Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 24983 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 24983 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24926/2023 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
– ricorrente –
contro
AGENZIA NAZIONALE PER L’AMMINISTRAZIONE E LA DESTINAZIONE DEI BENI SEQUESTRATI E CONFISCATI ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA e MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimati – avverso il DECRETO della CORTE D’APPELLO DI PALERMO n. 14/2023, depositato il 25/09/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME nella sua qualità di Amministratore giudiziario nominato nell’ambito di un procedimento di prevenzione del Tribunale di Palermo, ha proposto opposizione avverso il decreto di liquidazione compensi depositato in data 16.12.2022, chiedendo di riformare il provvedimento (che liquidava a favore del COGNOME l’importo di €. 14.716,40) ritenendo, invece, corretta la somma richiesta dal medesimo nell’istanza di l iquidazione presentata al Tribunale (€. 65.155,65);
La Corte d’Appello di Palermo, con decreto n. 52/23, rigettava l’opposizione proposta dall’Amministratore giudiziario così argomentando, per quel che qui ancora rileva:
deve ritenersi che il Tribunale abbia deciso conformemente a legge applicando, nel caso di specie, il sistema della gestione più onerosa, correttamente individuando come più onerosa la categoria degli immobili, il cui valore supera in modo sensibile quello di ogni altra categoria dei beni sequestrati;
-è infondato il rilievo critico dell’opponente concernente il mancato aumento dei compensi nella misura del 100%, poiché un simile aumento è previsto (art. 4, comma 2, D.P.R. n. 177/2015) «a fronte di amministrazioni estremamente complesse ovvero di eccezionale valore del patrimonio… ovvero di risultati dell’amministrazione particolarmente positivi»: presupposti che non ricorrono nel caso di specie.
Il suddetto decreto è stato impugnato per la cassazione da NOME COGNOME e il ricorso affidato a quattro motivi.
Sono rimasti intimati l’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata e il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della regola della prevalenza della gestione più onerosa, ex art. 3, comma 6, D.P.R. 7 ottobre 2015, n. 177, per travisamento della norma. Nullità della sentenza per manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.). A giudizio del ricorrente, anche a voler ritenere applicabile il suddetto criterio, si giungerebbe al paradosso di prevedere una maggiorazione fino al 25% per gli altri beni, diversi da quelli per i quali sarebbe richiesta una gestione più onerosa, mentre invece il compenso per tali beni, appartenenti ad altre categorie, è stato direttamente «determinato» (e non «maggiorato», come prescrive la norma) in misura pari al 25%, con conseguente risultato di una riduzione del 75% su tutte tali categorie di beni.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 del D.P.R. n. 177/2015 (art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ.) – Nullità della sentenza per manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione (art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, comma 1 n. 5) cod. proc. civ.), per non avere la Corte d’Appello ravvisato l’errore in diritto delle modalità di liquidazione del compenso dell’amministratore giudiziario, consistente nell’errato assunto che gli immobili facciano parte di un complesso aziendale e che, dunque, ricadano nell’ambito della lettera a) dell ‘art. 3, comma 6, D.P.R. n. 177 del 2015. Obietta il ricorrente che si tratta, invece, di masse patrimoniali distinte tra loro, tali cioè da necessitare gestioni separate e specifiche per ciascuna massa, non già sussumibili all’interno di una gestione unitaria. Da tanto discende l’errata applicazione dell’art. 3, comma 6, D.P.R. n. 117 del 2015 ,
norma indirizzata alla sola gestione di patrimoni misti: in presenza di più gestioni, si applicano le effettive aliquote sul valore di ogni categoria di beni singolarmente considerata.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto aggrediscono il provvedimento -sebbene con censure diverse – nella parte in cui ha confermato il compenso sulla base dei medesimi criteri di calcolo utilizzati dal primo giudice.
Essi sono in parte inammissibili e in parte infondati.
3 .1. Sono inammissibili le censure che richiamano il n. 5) dell’art. 360, comma 1, cod. proc. civ., ricorrendo l’ipotesi di c.d. «doppia conforme».
Sul punto, occorre precisare che, nonostante l’abrogazione da parte del d.lgs. n. 149/2022 dell’art. 348 -ter cod. proc. civ., contenente la disciplina relativa alla preclusione derivante dalla omogeneità di pronunce nei due gradi di giudizio di merito, cui consegue l’esclusione della possibilità di ricorrere in cassazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», tale disposto ha trovato piena trasposizione nella nuova formulazione dell’art. 360, comma 4, cod. proc. civ., così come modificato dall’art. 3, comma 27, d.lgs. n. 149/2022, contenente disposizioni che hanno effetto a decorrere dal 1° gennaio 2023. Ragione per cui può essere utilizzata a sostegno la medesima giurisprudenza, applicabile ai giudizi introdotti con ricorso notificato a decorrere da tale data, dunque anche al presente giudizio (notificato il 28.11.2023).
3.2. Sono infondate le doglianze con le quali il ricorrente contesta l’interpretazione e applicazione resa dal Tribunale, prima, e confermata, poi, dalla Corte d’Appello dell’a rt. 3, comma 6, D.P.R. n. 177/2015.
Innanzitutto, correttamente la Corte d’Appello ha richiamato «l’unicità aziendale» (v. decreto p. 7, 8 o rigo): le «distinte gestioni» invocate in ricorso, alle quali dovrebbero corrispondere distinti compensi ricavati dall’applicazione delle aliquote sul valore di ogni categoria di beni singolarmente considerata, benché connotate da distinte problematiche e questioni da affrontare, devono essere caratterizzate dalla sussistenza di masse patrimoniali attive e passive riconducibili a più soggetti, tali da far emergere problematiche diversificate e questioni differenziabili, da affrontare per ciascuna massa, nonché da distinti impegni da parte dell’amministratore giudiziario (Cass. Sez. 2 – , Ordinanza n. 16771 del 13/06/2023, Rv. 668050 -01 , sull’interpretazione del comma 9 dell’art. 3 D.P.R. n. 117/2015).
Nel caso che ci occupa, il compendio in sequestro/confisca era unico, in quanto riconducibile ad un unico proposto (benché formalmente intestato ad altri soggetti); come unico era il procedimento di prevenzione (recante n. 11/2015 R.M.P. del Tribunale di Palermo).
Sotto tale profilo, quindi, è immune da vizi logico-giuridici l’interpretazione offerta dal decreto impugnato delle norme che presiedono alla liquidazione dei compensi maturati nei casi quali quello di specie. Del resto, nel ricorso non è stato indicato alcun elemento di fatto idoneo ad illustrare in quale modo le masse patrimoniali gestite, pur se formalmente riconducibili a diversi soggetti prevenuti, fossero effettivamente e realmente distinte tra loro, tali cioè da necessitare di gestioni separate e specifiche per ciascuna massa e non già di una gestione unitaria, quale invece è stata ritenuta dalla Corte d’Appello.
3.2.1. Tanto chiarito sull’applicabilità dell’art. 3, comma 6, D.P.R. n. 117 del 2015, è utile ricostruire la normativa menzionata, che così
recita: «Nel caso in cui sono oggetto di sequestro patrimoni che comprendono beni rientranti in almeno due delle categorie indicate alle lettere a), b), c) e d) del comma 1, si applica il criterio della prevalenza della gestione più onerosa. Il compenso per tale gestione, individuato a norma dei commi 1 e 2, è maggiorato di una percentuale non superiore al 25 per cento per ogni altra tipologia di gestione ed in relazione alla complessità della stessa».
La disposizione deve essere letta unitamente ai commi precedenti, che stabiliscono, al comma 1: tipologia di beni oggetto della gestione (costituiti in azienda, mobili, immobili, frutti); nonché modalità di gestione di detti beni (all’interno della costitu zione in azienda, oggetto di gestione diretta ovvero concessi in godimento a terzi).
Il comma 2 della medesima norma stabilisce, poi, i criteri di determinazione del valore di ciascun bene: a) l’importo realizzato, per i beni liquidati; b) il valore stimato dal perito ovvero, in mancanza, dall’amministratore giudiziario, per i beni che non hanno costituito oggetto di liquidazione; c) ogni altra somma ricavata.
Come risulta dalla motivazione del decreto di liquidazione emesso dal Tribunale di Palermo -cui questa Corte accede direttamente, in ragione della natura processuale del vizio dedotto (Cass. n. 36728/2022) -sono stati determinati i valori dei beni oggetto del sequestro, nonché i compensi per ciascun bene aziendale (sia oggetto di gestione diretta, ovvero concessi in godimento a terzi per tipologie omogenee di beni: rispettivamente lett. a) e b) dell’art. 3, comma 1 citato) e per tipologie di beni non costituiti in azienda (immobili e altri beni: rispettivamente lett. c) e d) del comma 1 citato).
La disposizione di cui al comma 6 sopra riportata prevede la regola della gestione più onerosa, da applicare -come accaduto nel caso di specie – nelle ipotesi di gestione di patrimoni misti (art. 8, comma 2,
d.lgs. n. 14/2010): dai compensi come sopra ricavati, si individua quello più alto per una delle quattro lettere previste dalla disposizione di cui al comma 1 dell’art. 3 D.P.R. n. 177/2015, in comparazione fra i vari compensi ottenuti.
Nel caso di specie, il Tribunale ha individuato il compenso più alto nella categoria dei beni immobili (stimata per un valore di €. 139.980,15), lo ha maggiorato sommando il compenso (calcolato sulla percentuale massima) per la gestione dei beni immobili ed aziendali, aggiungendo il compenso (calcolato sul minimo) per la gestione dei prodotti finanziari, comunque fino al limite del 25%, come richiesto dalla disposizione sopra riportata.
3.2.2. Tale modalità di calcolo (che comunque riconosce il compenso massimo per la gestione degli immobili) ha consentito, tra l’altro, di valorizzare la responsabilità e l’attività svolta per la società in liquidazione, senza che sia ravvisabile alcuna violazione di legge.
4. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 3 comma 1 lett. a) e comma 2 lett. b) D.P.R. n. 177/2015 per utilizzo nel provvedimento impugnato del valore dei soli beni strumentali, in luogo del valore dell’attivo al netto di fondi/poste rettificative per quanto riguarda l’individuazione della base di calcolo, ovvero il «valore del complesso aziendale», da utilizzare per la determinazione del compenso su azienda gestita ex art. 3, comma 1, lett. a). Sostiene il ricorrente che, nel caso di specie, il valore del complesso aziendale doveva essere dato, in aderenza al dettato normativo, dalla sottrazione tra €. 253.179,58 (c.d. attivo lordo di bilancio) meno tutti i fondi di ammortamento, complessivamente pari a €. 98.495,79, per un valore del complesso aziendale utilizzato dall’A.G. di €. 154.683,79 (importo in effetti indicato dall’Amministratore quale base di calcolo del compenso), mentre la
sentenza impugnata utilizza l’importo di €. 40.000, commisurato alla stima dei soli beni materiali strumentali aziendali, così escludendo arbitrariamente tutte le altre componenti e, pertanto, i correlati valori del bilancio, che invece rientrano incontrovertibilmente, come da normative e prassi in materia di bilancio, nel «valore del complesso aziendale» (Cass. pen., 15.03.2021 n. 9997).
4.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto di non dover parametrare il compenso per la gestione della società «su non meglio precisati componenti e pertanto correlati valori del bilancio», in quanto la società – poco dopo l’immissione in possesso da parte dell’amministratore giudiziario – era stata posta in liquidazione (p. 8, 2° e 3° capoverso). Del resto, nel decreto di liquidazione del Tribunale di Palermo si evidenzia che lo stesso Amministratore, in sede di immissione nel possesso, riteneva il valore dell’attivo del bilancio totalmente inattendibile (v. decreto Tribunale di Palermo p. 8, righi 14-15).
In ogni caso, è il comma 2 dell’ar t. 3 D.P.R. n. 177/2015, come sopra citato (punto 3.2.1.) che individua il valore del complesso dei beni aziendali, sempre ai fini della determinazione del compenso considerando.
Vero che -come la stessa Corte territoriale rileva – nella relazione Ministeriale di accompagnamento al D.P.R. n. 177 del 2015, è prescritta la detrazione dei debiti dal valore dell’azienda o dei beni come sopra determinato; tuttavia, nel decreto di liquidazione emesso dal Tribunale di Palermo si sostiene che non sono emersi debiti detraibili (p. 8, rigo 14).
Con il quarto motivo si deduce violazione e mancata applicazione dell’aumento del 100% ex art. 4, comma 2, D.P.R. n. 177/2015. Il ricorso censura il provvedimento impugnato laddove riconosce,
smentendo il decreto di liquidazione, il buon operato dell’amministrare giudiziario, senza però applicare l’aumento tariffario nella misura del 100%, affermando – in violazione del dettato normativo – che era stato liquidato all’odierno ricorrente il massi mo della tariffa.
5.1. Il motivo si rivela inammissibile perché carente di riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata, agli effetti dell’art. 366, comma 1, n. 4, cod. proc. civ. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 8247 del 27.03.2024; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 19989 del 10/08/2017, Rv. 645361 – 01).
La Corte territoriale ha, infatti, spiegato le ragioni per cui deve escludersi la maggiorazione del 100% prevista dalla norma citata, ossia l’insussistenza di alcuno dei presupposti di legge che avrebbero giustificato un simile aumento, previsto unicamente a fronte di amministrazioni estremamente complesse, ovvero di eccezionale valore del patrimonio, ovvero di risultati dell’amministrazione particolarmente positivi (v. decreto p. 7, ultimo capoverso).
Altrove, la stessa Corte aveva sì ritenuto fondato il rilievo critico sollevato da ll’opponente nei confronti della valutazione del Tribunale in merito alla messa a reddito di taluni immobili, tuttavia solo al fine di ritenere non rilevante la doglianza, ove ragguagliata al compenso liquidato dal primo giudice (v. decreto p. 6, 1° capoverso).
E, in effetti, contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la modalità di calcolo utilizzata dal Tribunale comunque riconosce il compenso massimo per la gestione degli immobili ( supra , punti 3.2.1, 3.2.2.)
In definitiva, la doglianza si traduce in un’inammissibile richiesta di riformulazione del convincimento del giudice.
6. Il Collegio rigetta il ricorso.
Non si procede alla determinazione delle spese del presente giudizio non avendo le controparti svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda