentano di comprendere il ragionamento del giudice, e rinvia puramente e semplicemente al decreto del tribunale impugnato senza farsi carico di argomentare sull’inadeguatezza ed inconsistenza dei motivi di impugnazione. In sostanza, la mera adesione a quanto stabilito nel decreto di liquidazione non sarebbe, di per sé sola, sufficiente per l’assolvimento dell’obbligo motivazionale, essendo a questo fine necessario che risulti l’effettiva disamina dei motivi di opposizione e sia possibile ricavare la ricostruzione di un percorso argomentativo adeguato; al contrario, dall’ordinanza impugnata non sarebbe possibile comprendere l’ iter logico che ha condotto il tribunale ad affermare la correttezza del calcolo del compenso nella misura di € 183.000,00.
3 Con il terzo motivo, si deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., dell’art. 51, t.u. spese giust. e dell’art. 3, d.p.r. 7.10.2015, n. 177, con riferimento all’immotivato scostamento dai valori medi nella liquidazione dei compensi.
4 Con il quarto motivo di ricorso, si lamenta l’omessa pronuncia con riferimento alla censura della mancata liquidazione per il periodo dal 16.11.2015, data di liquidazione del terzo acconto, al 17.10.2017, data di dissequestro e di cessazione dell’amministrazione giudiziaria.
5 Con il quinto motivo di ricorso, si censura l’impugnata ordinanza per violazione o falsa applicazione degli artt. 3, 4 e 5, d.p.r. 177/2015, ove non viene stabilito, per la determinazione dei compensi dell’amministratore giudiziario, un criterio temporale, con conseguente pregiudizio dell’ausiliario ove la procedura si protragga oltre i limiti massimi di durata previsti dal Codice Antimafia.
Il secondo motivo è fondato.
In materia di vizio di motivazione, le Sezioni Unite, con la sentenza N. 8053 del 7.4.2014, hanno affermato che la riformulazione dell’art.360, comma 1, n.5 disposta dal D.L. 22.6.2012, n.83, art. 54, convertito nella L. 7.8.2012, n.134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si traduce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’.
Poichè la sentenza, sotto il profilo della motivazione, si sostanzia nella giustificazione delle conclusioni, oggetto del controllo in sede di legittimità è la plausibilità del percorso che lega la verosimiglianza delle premesse alla probabilità delle conseguenze ovvero nell’ipotesi in cui le argomentazioni siano svolte con passaggi logici talmente incongrui da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum ( C assazione civile sez. un., 30/01/2023, n.2767;, Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016 Rv. 641526; Sez. U, Sentenza n. 16599 del 2016; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022 Rv. 664061; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13977 del 23/05/2019 Rv. 654145).
Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata non consente di cogliere l’ iter decisionale nella liquidazione del compenso, alla luce dei criteri stabiliti dall’art.3 del DPR N.177/2015.
E’ opportuno richiamare l’art.3 del DPR n.177 del 2015, che così recita:
‘Salvo quanto previsto dal comma 3, i compensi degli amministratori giudiziari sono liquidati sulla base dei seguenti criteri:
per i beni costituiti in azienda, quando sono oggetto di diretta gestione da parte dell’amministratore giudiziario, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore del complesso aziendale, non superiore alle seguenti misure:
per i beni costituiti in azienda, quando sono concessi in godimento a terzi, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore del complesso aziendale, non superiore alle seguenti misure:
per i beni immobili, i compensi devono consistere in una percentuale, calcolata sul valore dei beni, non superiore alle seguenti misure……’
L’art.2, comma 6 prevede che, nell’ipotesi in cui siano oggetto di sequestro patrimoni che comprendono beni rientranti in almeno due delle categorie indicate alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, si applica il criterio della prevalenza della gestione più onerosa.
Il Tribunale si è limitato ad individuare il valore del bene amministrato, senza specificare se si trattasse di beni immobili o di aziende o, in caso di beni, rientranti nelle diverse categorie previste dall’art 3 del DPR n.177/2015, quale fosse l’attività più onerosa svolta dall’amministratore e dal coadiutore.
Per adempiere l’obbligo motivazionale il tribunale avrebbe dovuto indicare quale delle ipotesi previste dall’art. 3, comma 1, D.P.R. 7. 10.2015, n. 177 avesse applicato per pervenire ‘all’individuazione di
un onorario minimo professionale pari ad € 183.000,00 circa’, soprattutto se i beni sequestrati rientravano in più categorie di beni. La motivazione dell’ordinanza è apodittica in quanto giunge alla determinazione del compenso senza individuare il percorso logico giuridico seguito, sulla base dell’obbligo stabilito dall’art.3 del DPR 177/2015 di individuazione dell’attività più onerosa anche ai fini della maggiorazione prevista ex lege.
Nella determinazione del compenso, il Tribunale ha omesso di indicare i criteri seguiti, richiamando per relationem il decreto di liquidazione, che, peraltro, aveva erroneamente applicato il DM 140/2012 .
L’impugnata ordinanza omette qualsiasi motivazione, anche sintetica, sulla consistenza e qualità dell’attività prestata e sui risultati della gestione, elementi necessari sui quali parametrare il compenso dovuto all’amministratore giudiziario ed al coadiutore.
L’assenza di indicazione dei criteri non consente il controllo di legittimità sulla motivazione che, nel caso di specie, non supera il minimo costituzionale previsto dall’art.132 c.p.c., alla luce della richiamata giurisprudenza di legittimità in tema di obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali.
Si rende necessario nuovo esame per rimediare alla citata lacuna motivazionale.
Sono logicamente assorbiti i restanti motivi di ricorso.
In definitiva, rigettato il primo motivo, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso e vanno dichiarati assorbiti i restanti.
L’ordinanza impugnata va cassata con rinvio al Tribunale di Catanzaro in persona di altro magistrato, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbiti i restanti, cassa l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Catanzaro in persona di altro magistrato anche per le spese di questo giudizio.
Così deciso in Roma, in data 28 novembre 2024.