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Compenso amministratore giudiziario: la Cassazione

Un amministratore giudiziario ha impugnato la liquidazione del suo compenso, ritenendola troppo bassa. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che il giudice può legittimamente applicare la tariffa minima, con la massima riduzione, se motiva che l’attività svolta era di routine. La sentenza definisce i limiti della discrezionalità del giudice nella determinazione del compenso dell’amministratore giudiziario e la non sindacabilità di tale valutazione nel giudizio di legittimità.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Fallimentare, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Compenso Amministratore Giudiziario: Quando il Minimo Tariffario è Legittimo

La determinazione del compenso dell’amministratore giudiziario rappresenta un tema delicato, che bilancia il diritto del professionista a una giusta retribuzione con l’interesse della procedura a contenere i costi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali sui poteri del giudice di merito e sui limiti del sindacato di legittimità, confermando che la liquidazione basata sui minimi tariffari, con la massima riduzione, è legittima se l’attività viene ritenuta di routine.

Il caso esaminato riguardava una professionista incaricata dell’amministrazione giudiziaria di impianti fotovoltaici, la quale si era opposta al compenso liquidatole dal tribunale, ritenendolo inadeguato rispetto alla mole e alla complessità del lavoro svolto.

I Fatti di Causa

Una professionista, nominata amministratore giudiziario di impianti fotovoltaici sequestrati a una società, riceveva una liquidazione di circa 200.000 euro per un incarico durato oltre cinque anni. Ritenendo l’importo insufficiente, proponeva opposizione. La Corte di Appello, tuttavia, rigettava la sua richiesta, confermando la decisione di primo grado. Secondo la Corte territoriale, il tribunale aveva correttamente applicato i minimi tariffari previsti dalla normativa di riferimento (D.P.R. n. 177 del 2015), applicando inoltre la massima riduzione del 50% consentita. La motivazione di tale scelta risiedeva nella valutazione dell’attività svolta come meramente “di routine”, non particolarmente complessa né gravosa.

I Motivi del Ricorso in Cassazione e il compenso dell’amministratore giudiziario

L’amministratore giudiziario ha presentato ricorso in Cassazione, articolando diverse censure contro la decisione della Corte di Appello. I principali motivi di doglianza erano:

1. Violazione dei criteri legali: La Corte avrebbe deciso secondo criteri “equitativi” anziché attenersi ai parametri oggettivi e vincolanti fissati dalla legge per il calcolo del compenso.
2. Motivazione apparente: La decisione sarebbe stata motivata in modo insufficiente, limitandosi a recepire acriticamente la valutazione del primo giudice senza considerare le specifiche deduzioni dell’amministratore sulla complessità del suo operato.
3. Discostamento dal parametro medio: La liquidazione si era discostata in modo significativo dal parametro medio della tariffa senza una specifica e adeguata motivazione.
4. Errata applicazione dell’onere della prova: La Corte avrebbe erroneamente posto a carico della professionista l’onere di dimostrare l’eccezionalità dell’incarico per ottenere un compenso superiore al minimo.
5. Omessa pronuncia: La Corte non si sarebbe pronunciata sulla specifica voce di compenso legata ai ricavi lordi dell’impresa amministrata.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondati tutti i motivi. La Suprema Corte ha chiarito che la valutazione sulla congruità del compenso dell’amministratore giudiziario rientra nella discrezionalità del giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata.

Il riferimento della Corte d’Appello a un “ragionevole bilanciamento” non è stato interpretato come un ricorso a criteri equitativi, ma come la corretta espressione della necessità di contemperare il diritto del professionista a un equo compenso con gli interessi della procedura. La normativa stessa, prevedendo un range tra un minimo e un massimo, conferisce al giudice tale potere discrezionale.

La Corte ha inoltre stabilito che la motivazione della Corte d’Appello, seppur sintetica, non era affatto apparente. L’aver qualificato l’attività come “di routine”, consistente in un controllo settimanale degli impianti, costituisce una valutazione di merito che soddisfa il “minimo costituzionale” richiesto. Non si è verificato alcun ribaltamento dell’onere della prova: il giudice ha semplicemente valutato gli elementi forniti e ha concluso che non giustificavano un compenso superiore al minimo. Infine, anche la censura relativa all’omessa pronuncia è stata respinta, poiché l’applicazione della riduzione del 50% a tutto il compenso presupponeva logicamente che anche la voce sui ricavi fosse stata calcolata.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione ribadisce un principio fondamentale: la determinazione dell’entità del compenso dell’amministratore giudiziario è una valutazione di merito, affidata alla discrezionalità del giudice. Tale valutazione, una volta che si fonda su una motivazione logica e non meramente apparente, non può essere messa in discussione in sede di legittimità. Per i professionisti, ciò significa che è essenziale documentare e argomentare in modo dettagliato la complessità e la gravosità del proprio incarico fin dalle prime fasi del procedimento di liquidazione, poiché le possibilità di contestare con successo una decisione sfavorevole in Cassazione sono estremamente limitate.

Può il giudice liquidare il compenso dell’amministratore giudiziario applicando i minimi tariffari?
Sì, la Corte di Cassazione ha confermato che la legge, prevedendo un intervallo tra un minimo e un massimo, conferisce al giudice la discrezionalità di liquidare il compenso ancorandolo al minimo, a condizione che fornisca una motivazione adeguata per tale scelta.

È sufficiente che il giudice definisca l’attività ‘di routine’ per motivare la liquidazione del compenso al minimo?
Sì. Secondo la sentenza, qualificare l’attività del professionista come ‘di routine’, non particolarmente impegnativa e consistente in controlli periodici, costituisce una motivazione sufficiente (il cosiddetto ‘minimo costituzionale’) per giustificare l’applicazione dei minimi tariffari e della massima riduzione prevista.

Spetta all’amministratore giudiziario dimostrare che la sua attività è stata di eccezionale importanza per ottenere un compenso superiore al minimo?
La Corte ha chiarito che non si tratta di un’inversione dell’onere della prova. Il giudice valuta tutti gli elementi portati dalla parte interessata e, se ritiene che questi non dimostrino una particolare complessità o gravosità dell’incarico, può legittimamente concludere che non sussistono i presupposti per un compenso superiore al minimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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